Madrid, il premier Mariano Rajoy (foto LaPresse)

Perché i paesi si rivoluzionano con le riforme liberali. Il caso Spagna

Maurizio Stefanini
Le lezioni ai neo protezionisti dai governi che stanno riuscendo ad abbassare le tasse e ad aprirsi al mercato.

In teoria il sistema politico è bloccato, ma prima di perdere la maggioranza Rajoy nel 2012 aveva fatto in tempo a fare una importante riforma del mercato del lavoro, che ha permesso agli imprenditori di licenziare più facilmente e ha reso meno vincolante la contrattazione collettiva. Molti elettori spagnoli non hanno gradito, Podemos è nata ed è cresciuta, ma le imprese automobilistiche straniere sono tornate in forze. Ben 4 miliardi di euro sono stati così investiti da società tedesche nel solo 2015, di cui un miliardo della Volkswagen. E anche la Ford nel 2014 ha deciso di chiudere la fabbrica che aveva in Belgio per aprirne un’altra a Valencia, con un investimento da 2,3 miliardi entro il 2020. 

 

La Spagna è così diventata il secondo produttore di veicoli d’Europa dopo la Germania e l’ottavo al mondo: 2,7 milioni di veicoli prodotti nel 2015, all’80 per cento esportati. Dal 2005 al 2015 il settore è cresciuto dal 5,2 all’8,7 per cento del pil, arrivando a impiegare il 9 per cento della forza lavoro spagnola. Rajoy ha inoltre tenuto duro nel non voler aumentare le imposte, malgrado le pressioni Ue. I dati di luglio mostrano come le 83.993 persone che hanno smesso di essere disoccupate nel corso del mese rappresentano un record positivo per l’impiego che non si vedeva tra quasi vent’anni: più precisamente, dal luglio del 1997.  Peraltro si tratta di una ripresa che rappresenta anche una significativa trasformazione nella matrice produttiva di un paese il cui precedente boom si era basato soprattutto sull’Edilizia. 

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