Così Riad vuole privatizzare il gigante petrolifero Saudi Aramco

Gabriele Moccia
Il principe saudita Mohammed bin Salman annuncia l'idea di cedere quote della principale compagnia del mondo nel settore degli idrocarburi. Un progetto ambizioso che potrebbe avere effetti positivi per l'economia del Regno e per la sua strategia all'Opec

Dopo i rumors di queste ore anche le autorità saudite ora confermano la possibilità che Saudi Aramco, la compagnia di idrocarburi nazionale e principale società petrolifera del mondo, venga privatizzata attraverso un processo di quotazione in Borsa. In una esclusiva intervista all'Economist, il vice principe della corona saudita, Mohammed bin Salman, ha annunciato che il regno sta valutando la vendita di quote di Aramco come parte di un progetto di privatizzazione per generare ricavi in tempi di cheap oil e per combattere la corruzione e aumentare la trasparenza del mercato. Per i vertici della compagnia, che hanno rilasciato un breve comunicato, la proposta è coerente con la strada intrapresa dal regno nel cammino delle riforme, che includono la privatizzazione di vari settori dell'economia e la messa in campo di meccanismi di deregulation che la società appoggia pienamente.

 

Ora la palla passa ad un gruppo di studio che dovrà presentare un report completo al Consiglio supremo della compagnia, l'organo politico appannaggio del regno saudita, a cui spetterà la decisione finale. Ma è difficile pensare a un dietrofront. Si parla di un gruppo il cui valore stimato è di circa 1 trilione di dollari, ma alcune analisi parlano anche di 2,5 trilioni di dollari, (di fatto il soggetto privato che vale di più al mondo), anche le modalità di quotazione saranno cruciali, ad esempio, se saranno venduti certi settori, piuttosto che altri, oppure se l'Ipo riguarderà la compagnia madre o le controllate. Come ha ricordato Bloomberg, la quotazione di Saudi Aramco è un caso unico perché potrebbe essere too big to value, ovvero resta difficile valutarla con esattezza, date le dimensioni e anche considerando il fatto che le autorità di Riad non hanno mai voluto fornire dati ufficiali relativi alle effettive riserve di greggio detenute dalla società. Non è un caso comunque che, lo scorso giugno 2015, l'Arabia Saudita abbia aperto per la prima volta agli investitori istituzionali stranieri la propria borsa, il Tadawul Saudi Stock Exchange. Quella di Riad è la piazza di scambi più grande del medio oriente. Le 165 società quotate valgono circa 570 miliardi di dollari, una cifra cinque volte maggiore della vicina Borsa di Dubai, che capitalizza 97 miliardi di dollari. L’indice locale, il Saudi Arabia’s All-Share index, ha guadagnato il 15 per cento dall’inizio del 2015, uno dei risultati migliori tra quelli conseguiti dai mercati emergenti.

 

[**Video_box_2**]L'ingresso borsistico di un gigante come Aramco avrebbe, dunque, un effetto positivo senza precedenti per l'economia del regno. Quando parliamo di Saudi Aramco parliamo della storia dell'energia. Dal 1933 - data in cui la California Arabian Standard Oil Company, affiliata alla Standard Oil of California, ottenne le prime concessioni petrolifere dal regno saudita - la Aramco è stata il principale rubinetto energetico del mondo e, con la sua produzione giornaliera di circa 9,9 milioni di barili di greggio, stacca di gran lunga la National Iranian Oil Company (Nioc), seconda sul podio con una produzione di 3,68 milioni di barili al giorno. Dal quartier generale di Dhahran (la città del petrolio), il neo presidente della società, il ministro della Salute Khalid al Falih, tiene le redini di un gruppo che conta quasi 60 mila dipendenti, una galassia di sussidiarie attive nella produzione di greggio, nel gas, nella raffinazione e nella chimica. Falih ha da poco preso il posto dello storico ceo di Aramco, Ali Naimi, che dopo aver guidato per trent'anni il gruppo è stato nominato ministro del Petrolio per gestire la difficile partita che Riad sta giocando all'interno dell'Opec, il cartello dei paesi produttori di idrocarburi. Proprio la privatizzazione di Saudi Aramco potrebbe rafforzare la posizione dell'Arabia Saudita all'interno del cartello, avendo maggiori disponibilità finanziare per poter alimentare la sua strategia di affossamento della produzione statunitense di shale gas e tight oil.