Henry Cai, capo degli investimenti in Asia della Deutsche Bank

Berlino s'interroga sullo shopping cinese nell'industria 4.0 tedesca

Pierluigi Mennitti
Altro che “sì” del Bundestag legato alle privatizzazioni greche. In Germania c’è una campagna acquisti di Pechino

Berlino. In Europa c’è chi maligna sulla coincidenza temporale tra approvazione del pacchetto di aiuti alla Grecia da parte del Bundestag, avvenuta ieri, e la decisione presa 24 ore prima dal governo ellenico di Alexis Tsipras di aggiudicare 14 aeroporti regionali al gestore tedesco Fraport. Ma a Berlino l’attenzione dell’establishment è già rivolta altrove. Infatti la rincorsa dell’industria cinese verso la quarta rivoluzione industriale passa proprio per la Germania. A guidarla è un uomo d’affari di 61 anni considerato uno dei banchieri più influenti nell'estremo Oriente: Henry Cai, nativo di Shangai e fino allo scorso febbraio capo degli investimenti in Asia della Deutsche Bank. A lui il governo di Pechino ha affidato i primi 1.000 miliardi di dollari che al momento costituiscono il fondo di investimenti che dovrà fare breccia nel cuore della piccola e media imprenditoria tedesca già lanciata sull’onda della cosiddetta industria 4.0. E’ l’ultima frontiera della rivoluzione industriale, la fabbrica tecnologica intelligente, digitalizzata e connessa nei processi produttivi, in grado di essere guidata e controllata da ogni angolo della terra. La Germania vi si è incamminata con qualche ritardo, ma proprio il successo dei talvolta sconosciuti campioncini industriali tedeschi in Asia ha convinto i cinesi che l’acquisizione del loro know-how tecnologico realizzerà il sogno di saltare i cicli di sviluppo industriale e trasformarsi in poco tempo da catena di montaggio per prodotti a bassa qualità per i mercati globali a moderna superpotenza industriale. Passa anche da questa scommessa la capacità di reagire alla peggiorata congiuntura economica degli ultimi tempi.

 

Gli imprenditori cinesi hanno già avviato il tour di shopping in Germania e il fondo gestito da Cai, uno che conosce a fondo uomini e mercati dei due paesi, serve a finanziare gli acquisti. Pechino e Berlino hanno fissato le linee guida della cooperazione fin da quando, nell’ottobre dello scorso anno, il primo ministro Li Kequiang incontrò Angela Merkel alla cancelleria. Lo scorso maggio il governo cinese ha varato il programma “Made in China 2025”, il piano decennale di politica industriale che sosterrà la rincorsa tecnologica. E a metà luglio il ministro dell'Economia tedesco, Sigmar Gabriel, ha fissato in Cina gli ultimi bulloni della cooperazione: la Germania non ha timore dell’offensiva cinese ed è pronta a giocare la partita per sfruttare gli investimenti di Pechino.

 

Già negli ultimi anni, i soldi cinesi hanno salvato o rinforzato imprese tedesche: con mezzo miliardo di euro Lenovo ha inghiottito l’azienda hi-tech Medion, Skyworth ha resuscitato dalla bancarotta un’azienda ricca di tradizione nel settore dei televisori come Metz, Shanggong-Gruppe ha rimesso in piedi un altro marchio storico come Dürkopp Adler, leader delle macchine per cucire e cinese è la Putzmeister (pompe per calcestruzzo). Sono duemila le imprese tedesche partecipate in parte o in toto da capitale cinese e, nonostante i timori per la salvaguardia di know-how e brevetti, le esperienze dal punto di vista imprenditoriale sono positive.

 

Secondo il think-tank berlinese Mercator Institute for China Studies (Merics), l’ondata di acquisizioni cinesi in Germania – ma anche nel resto d'Europa – è appena agli inizi. “E’ cominciata una nuova era del capitale cinese – scrive Mikko Huotari nell’introduzione all'ultimo rapporto pubblicato – che, sull’onda della liberalizzazione economica e di una svolta fondamentale nel modello di crescita, vedrà nel prossimo decennio la Cina trasformarsi nella forza globale trainante del flusso di investimenti”. Gli esperti del Merics hanno anche azzardato i numeri: la proprietà cinese nel mondo si quadriplicherà nei prossimi 5 anni, passando dai quasi 6 mila miliardi e mezzo di oggi a 20 mila miliardi nel 2020. Ancora all’inizio del secolo, il volume annuale degli investimenti cinesi in Europa era quasi pari a zero. Nel 2014 aveva raggiunto i 14 miliardi di euro, con mille nuove attività, fra imprese fondate ex novo, fusioni o acquisizioni. La Germania ha occupato il secondo posto dopo la Gran Bretagna nella campagna acquisti, con 6,9 miliardi di euro investiti fra il 2000 e il 2014, ma da quattro anni i rapporti si sono invertiti e, se in altri paesi europei l’interesse cinese è calato, in Germania si è registrata un’impennata, con investimenti annuali stabilizzatisi sui 2 miliardi di euro.

 

[**Video_box_2**]“Per trent’anni è stata la Germania a investire in Cina, portando in quel mercato emergente la sua forza imprenditoriale – conclude Huotari – Ora i capitali iniziano il percorso inverso”. Il bisogno è enorme. In un’intervista, Cai ha ammesso che “la rincorsa cinese verso l’industria 4.0 parte da posizioni arretrate, dal momento che in larghe aree del paese e in molte imprese non è stato ancora completato il passaggio dalla seconda fase dell’industria elettrica alla terza dell'automazione”. Esiste un network di internet avanzato, costituito da società cinesi ormai note come Xiaomi, Huawei, Alibaba, che può costituire la base infrastrutturale, ma serve un salto di qualità nell’impresa manifatturiera: “Mancano ingegneri, tecnici, lavoratori specializzati che accompagnino le imprese nella digitalizzazione e interconnessione dei processi produttivi”, ha concluso Cai. La stessa struttura internet dell’economia cinese è votata a favorire il commercio online più che l’ottimizzazione dei processi di produzione industriale. Troppi nerds e troppo pochi ingegneri, insomma. Ma la Germania, con la tecnologia delle sue piccole e medie imprese avanzate, può essere la scorciatoia per bruciare le tappe.

 

L’ultima trovata delle autorità tedesche è il dating. Un paio di mesi fa, un gruppo di 80 manager della regione di Guangdong è stato ospite di imprese tedesche in Assia e Baviera ed è poi approdato negli uffici del ministero dell’Economia di Monaco. Dove ad attenderli c’era un gruppo altrettanto nutrito di possibili partner tedeschi, accompagnati da consulenti e avvocati. Alla ricerca dell’anima gemella, gli imprenditori si sono conosciuti, in qualche caso si sono stretti la mano e sono passati ai contratti. Finora prevalgono i sorrisi: i cinesi non nascondono di mirare al trasferimento del patrimonio tecnologico delle imprese partecipate o acquisite, i tedeschi lasciano fare. Gli esperti ritengono che si sorriderà solo fino a quando nel mirino resteranno le imprese di seconda fila.

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