Una raffineria petrolifera nel distretto di Qatif, nella regione orientale dell'Arabia Saudita

Tra sunniti e sciiti c'è di mezzo anche il petrolio

Luca Gambardella
Nello scontro tra Iran e Arabia Saudita le risorse energetiche rischiano di aggravare il confronto settario

L’Iran ha accusato l’Arabia Saudita di aver bombardato la sua ambasciata a Sana’a, in Yemen, di averla danneggiata e di aver ferito alcuni membri del personale. Nel paese è in corso già da un anno un confronto militare tra le due potenze regionali, in cui Teheran sostiene la minoranza sciita degli Houthi e l’Arabia Saudita appoggia l’ex presidente sunnita Ali Abdullah Saleh. Sebbene alcuni testimoni abbiano negato che l’ambasciata sia stata colpita, quella di oggi è l’ulteriore dimostrazione che il confronto tra Riad e Teheran va ben oltre le provocazioni. L’esecuzione del leader sciita Nimr al Nimr di domenica scorsa ha portato in pochi giorni alla rottura delle relazioni diplomatiche fra l’Iran e i paesi sunniti della regione. Soprattutto, la provocazione di Riad ha acceso la rabbia popolare: migliaia di sciiti hanno protestato in piazza a Teheran e Baghdad e hanno dato fuoco alle foto del re saudita Salman cantando slogan contro la famiglia reale sunnita. Da Riad, la dinastia regnante ha provato a minimizzare il rischio di uno scontro diretto tra Iran e Arabia Saudita. Il principe Mohammed bin Salman, ministro della Difesa saudita e nuova stella della corte di re Salman, ha spiegato all'Economist con toni molto diplomatici che il suo paese "sta facendo di tutto per evitare la guerra" e che l'esecuzione di Nimr non ha niente a che fare con l'Iran.

 

Toby Craig Jones ha spiegato sul New York Times che Riad ha deciso di giocarsi la carta dell’odio settario perché messa sotto pressione dalla particolare congiuntura politica ed economica. I prezzi del petrolio precipitano, le relazioni con gli Stati Uniti sono ai minimi termini, la guerra in Yemen non sta portando i risultati sperati. La famiglia reale, insomma, si è indebolita e con l’esecuzione di Nimr ha deciso di mandare un segnale chiaro: nonostante le difficoltà, il paese è unito e non tollera alcuna forma di dissenso interno. Il riferimento è alla minoranza sciita che rappresenta tra il 10 e il 15 per cento della popolazione saudita e che si concentra in un territorio sul lato orientale del regno. Il distretto di Qatif ha una particolarità: contiene quasi tutti i principali giacimenti di gas e petrolio del regno. Come spesso capita in medio oriente, le linee etniche e religiose e quelle dei giacimenti degli idrocarburi combaciano difficilmente, aggravando il confronto tra minoranze e maggioranze. L’Arabia Saudita non fa eccezione e, dice Craig Jones, per sopire ogni forma di opposizione al potere centrale Riad ha deciso di usare la mano pesante contro gli sciiti.

 


La mappa pubblicata dal sito Intercept. In verde scuro, le aree sciite. In verde chiaro quelle sunnite. In viola quelle a maggioranza wahabita. In nero i pozzi petroliferi e in rosso i giacimenti di gas


 

Nimr al Nimr (originario di Awamiyya, al centro della regione più ricca di petrolio del paese) aveva guidato le rivolte del 2011 denunciando i soprusi della casa reale verso la minoranza sciita, predicando il sollevamento del popolo dai regimi dittatoriali. Cosa ancora più preoccupante, Nimr era favorevole alla secessione della regione sciita. Sin dal secolo scorso, Riad aveva adottato una politica bilanciata nei confronti delle minoranze, senza arrivare allo scontro aperto. Ma a partire dalle rivolte sciite in Bahrain del 2011 contro la monarchia sunnita, e fino alla guerra in Yemen del 2015, la casa regnante ha cambiato strategia. Ha impostato il confronto con qualsiasi forma di dissenso su basi settarie, ha demonizzato la minoranza sciita e ha compattato attorno a sé il blocco di paesi sunniti alleati.

 

[**Video_box_2**]Jon Schwarz ha pubblicato sul sito Intercept una mappa geografica dettagliata per spiegare la relazione pericolosa che esiste in Arabia Saudita tra petrolio e dissenso religioso. La cartina l’ha disegnata un professore della scuola di formazione delle forze speciali dell'aeronautica militare statunitense della Florida. Mostra la diffusione dei giacimenti fossili nel regno e rende graficamente molto chiaro il problema della distribuzione delle risorse. L’odio settario, puntualizza Schwarz, esiste da molto tempo prima che il petrolio fosse scoperto, ed è da sempre ben radicato tra sunniti e sciiti. Oggi però, le risorse energetiche possono accelerare o aggravare il confronto confessionale. Il fatto che una minoranza religiosa detenga la quasi totalità del petrolio che mantiene in piedi l’economia della maggioranza, soprattutto in una fase critica come quella che vive oggi la dinastia Salman, rischia di rendere ancora più instabile il confronto.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.