Franco Bassanini (foto LaPresse)

Quel pasticcio che spinge Bassanini a diventare banchiere

Alberto Brambilla

I rischi per Cassa depositi e prestiti se la controllata Sace si fa banca per decreto. Ambizioni confindustriali e dissidi interni.

Roma. La Cassa depositi e prestiti è di fronte a una crisi esistenziale rimasta finora latente. Il governo ha decretato la trasformazione in banca della sua controllata Sace, gruppo assicurativo e finanziario attivo nel credito all’export, esponendo la Cdp al rischio – finora schivato – di rientrare anch’essa, in quanto conglomerata, sotto la vigilanza di Banca d’Italia e di dovere sottostare ai vincoli bilancistici europei. Cdp non può permetterselo: soffre uno squilibrio patrimoniale che non sarebbe concesso a nessun istituto ordinario, dovrebbe ridurre il sostegno a plurimi settori produttivi nei quali investe oppure chiamare un aumento di capitale impalatabile per gli azionisti (Tesoro e Fondazioni bancarie). “Se diventa banca, meno sostegno al paese”, ha sintetizzato il presidente Franco Bassanini. L’incidente potrebbe rientrare con delle modifiche al provvedimento.

 

Tuttavia emerge una certa imperizia nel confezionamento del decreto “Investment compact”, comprendente la creazione di una società finanziaria per le ristrutturazioni industriali fatta ad hoc per salvare l’acciaieria Ilva (con la Cdp sempre protagonista). Il testo definitivo non è stato vistato con anticipo dalla Cdp, pur introducendo per essa una norma potenzialmente esiziale. In uno scambio di e-mail alla vigilia del Consiglio dei ministri decisivo del 20 gennaio, l’Ufficio di presidenza della Cdp ha risposto a un’esplicita richiesta di chiarimenti dell’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini confermando che nella bozza in possesso “non è presente nessuna norma riguardante la possibilità per Sace di fare direct lending”. 

 

Gli ingredienti del pasticcio si rintracciano al ministero dello Sviluppo economico, attivo nell’estensione del decreto, e in Cdp percorsa da dissidi intestini. L’erogazione diretta di crediti per incentivare le esportazioni – oltre ai finanziamenti indiretti, già previsti – in astratto porterebbe Sace ad avere una potenza di fuoco da almeno 20 miliardi di euro. Innovazione gradita all’universo delle imprese di Confindustria dal quale provengono sia il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, ex presidente dei giovani industriali, sia il suo vice Carlo Calenda, già direttore dell’Area strategica affari internazionali a Viale dell’Astronomia. In ottica di posizionamento elettorale, in vista della successione di Giorgio Squinzi alla presidenza di Confindustria, sarebbe argomento efficace di propaganda.

 

Questi elementi si incrociano con l’ambizione dell’ad di Sace, Alessandro Castellano, di emanciparsi dal controllo della Cassa per muoversi con maggiore autonomia rispetto alla gestione di Gorno Tempini, in scadenza l’anno prossimo. Autonomia ricercata con la tentata quotazione di Sace in Borsa per farla uscire dall’orbita di Cdp privatizzandola, sulla scia di Fincantieri sbarcata a Piazza Affari a luglio. Resta da capire quale sia la volontà del legislatore in questa fase sviluppista della Cdp che spinge a modificarne la natura giuridica dell’ente, interrogativi sollevati ante-decreto dalla Corte dei Conti. Il modello di riferimento identificato da Bassanini è la Kreditanstalt für Wiederaufbau (Kfw), potente banca tedesca per la ricostruzione nata col piano Marshall, dove la banca per l’export (Ipex) non è sottoposta a vigilanza della Banca centrale europea e si  finanzia attraverso la Kfw stessa a condizioni favorevoli (grazie al rating tripla A di Berlino). In Italia una banca per l’export che finanzia la raccolta tramite Cdp motiverebbe la censura della lobby delle banche private, l’Abi, intollerante verso un concorrente para-pubblico in un settore aperto al mercato com’è quello creditizio.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.