
Elaborazione grafica di Giuseppe Valli da foto Fred Stein Archive/Getty Images e Olycom
intrigo internazionale
Sfida inglese a Mussolini. La spia era un monsignore del Vaticano
Una storia inedita, tirata fuori da una stinta cartellina dell’Archivio centrale dello stato. Così i servizi fascisti si ingegnarono contro Thomas Croft-Fraser, alto papavero di Pio XII, e finirono coinvolte le più alte sfere della Santa Sede e del Regno
Il dottor Carmine Senise sospettò indigesta sin dalla intestazione la sfogliatella cartacea che avevano deposto sulla sua scrivania, con la corrispondenza quotidiana, la mattina di martedì 16 luglio 1940 (XVIII Era fascista). L’alto funzionario, direttore generale della Pubblica sicurezza e vice capo della Polizia, aveva forse già gustato poco prima una vera sfogliatella riccia o frolla, anche se era difficile trovarle a Roma, magari assieme al coabitante e inseparabile collega Leopoldo Zurlo, “signor censore” al ministero dell’Interno. Per lui c’era sempre un pasticcere di fiducia, e benché l’Italia fosse al trentaseiesimo giorno di guerra, Senise dovette entrare al Viminale di umore festoso perché l’onomastico è una data che tra i napoletani conta più del compleanno.
Gli scriveva su carta intestata del ministero della Guerra il capo del Controspionaggio militare e Servizi speciali (Csmss), colonnello dei Carabinieri reali Santo Emanuele, protégé del conte Galeazzo Ciano. Temuto dai nemici e riverito dagli amici, l’ufficiale era stato l’artefice delle più delicate (ma è davvero un eufemismo) operazioni segrete e s’era fatto clamorosamente strada fino a ottenere, dal sottosegretario alla Guerra Ubaldo Soddu, la piena autonomia dal Sim, il Servizio informazioni militari. L’oggetto della lettera era un sacerdote inglese, Thomas Croft-Fraser, e il sospetto nei suoi confronti era pesante. Spionaggio. Roba che in tempo di guerra ti portava dritto al Tribunale speciale per la difesa dello stato e poteva terminare con sentenza inappellabile alle prime luci del giorno dopo, nella piazza d’armi di Forte Bravetta. Davanti, anzi di schiena, al plotone d’esecuzione.
Fosse stato un prete qualunque, già la faccenda si sarebbe annunciata rognosa. Va bene che Pio XII, pontefice da un anno e quattro mesi, teneva a mostrarsi più conciliante del Pio che lo aveva preceduto, ma un sacerdote è un sacerdote anche se suddito di uno stato nemico. Il fatto è che Thomas Croft-Fraser, nato a Londra il 9 gennaio 1893 da nobile lignaggio scozzese, nemmeno era un prete qualunque né un semplice monsignore, ma un alto papavero del Vaticano. Con questo sgradito regalo il dottor Senise celebrò la festa della Madonna del Carmelo. Non poteva far finta di niente né trattare la lettera come se fosse la scartoffia di un informatore. Il colonnello Emanuele non era tipo da passare una patata bollente alla polizia e poi scordarsene. S’era premurato di indirizzare pure al ministero degli Affari esteri – col timbro di “Segreto” – la missiva con cui chiedeva l’allontanamento del religioso dall’Italia.
Comincia nel caldo della prima estate una vicenda che si concluderà solo con gli incipienti freddi di novembre, e che trascurata dagli storici crediamo di raccontare per la prima volta. Ne resta testimonianza in una stinta cartellina azzurra conservata all’Archivio centrale dello stato tra i documenti della divisione Affari generali e riservati della Direzione generale pubblica sicurezza. Il caso non ebbe pubblicità durante né dopo, eppure coinvolse le più alte sfere della Santa Sede e del Regno, una nobildonna celeberrima, ministri e persino il Quirinale. Chissà Mussolini: di certo non poté ignorarla ma evitò di intervenire direttamente, mentre il capo della Polizia Arturo Bocchini la seguì in prima persona riuscendo appena a vederne l’epilogo. Sarebbe morto subito dopo.
