Il presidente della Cassa Deposititi e Prestiti, Franco Bassanini, con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto laPresse)

La Cassa di Renzi

Redazione
In Via Goito, nel bunker umbertino della Cassa depositi e prestiti, il ribaltone lo aspettavano da tempo. Non così i nomi e i tempi: Claudio Costamagna al posto di Franco Bassanini alla presidenza; Fabio Gallia a quello dell’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini. In un colpo solo.

Roma. In Via Goito, nel bunker umbertino della Cassa depositi e prestiti, il ribaltone lo aspettavano da tempo. Non così i nomi e i tempi: Claudio Costamagna al posto di Franco Bassanini alla presidenza; Fabio Gallia a quello dell’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini. In un colpo solo. Benché Bassanini mantenga con Matteo Renzi buoni rapporti (girano anche voci di una sua candidatura alla Corte costituzionale, ma manca la certezza dell’operazione), che il premier volesse più attivismo dalla cassaforte pubblica che amministra 242 miliardi di risparmio postale, lo si era visto almeno su due dossier: la rete digitale a banda ultralarga, e l’Ilva.

 

Sul primo punto, per la verità, Bassanini non ha mancato di dire la sua nelle scorse settimane e negli scorsi mesi. Con tanta convinzione, nel nome di una rete “future proof” come ama ripetere, al punto da apparire alle volte più oltranzista della linea elaborata dal consigliere renziano Andrea Guerra, ex Luxottica e ora anche lui pronto al trasloco da Palazzo Chigi (destinazione dal 15 ottobre Eataly). Il polo pubblico-privato con tutti gli operatori e ruolo guida della Cassa depositi e prestiti (che controlla Metroweb, la più estesa rete europea in fibra ottica, anch’essa presieduta da Bassanini che da player non ha mancato di atteggiarsi anche a consigliere dell’arbitro) si è però scontrato con il “no” della Telecom, titolare della rete in rame, e con una rovente polemica tra Giuseppe Recchi, presidente dell’ex monopolista telefonico, e appunto lo stesso Bassanini. Il che ha fatto dire a Guerra “sulla banda larga sto perdendo 6 a 0”.

 

Anche sull’Ilva si era stagliato il profilo di Guerra, autore a fine 2014 del piano di ricapitalizzazione che inizialmente prevedeva due miliardi a carico di Via Goito. Impossibile, allora, a norma di uno statuto che impediva salvataggi. Per lo stesso motivo, nel 2013, Bassanini e Gorno Tempini minacciarono le dimissioni quando Enrico Letta chiese soldi per l’Alitalia allora in semi-default, prima dell’arrivo del cavaliere bianco Etihad. Modificato lo statuto per poter finanziare soggetti “di interesse generale”, cioè indicati dal governo, la Cassa è entrata nel decreto salva Ilva con un prestito di 400 milioni. Ancora poco? Nessuno, neppure tra i più statalisti consiglieri di Renzi pensa in realtà di trasformare la Cdp in una Iri 2.0. Eppure quando giorni fa si è materializzato quale altro possibile ad il nome di Gaetano Miccichè, direttore generale di Intesa Sanpaolo e già fautore ai tempi di Corrado Passera della “banca di sistema”, qualche dubbio è venuto. L’ipotesi Gallia appare più conservativa, anche se i giochi non sarebbero chiusi: l’interessato è stato infatti appena confermato amministratore delegato di Bnl-Bnp Paribas.
Tuttavia del nuovo tandem il nome che suscita più interesse è quello di Costamagna. Per il modo, innanzi tutto: se l’ad della Cassa è di competenza del Tesoro, la nomina del presidente è invece delle fondazioni bancarie, azioniste al 18 per cento. Ma nessuna parola è finora venuta da Giuseppe Guzzetti, da 15 anni presidente della loro associazione e della Fondazione Cariplo, la più potente avendo sotto di sé Intesa e prima azionista privata della Cdp. In questo silenzio c’è chi scorge l’implicito assenso all’operazione Costamagna: per 20 anni alla Goldman Sachs, oggi presidente di Salini Impregilo, ma soprattutto vicinissimo all’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi e al mondo bancario che ruota appunto intorno alla Cariplo (della cui privatizzazione fu consulente) e al presidente di Intesa Giovanni Bazoli. Placet, quindi, in nome di un agreement renzian-prodiano, magari suggellato da una informata anticipazione del ricambio alla Cdp pubblicato dal Corriere della Sera, azionista Intesa. Di certo Costamagna ha studiato per Prodi dossier di primo livello, dalle privatizzazioni bancarie alla stessa Telecom, fino all’idea inattuata di una fusione Intesa-Unicredit. A unirlo al Professore c’era poi la forte amicizia comune con Angelo Rovati, il poliedrico imprenditore, politico e consigliere di Palazzo Chigi scomparso nel 2013, del quale Costamagna fu testimone alle nozze con la stilista Chiara Boni. Costamagna lasciò Palazzo Chigi dopo la divulgazione di un piano di riassetto di Telecom, su carta della presidenza del Consiglio, che scatenò la rabbia di Marco Tronchetti Provera. Corsi – ma forse non necessariamente ricorsi – storici.