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Il canone al tempo di internet. La Bbc lo estende ai contenuti web. E la Rai?

Giovanni Battistuzzi

La televisione di stato britannica intende rendere fruibile il servizio on-demand solo a chi ha regolarmente pagato l'imposta. Perché l'azienda di Piazza Mazzini potrebbe seguire il modello britannico.

“Hai pagato il canone Tv? E’ necessario per guardare qualunque tipo di programma su iPlayer. Lo dice la legge”. E' la scritta che appare a chi dal Regno Unito si collega alla piattaforma online della Bbc. La televisione di stato britannica ha deciso di rendere fruibile il servizio on-demand – che comprende lo streaming dei programmi in onda e l'archivio storico delle trasmissioni, dei reportage e degli speciali televisivi – solo a chi ha regolarmente pagato il canone.

 

Secondo una ricerca effettuata dal governo inglese, a non pagare l'imposta per finanziare la radiodiffusione sarebbe circa il 6 per cento dei contribuenti inglesi, per un mancato introito di circa 150 milioni di sterline all'anno. In Gran Bretagna il pagamento del canone è obbligatorio per chi "vede in diretta o registra i programmi trasmessi" – esentati dal versamento sono i residenti oltre i 75 anni e chi pur possedendo il televisore lo utilizza per altri scopi (smart tv, videogiochi, home cinema) – e calcolato sul nucleo familiare. Il cambiamento delle abitudini ha però costretto il Bbc Trust, l'organo di amministrazione e governo della compagnia, a chiedere al parlamento un adeguamento della normativa. E così si è arrivati alla proposta di estendere il pagamento della tassa anche a chi usufruisce dei servizi della radiotelevisione pubblica anche dall'iPlayer. Proposta accolta, nonostante non sia stato trovato ancora il modo per controllare l'effettivo pagamento del canone senza il coinvolgimento degli operatori telefonici (al momento i contenuti sono visibili a tutti, ma chi si connette a questi e non ha pagato il canone può incorrere in una multa sino alle mille sterline).

 

Se infatti nel 2012 era lo 0,2 per cento dei contribuenti inglesi che non possedeva televisori a usufruire regolarmente dei servizi online e on-demand della rete pubblica, il numero è sensibilmente aumentato negli ultimi anni: nel 2014 è arrivato a toccare l'1,1 per cento, mentre nel 2016 è salito al 3,4 per cento. Una percentuale non insignificante per la televisione di stato britannica che, non potendo finanziarsi tramite le inserzioni pubblicitarie (se non nella sua sezione per worldwide), vorrebbe aumentare le entrate allargando il bacino dei paganti, dato che il governo non sembra intenzionato ad aumentare il canone, ora di 145,5 sterline (circa 170 euro), per non scontentare l'elettorato. Come fare però a far pagare l'imposta anche agli utenti senza creare una nuova tassa ad hoc? L'idea più facilmente percorribile è quella di creare un'identificativo personale elettronico a ogni nucleo familiare che paga il canone con il quale poter accedere a un numero X di dispositivi elettronici. Un progetto che potrebbe essere avviato facilmente, ma che non abbasserebbe sensibilmente la percentuale di evasori.

 

 

Al di là delle problematiche tecniche, a osservare con interesse quanto sta succedendo nel Regno Unito è l'Italia. Se infatti l'inserimento in bolletta del canone farà aumentare le entrate della Rai, facendo diminuire l'evasione, ora al 27 per cento – dato più alto in Europa –, i bilanci in perdita (di poco inferiori ai 30 milioni di euro quello consuntivo del 2015 approvato dal cda a maggio), l'alto costo medio per dipendente (79.300 euro rispetto ai 55.800 euro in Gran Bretagna, come ha ricordato sul Corriere della Sera l'ex commissario alla spending review Roberto Perotti), e la diminuzione dei proventi legati alla pubblicità (658,9 milioni rispetto ai 674,9 del 2015), potrebbero spingere l'azienda radiotelevisiva pubblica italiana ad adottare il modello inglese. Una possibilità ancora lontana, ma non più remota.

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