Più canone per tutti

Redazione
La priorità, sulla Rai, non dovrebbe essere un trucco anti contribuente

Qual è la ragion d’essere del servizio pubblico in un mondo in cui l’offerta d’informazione e intrattenimento è divenuta sterminata e ubiqua? Secondo la logica, il cosa viene prima del come, e il perché prima del cosa. Quando parliamo di Rai, però, la logica spesso si capovolge e le questioni di dettaglio – cioè di poltrone o di quattrini – ottengono priorità assoluta. Così, da mesi, il dibattito in materia si concentra sulla governance e sulle modalità di finanziamento dell’azienda di viale Mazzini, mentre rimangono inevase le questioni relative al suo ambito operativo, al suo ruolo e alle sue funzioni – nonché alla sua stessa centralità nel sistema televisivo italiano. Omissioni ancor più significative, se consideriamo l’imminente scadenza della concessione e la perdurante latitanza dal contratto di servizio, terminato nel 2012 e non ancora rinnovato.

 

L’annuncio con cui il premier ha confermato l’intenzione di agganciare la riscossione del canone alla bolletta elettrica non si discosta dalla tendenza a mettere in sicurezza l’assetto della Rai senza prima affrontare gli equivoci sulla sua missione; poco importa se ciò avviene a spese della coerenza del sistema. La natura tributaria del canone, introdotto da un regio decreto del 1938, è da decenni pacifica in giurisprudenza, ma l’imposta è sempre stata ancorata al possesso di “apparecchi atti od adattabili alla ricezione” delle trasmissioni. Se i primi tentativi di scardinare tale costruzione passavano per l’estensione della categoria a computer e smartphone, il canone in bolletta implicherebbe piuttosto il superamento radicale del suo presupposto.

 

[**Video_box_2**]Al di là dei cortocircuiti giuridici, mimetizzare un tributo all’interno di una tariffa – peraltro già appesantita da oneri di varia natura e di ostica lettura – addosserebbe indebitamente alle compagnie elettriche la responsabilità della riscossione, aprendo a una serie di problemi pratici facilmente immaginabili, che vanno dalla doppia imposizione ai mancati pagamenti. Infine, ne farebbero le spese i contribuenti, la cui consapevolezza del tributo finirebbe annegata tra kilowatt ora e costi di dispacciamento. Se il principio è che al finanziamento del servizio pubblico debbano contribuire tutti, meglio sarebbe addebitarlo alla fiscalità generale, come avviene per esempio in Spagna. Certo, questo imporrebbe di reperire altrove quelle stesse risorse. Intanto, il pretesto del “pagare tutti per pagare meno” già vacilla: dai 60-65 euro paventati a novembre si è passati a 100, e ulteriori rialzi futuri daranno meno nell’occhio. Dallo storytelling all’illusione finanziaria il passo è breve.

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