Un centro per richiedenti asilo in Germania (foto LaPresse)

Solidarietà in tedesco

Pierluigi Mennitti
Tra squilibri est-ovest, rifugiati, e il via libera agli aiuti per Atene: la generosità fiscale ha un limite.

Berlino. Il sostantivo “Solidarität” (solidarietà) ha curiosamente la stessa desinenza di “Austerität” (austerità), in tedesco come in italiano, e non è affatto scomparso dal vocabolario del governo di Berlino. L’approvazione degli aiuti alla Grecia, secondo molti, ne sarebbe la conferma. Aggiunto a un altro sostantivo, “Zuschlag” (più o meno “maggiorazione”), quel termine forma ad esempio una di quelle interminabili parole composte che tanto caratterizzano la lingua di Goethe: Solidaritätszuschlag. Altro non è che una sovrattassa. Per farsela digerire meglio, i tedeschi hanno creato il solito acronimo, “Soli”, che suona quasi come un vezzeggiativo. Nata nel 1991 come contributo temporaneo per i costi della guerra nel Golfo e spese aggiuntive per le ex regioni della Ddr, venne poi istituzionalizzata nel 1995 come aiuto suppletivo alla ricostruzione delle regioni orientali tedesche. A 25 anni dalla riunificazione, alcuni Länder dell’ovest non vorrebbero più pagarla, ritenendo che la sua funzione sia ormai esaurita. Il partito di Angela Merkel (e del suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble) pensa di ridurla progressivamente a partire dal 2020, fino ad abolirla del tutto. L’Spd è contraria, così come i vertici cristiano-democratici dell’est che temono di perdere il flusso di denaro e i consensi annessi.

 

Come accade a molte tasse solidaristiche, anche la Soli non ottempera più solo ai compiti per i quali era nata. Secondo uno studio dell’Handelsblatt, nel biennio 2015-2016 gli introiti incamerati dalla Soli ammonteranno a 84 miliardi di euro, di cui solo 27 verranno riversati nelle regioni orientali. I restanti 57 miliardi prenderanno altre destinazioni, non ultima quella del risanamento dei conti tanto caro a Schäuble. Così la Soli accende le tentazioni di chi vorrebbe utilizzarla per affrontare nuove emergenze. L’economista Clemens Fuest, direttore del prestigioso Zew, il Centro per la ricerca economica europea di Mannheim, ha proposto con un editoriale sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung di aumentarla dell’8 per cento per tre anni in modo da finanziare gli ulteriori aiuti alla Grecia.

 

Da un’emergenza all’altra, da Atene ai profughi. In Germania è scattato l’allarme e, nelle ultime settimane, il flusso di immigrati ha messo in crisi il sistema di accoglienza. Centri di primo arrivo stracolmi, uffici per le richieste d’asilo presi d’assalto, nuove strutture di ricezione sempre più bersaglio di attentati incendiari, specie nei piccoli centri dell’est. I tempi di smaltimento delle domande di asilo si sono allungati, in alcuni centri sono scoppiate risse tra immigrati, poi scontri con polizia e abitanti. La Germania ha promesso la disponibilità maggiore a condividere il fardello dell’accoglienza fra i grandi paesi dell’Unione europea, la stessa cancelliera Merkel è parsa negli ultimi giorni più apertamente consapevole che questa sarà la sfida cruciale dei prossimi anni. Ma intanto i comuni, su cui grava il peso finanziario e organizzativo maggiore, sono al collasso. Le stime dei nuovi arrivi vengono di settimana in settimana viste al rialzo: l’ultima, avallata dal ministro dell’Interno Thomas de Maizière, fissa in 800 mila i nuovi arrivi entro l’anno. Il doppio rispetto al tetto massimo raggiunto agli inizi degli anni Novanta, quando si intersecarono la guerra in Yugoslavia e le migrazioni dall’Unione sovietica in disfacimento e dai paesi dell’Europa dell’est. Se la Germania non vuole soccombere sotto le sue buone intenzioni dovrà trovare nuove risorse economiche per finanziare il rafforzamento del sistema complessivo dell’accoglienza. E secondo il ministro delle Finanze dello Schleswig-Holstein, la verde Monika Heinold, la via più rapida ed efficace sarebbe proprio quella di destinare ai comuni una quota consistente della sovrattassa di solidarietà. Una proposta portata sul palcoscenico mediatico dei talk-show dall’attore Til Schweiger, entrato da qualche settimana a piedi uniti nel dibattito sui profughi dopo essersi accapigliato sui social network con utenti non propriamente solidali.

 

Meno ricchi di quanto si creda. Uno studio

 

[**Video_box_2**]Un tasto delicato, quello dei profughi, in un paese che appare spaccato a metà fra sostenitori e critici del flusso di persone in arrivo. Gli equilibri interni tedeschi sono più fragili di quanto appaiano all’esterno e la narrativa del gigante pronto a far boccone del resto d’Europa non regge il confronto con la realtà dei numeri. L’ultimo rapporto del Diw, l’Istituto di ricerca economica di Berlino, realizzato per conto della fondazione dei sindacati Hans Böckler, ha in qualche modo confermato la controversa analisi sui patrimoni degli europei che la Bundesbank rese nota un paio d’anni fa, all’indomani del salvataggio di Cipro. Nel decennio fra il 2003 e il 2013, il patrimonio netto dei tedeschi ripulito dall’effetto dell’inflazione è sceso a 116.840 euro, un calo del 15 per cento pari a circa 20.000 euro. Colpa soprattutto del fatto che i tedeschi sono stati per anni restii a investire nell’acquisto di case. Ma è anche la conferma che i patrimoni tedeschi sarebbero inferiori a quelli di molti altri popoli europei. Ieri, nella sua newsletter per gli addetti ai lavori, l’analista del Financial Times Wolfgang Munchau scriveva: “Uno degli enigmi dell’Eurozona è l’enorme differenziale tra la potenza economica tedesca e la ricchezza economica tedesca. Un anno fa le statistiche che dimostravano che i tedeschi sono, in media, meno ricchi dal punto di vista patrimoniale dei greci e dei ciprioti, sollevarono un dibattito acceso sull’equità dei salvataggi a favore dei paesi periferici”. C’è da giurare che il nuovo studio del Diw farà discutere. La generosità fiscale, da usare dentro e fuori il paese, ha un limite.

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