Mohamed bin Salman (foto LaPresse)

Il vendicatore di Riad

Daniele Raineri
Ci eravamo abituati all’idea di un’Arabia Saudita controllata da una gerontocrazia da barzelletta, una famiglia reale di pretendenti al trono con un’età media più vicina agli ottanta che ai settanta, emblema dell’immobilismo arabo viziato dagli incassi del greggio.

Roma. Ci eravamo abituati all’idea di un’Arabia Saudita controllata da una gerontocrazia da barzelletta, una famiglia reale di pretendenti al trono con un’età media più vicina agli ottanta che ai settanta, emblema dell’immobilismo arabo viziato dagli incassi del greggio. Invece alla corte dei Saud un anno fa c’è stato un cambiamento che si è rivelato più travolgente di quanto apparisse al momento – anche se è arrivato in modo controllato e guidato da linee dinastiche. Il 23 gennaio, alla morte di re Abdullah, il successore Salman ha nominato il figlio Mohamed ministro della Difesa, non ancora trentenne e quasi sconosciuto alle cronache del regno (che invece oggi riempie ogni giorno).

 

Bin Salman sta interpretando la nomina – che assomma a molti altri incarichi – in modo diverso dal canone consueto del regno dei Saud, per cui i giovani principi devono considerarsi inattivi e attendere il proprio turno tenendosi occupati in vacanze debosciate al largo delle coste sarde oppure esiliandosi in ascetismi pericolosamente borderline con l’estremismo. Bin Salman è attivo e ha una visione, e questo forse è un pericolo. L’intelligence tedesca ha distribuito alla stampa un rapporto riservato – mossa inusuale, da cui il governo di Berlino ha preso le distanze – che definisce il principe Bin Salman “un rischio per la stabilità del medio oriente” a causa delle sue decisioni impulsive – come quella che ha portato alla guerra in Yemen nel marzo scorso, in cui lui ha avuto un ruolo chiave. In questi giorni la scelta deliberata di creare un caso diplomatico esplosivo con l’esecuzione dell’imam sciita Nimr al Nimr fa parte di questa nuova linea assertiva del regno, anche se in questo secondo caso non c’è un collegamento diretto con il principe Bin Salman. Il giornale inglese Independent ha una circolare distribuita alla polizia in cui si avvisa dei possibili disordini con giorni di anticipo, come dire: a corte sapevano che ci sarebbe stata una reazione.

 

Prima di parlare di guerre, però, vale la pena notare che l’arrivo di Mohamed bin Salman e del padre è coinciso anche con una rivoluzione nel campo degli affari internazionali con l’Arabia Saudita. Prima, con il vecchio re, ad avere la parte più importante nel business saudita era – a parte il settore dell’energia – lo storico e solito Bin Laden Group, imparentato come tutti sanno con l’Osama fondatore di al Qaida ma anche conglomerato prediletto del regno, tanto da essere scelto anche per i lavori sontuosi di ristrutturazione – o stravolgimento, a seconda di chi parla – delle città sante di Mecca e Medina. Il Bin Laden Group oggi non conta più come prima, il colpo di grazia alla sua immagine di favorito del trono è arrivato a settembre quando una gru è crollata in un cantiere della Mecca sopra una moschea uccidendo più di centodieci fedeli, e il gruppo ha visto rescissi una quantità di contratti con il governo. Ai manager è stato imposto di non poter lasciare il regno fino a quando l’inchiesta non sarà conclusa.

 

Ora nell’èra Salman e figlio gli affari si fanno con tre grandi conglomerati, particolarmente vicini ai regnanti: lo Zamil Group l’Almabani General Contractors e il Nesma. Questi contatti e contratti riguardano anche l’Italia. Nel 2014, Nesma ha creato un consorzio anche con Ansaldo Sts e Salini – Impregilo per la costruzione della linea 3 (la più lunga) della metropolitana della capitale Riad. Un lotto che vale circa 23 miliardi di dollari per lavori lunghi più di quaranta chilometri. L’uomo che controlla Nesma si chiama Saleh Ali al Turki, sta rivivendo una seconda giovinezza con l’arrivo al trono di Salman e ora è molto corteggiato dalle compagnie straniere che vogliono fare affari in Arabia Saudita. Saleh Ali al Turki ha anche un profilo d’affari più discreto nel settore della Difesa, grazie a una sua compagnia di nome Pannesma che dal 2012 gestisce in joint venture con Raytehon, il colosso americano dei sistemi d’arma. Assieme stanno sviluppando le capacità di controllo, di comunicazione e di elettronica della Difesa saudita. Si tratta di una commessa importante, perché il figlio di Salman a dicembre ha lanciato una nuova dottrina strategica e militare del regno (con una dichiarazione unilaterale: alcuni paesi l’hanno appresa dai media), che prevede la creazione di una lega di 34 paesi sunniti impegnati assieme contro lo Stato islamico – anche se molti osservatori ritengono che il vero obiettivo sia prepararsi a un confronto ancora allo stato potenziale con l’Iran. L’aggiornamento tecnologico della Difesa commissionato da al Turki fa parte di questo nuovo corso.

 

Un secondo punto della nuova dottrina militare è che l’Arabia Saudita dovrà essere in grado di difendersi in autonomia, leggi: senza chiedere l’aiuto degli americani. Per ora è un traguardo lontano, il regno viene da decenni di atrofia, sta incassando colpi spaventosi dalle milizie Houthi che spesso scavalcano il confine con lo Yemen e attaccano su territorio nazionale – quando in teoria la guerra doveva andare al contrario: truppe saudite che attaccano gli Houthi in Yemen. Ma in proiezione il concetto di un regno del Golfo che si regge sulle sue gambe, considerato che Washington ha raggiunto l’indipendenza energetica e si sta disincagliando il più possibile dalla sabbia mediorientale – anche troppo – è senz’altro interessante. Mohamed bin Salman vuole fare con la capacità militare saudita quello che negli anni Novanta il Qatar ha fatto con l’informazione tv e la creazione di al Jazeera.

 

[**Video_box_2**]Come segnala il sito IntelligenceOnline, che a Bin Salman e alla sua rete di aiuti e uomini d’affari ha dedicato un profilo approfondito lo scorso ottobre, i nuovi reali hanno una forte connessione con la Spagna, grazie a un businessman siro-spagnolo, Mohamed Eyad Kayali, che da traduttore del re ne è diventato partner d’affari, aiutando imprese spagnole a ottenere appalti sauditi decisamente redditizi.

 

Bin Salman ha un rivale acerrimo, il successore al trono che lo precede nella linea ereditaria, Mohamed bin Nayef (ma è meglio non speculare a proposito di cosa succede dentro il palazzo, secondo una massima generica che vuole gli stranieri sempre in errore su cosa succede per davvero). Il rivale maggiore del principe potrebbero per ora essere le sue stesse decisioni: la guerra in Yemen è un disastro umanitario, gli aerei bombardano obiettivi civili, una qualsiasi soluzione sul campo o diplomatica sembra al momento non realistica e i gruppi estremisti se ne stanno avvantaggiando.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)