Le chance di Mps sono appese al “consigliere ombra” Draghi

Alberto Brambilla
La banca senese da tempo è sotto il pressing delle Autorità europee ma non è più in emergenza. Bail in, fusioni e nuovi vertici

Roma. Niente in questi anni ha fatto infuriare i contribuenti più dei salvataggi bancari di stato, i “bail out”. Fare pagare le perdite agli azionisti e ai creditori – ai privati e non più ai cittadini – sembra dunque una buona idea. Questa procedura chiamata “bail in” è stata tradotta in direttiva europea (Bank recovery and resolution directive) e ieri il Parlamento italiano l’ha approvata, in ritardo rispetto alla tabella di marcia dopo le sollecitazioni della Commissione europea giunte a maggio anche nei confronti di altri dieci paesi Ue inadempienti. Alcuni osservatori, ieri il Sole 24 Ore, temono che la prima banca a fare da “cavia” per questo meccanismo possa essere il Monte dei Paschi: sarebbe un’ulteriore ingerenza nella vita della banca senese da parte delle Autorità europee. Mps è ritornata al profitto nel primo trimestre di quest’anno per la prima volta dopo tre anni, a seguito di una sofferta operazione di ristrutturazione della rete di sportelli (850 chiusi), della forza lavoro (2.700 licenziati) e l’avvio della pulizia dei bilanci dai crediti in sofferenza. Durante questo processo le autorità europee – agendo come un consiglio di amministrazione ombra – hanno imposto agli azionisti due aumenti di capitale consecutivi nel giro di un anno per complessivi 8 miliardi di euro.

 

Il primo, caldeggiato dalla Commissione, nel giugno 2014 per 5 miliardi di euro. Il secondo da 3 miliardi è stato imposto dalla Banca centrale europea, che da novembre è l’Autorità unica di vigilanza sul sistema bancario dell’Eurozona, come conseguenza del fallimento degli stress test da parte di Mps. E’ stato chiuso il 12 giugno scorso con successo. I piccoli azionisti che non hanno potuto fronteggiare le onerose richieste sono usciti perdenti dall’investimento. Le operazioni di ricapitalizzazione hanno consentito alla banca di restituire allo stato 4,1 miliardi di prestiti ricevuti (Monti e Tremonti bond) a fronte di alti interessi crescenti nel tempo; un cappio di cui la banca aveva convenienza a liberarsi rapidamente. La nazionalizzazione del Monte è dunque stata blanda. Il Tesoro è ora il secondo azionista (4 per cento) in conseguenza della conversione in azioni della residua quota di prestiti pubblici assumendo una funzione di  garanzia agli occhi del mercato. La tensione patrimoniale è alleviata e ci sono le premesse perché Mps si risollevi. Tuttavia la Bce non ha mancato di ravvisare in questi mesi una prolungata situazione di debolezza nella qualità degli asset, nell’esposizione sui titoli di stato, nella liquidità, nella capacità di generare profitto e nella governance e in aprile ha formalmente sollecitato Mps a eseguire un’aggregazione con un altro istituto europeo. Ieri il cda ha dato ufficialmente mandato agli advisor (Ubs e Citigroup) di cercare un partner. Ma la possibilità di arrivare a una fusione in tempi brevi è pregiudicata anche dal nuovo processo di revisione e valutazione prudenziale della Bce sui requisiti minimi di capitale (Supervisory review and evaluation process, Srep), i cui meccanismi di calcolo sono al momento oscuri per gli analisti e rischiano di complicare le concentrazioni nell’industria bancaria in Italia, che pure la trasformazione in società per azioni delle maggiori banche popolari dovrebbe incentivare.

 

[**Video_box_2**]Di sicuro l’aggregazione di Mps andrà gestita con tranquillità: pare dunque auspicabile che Francoforte allenti la pressione sul Monte, come ha scritto ieri MF/Milano Finanza, o più chiaramente che liberi il cda dalla sua ingombrante presenza diventata ora meno urgente. Il vero cda importante si unirà il 6 agosto con la prossima semestrale, che darà la progressione dei conti operativi della banca, e discuterà l’uscita annunciata del presidente Alessandro Profumo. Si capirà anche se un eventuale “cavaliere bianco” uscirà allo scoperto.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.