Il mercato ha sempre la sua logica

Stefano Cingolani
Svolta o rimbalzo? Ieri i mercati hanno riguadagnato terreno. La sterlina è salita da 1,131 a 1,33 sul dollaro e le borse hanno girato in positivo (Milano ha sfiorato il più 4 per cento, il Dow Jones è partito con l’un per cento in più).

Roma. Svolta o rimbalzo? Ieri i mercati hanno riguadagnato terreno. La sterlina è salita da 1,131 a 1,33 sul dollaro e le borse hanno girato in positivo (Milano ha sfiorato il più 4 per cento, il Dow Jones è partito con l’un per cento in più). E’ presto per celebrare, ma in Borsa non si teme un altro effetto Lehman Brothers, senza per questo sottovalutare la perdita di 4 mila miliardi di dollari in pochi giorni. L’abbondante liquidità pompata dalle banche centrali (la Banca centrale europea ha aumentato l’acquisto di titoli da 1,9 a 2,65 miliardi di euro la scorsa settimana) fa da ammortizzatore. La paura non è di cadere nel Maelström come nel 2008, bensì l’instabilità che blocca gli investimenti. Oggi, invece, c’è bisogno di colmare il gap produttivo e dare priorità alle misure economiche che favoriscono la crescita, ha detto Mario Draghi al Forum della Bce ieri a Sintra in Portogallo, criticando il G20 perché ha mancato l’impegno ad aumentare lo sviluppo mondiale del 2 per cento entro il 2018. Le politiche monetarie decise in ordine sparso non ce la fanno. Le forze all’opera (deflazione, bassa crescita, squilibri produttivi e salariali) hanno una dimensione globale, quindi le risposte vanno coordinate o meglio ancora bisogna “allineare” le politiche economiche, sia quelle che rispondono alla congiuntura sia le politiche strutturali.

 

Draghi non ha fatto nessun riferimento alla Brexit, ha solo detto come commento privato che la scelta degli elettori britannici gli fa “tristezza”. Ma la sua lezione è suonata a tutti come calibrata in funzione delle nuove turbolenze che il Leave ha lanciato sui mercati mondiali. Al forum mancavano Mark Carney, il governatore della Banca d’Inghilterra, e Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, due grossi calibri che tengono in mano leve decisive per gestire questa nuova fase. Carney è in piena emergenza e potrebbe essere tentato dal rialzare i tassi per difendere la sterlina, la Yellen sta cercando di guidare una sorta di cauta exit strategy dagli interessi zero. Il rischio di “disallineamento” riguarda anche lei.

 

Sulle Borse si svolge il gioco a rimpiattino con i governi e con le Banche centrali. Gli hedge funds che hanno attaccato pesantemente la sterlina, giunta ai minimi dal 1985, non si comportano in modo irrazionale. Alberto Gallo di Algebris è convinto che la valuta britannica non sia scesa abbastanza. Dal voto in poi ha perso solo il 15 per cento. George Soros pensa che possa scendere ancora fino a 1,15 con il dollaro, molti puntano alla parità con l’euro come punto di equilibrio. Una Piccola Bretagna è più debole e riduce la sua attrattività finanziaria, quella che dal big bang degli anni 80 in poi ha fatto rinascere un paese messo a terra dalla de-industrializzazione. Chi ha una certa età ricorda gli scioperi dei minatori, la chiusura dell’industria pubblica dell’auto, gli scioperi, gli scontri di piazza tra operai e poliziotti negli anni 70. E la disastrosa gestione laburista. Quando Londra diventa il polo europeo della nuova globalizzazione finanziaria, la sponda di Wall Street e di Hong Kong (Deng Xiaoping aveva da poco introdotto il mercato nel comunismo cinese), l’Inghilterra cambia volto e vola Margaret Thatcher.

 

La Brexit non cancella tutto ciò, ma lastrica di ostacoli il percorso mentre la libertà dei mercati finanziari ha bisogno di autostrade senza buche. Il Cancelliere dello scacchiere deve rivedere il bilancio pubblico (si è parlato di una stangata da 30 miliardi di sterline). C’è la minaccia di tagli ai dipendenti delle maggiori multinazionali con sede londinese. Cedere le azioni delle maggiori banche britanniche come Barclays o Rbs è del tutto logico. La svalutazione provoca un rincaro delle importazioni e aumenta il deficit nella bilancia dei pagamenti. Se ne avvantaggeranno le esportazioni, ma non subito e dipende da quanto scende il cambio. Gli economisti lo chiamano effetto J. Nel 2008-2009 la caduta della sterlina non bastò a colmare il buco. Più dubbio semmai è quel che è successo nei giorni prima del voto, quando s’è innescata una rincorsa tra speculazione valutaria e intenzioni di voto che ha ricordato la “riflessibilità” come l’ha definita George Soros, cioè la capacità dei mercati di riflettere se stessi, creando e ricreando la loro propria realtà.

 

La leadership è politica o non è

L’incognita adesso riguarda i governi dell’Unione europea. Temporeggiare, come ha invitato a fare il segretario di stato americano John Kerry convincendo il premier inglese David Cameron a non chiedere ancora il recesso volontario (articolo 50 del Trattato) e la cancelliera tedesca Angela Merkel a gettare acqua sul fuoco degli eurocrati, può abbassare la temperatura. Ma non è detto. La retorica su “una nuova Unione” nasconde una divisione su quale Europa. Gallo sostiene che la Banca d’Inghilterra non ha abbastanza riserve per difendere la sterlina. Secondo Martin Lueck, il tedesco che guida le strategie di BlackRock, anche la Bce è ormai a corto di munizioni. Una situazione che rende più impellente la richiesta di “allineamento”, perché “le politiche monetarie rispondono a priorità domestiche ”, ha ricordato Draghi il quale ha lanciato un altro dei suoi giochi linguistici, parlando di “indipendenza nella interdipendenza”.

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