Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Quale austerità? Parla Alesina

Luciano Capone
"L’austerità fatta aumentando le tasse è molto costosa e crea recessioni, fatta invece tagliando la spesa è molto meno costosa. Se invece insieme ai tagli di spesa si fanno altre riforme strutturali, l’austerità può anche essere espansiva. Non esiste ‘l’austerità’, ma esistono diversi tipi di consolidamento fiscale”.

Roma. Negli ultimi tempi il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha alzato i toni con l’Europa e dichiarato guerra all’austerità. “L’austerity ha fallito” ha detto qualche giorno fa, e ancora: “L’austerity rischia di essere un errore incredibile e di allargare la divisione tra i paesi in difficoltà e i paesi forti”. Sono affermazioni condivise da tutte le forze politiche e da una larga fetta di opinionisti, quasi nessuno difende la responsabilità fiscale richiesta dall’Europa. Il dubbio è che sia solo una parte della realtà, che ci sia qualcosa di non detto. Innanzitutto bisogna definire l’austerità: ce n’è una buona e una cattiva? E’ negativa ma comunque necessaria? Oppure è sempre negativa e controproducente? “Temo che nel discorso pubblico ci sia un po’ di confusione, come se da un lato ci fossero quelli sempre a favore dell’austerità e dall’altro chi non la vuole mai”, dice al Foglio Alberto Alesina, economista a Harvard e visiting professor alla Bocconi, considerato per alcuni suoi studi sugli effetti dei consolidamenti fiscali come l’ideologo globale dell’austerità e per questo attaccato, in maniera anche violenta, persino da affermati colleghi.

 


Alberto Alesina (foto LaPresse)


 

“Se i governi facessero quello che dovrebbero fare non ci sarebbe mai bisogno di austerità – spiega Alesina –. Anche seguendo ciò che dice la teoria economica keynesiana, ovvero facendo deficit in recessione e surplus quando l’economia è in espansione, in media il bilancio sarebbe in pareggio e il debito non si accumulerebbe”. Quindi se si fa austerità è perché qualcosa è andato storto? “Vuol dire che i governi hanno accumulato deficit e debiti e c’è bisogno di un cambio di rotta per evitare pericoli”.

 

Si può dire quindi che, anziché buona o cattiva, in certi casi l’austerità è necessaria? “In certi momenti è inevitabile. Ovviamene la realtà è complessa e si può non essere d’accordo su quando la situazione sia o meno inevitabile. Di certo non si possono fare deficit e debiti senza limiti, come per esempio ha fatto per tanti anni la Grecia”. Posto quindi che in certe condizioni bisogna ingurgitare l’amara medicina dell’austerità, ci sono diverse posologie e vie di somministrazione. Come ci si regola? “Ormai esiste un’ampia letteratura accademica che dimostra in maniera incontrovertibile che l’austerità fatta aumentando le tasse è molto costosa e crea recessioni, fatta invece tagliando la spesa è molto meno costosa. Se invece insieme ai tagli di spesa si fanno altre riforme strutturali, l’austerità può anche essere espansiva. Non esiste ‘l’austerità’, ma esistono diversi tipi di consolidamento fiscale”. Pare che nel dibattito pubblico non si vada molto per il sottile su questi dettagli, da un lato c’è il fronte anti austerity e dall’altro chi è a favore. E a lei tocca questo ruolo. “Questo discorso sull’austerità si è trasformato in una cosa abbastanza assurda, come se ci fosse gente come me e Giavazzi (economista della Bocconi coautore e coeditorialista di Alesina sul Corriere della Sera, ndr) che vuole fare austerità sempre e comunque. Non abbiamo mai detto che qualunque austerità è espansiva”.

 

In Europa negli ultimi anni tanti paesi hanno dovuto fare aggiustamenti fiscali, che tipo di austerità hanno fatto e quali sono i risultati? “L’Inghilterra e l’Irlanda hanno fatto soprattutto tagli di spese e sono venuti fuori bene dalla recessione. Il Fondo monetario aveva addirittura attaccato David Cameron per il suo piano di riduzione della spesa, ma poi visti i risultati si è scusato pubblicamente. Spagna e Portogallo hanno fatto sia aumenti di tasse che tagli di spese ed è difficile distinguere gli effetti”. E l’Italia? “L’Italia è un caso per cui, per tutta una serie di motivi, il governo Monti ha aumentato soprattutto le tasse e abbiamo avuto una recessione”.

 


Mario Monti (foto LaPresse)


 

Ora però lei che è considerato il falco dell’austerità propone di sforare il tetto del 3 per cento del deficit sul pil per tagliare le tasse. “Non ci vuole austerità sempre e comunque. Ora i mercati si sono tranquillizzati, i deficit non sono elevatissimi, il prezzo del debito e i tassi di interesse sono molto bassi, servono politiche che facilitino la crescita”. E qual è la differenza con gli anti austerity? “In genere quelli che sono anti austerità pensano a spendere di più, ma in Europa e in Italia se si vuole stimolare l’economia bisogna ridurre le imposte. Citano Keynes, va bene, aveva ragione a chiedere di aumentare la spesa per uscire dalla Grande depressione, ma a quei tempi la spesa pubblica era meno della metà di quella di oggi, ora in Italia siamo quasi al 50 per cento. Fino a dove vogliamo arrivare?”.

 

Al governo e anche all’opposizione questa parte del suo ragionamento piace, ma in genere rigettano l’altra metà, quella che chiede di ridurre di un pari importo la spesa pubblica nei prossimi anni. Per avere un’idea della volontà politica di ridurre le spese, basta vedere quanto è lunga la lista di ex commissari alla spending review. “Credo e spero che dopo il referendum la situazione politica si chiarifichi, perché questo è uno dei punti principali su cui Renzi si deve impegnare. Finite le riforme istituzionali, è il caso che il governo torni a pensare all’economia. Ci sono argomenti di cui  si parla troppo poco, come concorrenza, miglioramento dell’università, tasse sul lavoro, mobilità sociale, occupazione femminile. L’impressione è che il dibattito pubblico sia un po’ stantio”.

 

Si va verso la finanziaria, pare che i governi abbiano passato gli ultimi anni a innescare e disinnescare clausole di salvaguardia. Tutto questo non provoca incertezza? “Assolutamente sì, c’è confusione su numeri e parole. In economia le aspettative sono importanti e se per cittadini, consumatori e investitori c’è incertezza su cosa succederà l’anno prossimo, si danneggiano le prospettive di crescita”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali