Ursula von der Leyen (Foto LaPresse)

Oltre i sette figli di Ursula

Giulio Meotti

Perché il modello tedesco spiega come l’Italia può affrontare la sua drammatica crisi demografica

Roma. L’Italia ha “perso” una città della grandezza di Palermo. E’ questo l’equivalente del calo demografico in cinque anni. Meno 677 mila italiani dal 2014. E’ scritto nel rapporto dell’Istat diffuso ieri. Meno 18 mila nascite nel 2018 rispetto all’anno precedente, pari al quattro per cento. Siamo a un “nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia”. La popolazione in un solo anno è diminuita di 124.427 unità, che sarebbero almeno il doppio senza gli immigrati. Negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza sono stati 638 mila. Senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato di un milione e 300 mila unità. “Per la prima volta negli ultimi novant’anni si configura una fase di declino demografico”.

  

Ma è tutto il sud Europa che si trova nella fase di consunzione fisica. Nei giorni scorsi, la Spagna ha segnato un ulteriore calo delle nascite: meno 40 per cento in dieci anni. “La termite demografica: come la denatalità sta distruggendo la Spagna”, titola il Mundo.

  

La Germania, un paese sempre aggregato al nostro negli indici di recessione demografica, di figli invece torna a farne. Non ci sono soltanto i sette di Ursula von der Leyen, la nuova presidente della Commissione. “Perché il tasso di natalità della Germania è in aumento e quello dell’Italia no”, scrive l’Economist di questa settimana. Tra il 2006 e il 2017, il tasso di fertilità in Germania è salito da 1,33 a 1,57. “Si è allontanato dall’Italia e dalla Spagna e ora è identico alla media dell’area euro”. Le spiegazioni sono tante. Le donne tedesche nate nel 1973 hanno più figli di quelle nate nel 1968. “La Germania ha anche reso più facile crescere bambini. Ci sono le generose leggi sul congedo parentale. E fra il 2006 e il 2017 il numero di bambini sotto i tre anni iscritti agli asili è passato da 286 mila a 762 mila”. La Germania è tornata a investire in maternità. Ma c’è soprattutto l’immigrazione. “Nel 2017 le donne siriane in Germania hanno avuto 20.100 bambini, rispetto a 2.300 tre anni prima. Afghane e irachene ne hanno più di cinquemila”.

  

Tomas Sobotka, un ricercatore dell’Istituto di demografia di Vienna, stima che oltre la metà dei nuovi nati in Germania negli ultimi anni viene dall’immigrazione. Avverte però la Welt di ieri: “Se oggi ci sono 52 milioni di persone in età lavorativa, ci si aspetta entro il 2035 una contrazione di circa 4-6 milioni. Entro il 2060, il numero di persone economicamente attive potrebbe scendere a 40 milioni”. Nonostante la forte immigrazione negli ultimi anni e l’aumento dei tassi di natalità, anche la società tedesca invecchierà drammaticamente nei prossimi decenni. Lo dice anche l’Ufficio federale tedesco di statistica (Destatis): “Complessivamente, il 60 per cento del tasso di natalità registrato tra il 2011 e il 2017 è attribuibile alle madri straniere”. Anche la Welt spiega che il futuro demografico tedesco poggia sugli immigrati. “Tra il 2014 e il 2017, 2,6 milioni di giovani sono arrivati in Germania. Nove migranti su dieci hanno meno di quarant’anni, più di un terzo addirittura meno di venti”.

 

Quella demografica è una questione doppiamente significativa, in quanto è sia la più importante sia quella meno discussa sul futuro europeo. Eppure aveva già scritto tutto Cesare Pavese nel “Mestiere di vivere”: “Chi non fa figli per non mantenerli, manterrà quelli degli altri”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.