Cosa lesse Senise quel mattino? Che il sacerdote, residente a Roma ormai da undici anni, “ha sempre mantenuto stretti rapporti coi funzionari dell’Ambasciata britannica noti quali elementi dell’I.S.” (l’Intelligence Service); che “era anche in relazione con Sir Gregory John Duncan, ex sottosegretario al Foreign Office, proprietario di una villa ad Assisi, recentemente arrestato in Svizzera per attività informativa a favore della Inghilterra”; che “effettua frequenti viaggi – per scopi non potuti precisare – in varie città del Regno, particolarmente a Terni, Spoleto e Foligno, centri militarmente importanti per produzione bellica o per altri motivi”. Nel rapportino, frutto di pedinamenti e investigazioni, si aggiungeva che il monsignore “dispone di larghi mezzi finanziari: più volte ha ricevuto dall’agenzia britannica ‘Reuter’ – tramite la Barclays Bank – assegni di importo variabile fra le 50 e le 60 sterline, per compensi di natura che non è stato possibile chiarire”. “Risulta che dopo l’arresto di Duncan in Svizzera fu confidenzialmente avvertito dall’Ambasciata britannica di sospendere ogni attività, ciò che dette più sicura consistenza ai sospetti già esistenti nei suoi riguardi”. Il colonnello Emanuele non dubita: Croft-Fraser è una spia che si serve dello status ecclesiastico per andarsene in giro a curiosare ed è perciò “da tempo oggetto di vigilanza da parte degli organi di controspionaggio, vigilanza che è stata intensificata in questi ultimi tempi in dipendenza dello stato di guerra”. L’inglese è dipinto come “uomo scaltro”, che “per sottrarsi a controlli nei suoi contatti esteriori, si appoggia molto a case ed istituti religiosi, per cui non è facile seguirlo e colpirlo”. Il colonnello se ne rammarica: “Pur mancando la prova giuridica per denunziarlo al Tribunale speciale quale agente informatore del servizio inglese, vi sono fondati elementi di sospetto che autorizzano a considerarlo con coscienza tranquilla persona pericolosa, specie nell’attuale momento. Si rappresenta il caso per l’azione che codesto ministero riterrà opportuna al fine di promuovere l’allontanamento dal Regno dell’indesiderabile sacerdote”.
Senise sottopone subito la pratica al senatore Bocchini: c’è tra loro pluridecennale confidenza, da quando erano giovani funzionari; napoletano e fumantino il primo, sannita e algido il secondo. Quando Carmine si lamenta troppo, Bocchini lo chiama “la suocera”. E di certo “la suocera” gli avrà domandato: “Artù, cu’ sto prèvete che facimmo?”. Il monsignore è cappellano della Basilica di Santa Maria in Montesanto a piazza del Popolo, nota in futuro come “chiesa degli artisti”. E’ “chierico beneficiato” e “primo cerimoniere della Basilica di San Pietro”, un incarico che lo pone a contatto con il Papa perché gli assegna la responsabilità liturgica di tutte le funzioni che si celebrano nel più importante tempio della cristianità.
Sua Eccellenza Bocchini prende tempo: due giorni dopo restituisce la lettera timbrata a Senise. La preghiera in calce, vergata a mano, è “di mantenere nei riguardi dello straniero di che trattasi l’opportuna vigilanza”. Agli Esteri invece se ne lavano le mani: il 24 luglio un telespresso riservato, firmato d’ordine del ministro Ciano, “ha il pregio di far presente che da parte di questo Regio Ministero nulla si oppone che nei confronti dello straniero in oggetto vengano adottati i provvedimenti che si riterrà più opportuni”. (Ovvero: fate voi).
La partita resta in carico al Viminale dove lasciano passare altri giorni, poi fanno mostra di non aver capito bene la richiesta con cui si concludeva la lettera del colonnello Emanuele. Anzi s’avanza qualche perplessità, che sarà stata condivisa dal sottosegretario all’Interno Guido Buffarini Guidi (la titolarità del dicastero, come di quello della Guerra, era in capo a Mussolini): “Si prega di far conoscere”, scrive l’8 agosto Senise firmando “pel ministro”, “se si debbano dare disposizioni agli organi di polizia per l’allontanamento dal Regno dello straniero in oggetto, specificando quale provvedimento si ritenga opportuno adottare qualora il Croft-Fraser non riesca ad uscire dall’Italia. Infatti, dato l’attuale momento, non sarà facile allo straniero in parola procurarsi i relativi visti per recarsi all’estero”.
Secca, il 19 agosto, la risposta del Controspionaggio: “Qualora Croft-Fraser non riesca ad uscire dall’Italia dovrà essere internato, quale elemento pericoloso nell’attuale momento”.
Alla Polizia non resta che procedere su queste indicazioni, però con calma e un sagace ammorbidimento. Se la bufera è prevedibile, tocca almeno rimandarla o mitigarla: solo il 2 settembre Bocchini scrive al questore di Roma affinché disponga l’allontanamento del monsignore dal Regno, ma “qualora non riesca ad uscire pregasi prendere accordi con l’autorità ecclesiastica competente” per trasferire Croft-Fraser in un istituto religioso – così eludendo l’ipotesi dell’internamento – in una provincia a scelta fra ben tredici elencate (c’è pure Perugia, malgrado proprio in Umbria il colonnello Emanuele abbia segnalato le più losche manovre).
La grana, o la granata, scoppia il 10 del mese, quando l’ufficio di Bocchini è tempestato di lettere. La prima è dello stesso monsignore, che l’8 settembre ha ricevuto dalla Regia Questura l’ordine di lasciare l’Italia entro cinque giorni. Scrive in terza persona: “Dato che egli non si sia mai occupato di politica ed ha sempre tenuto un atteggiamento corretto ed amorevole verso l’Italia che da tanti anni benevolmente lo ospita, non ha potuto non rimanere addolorato per il provvedimento preso al suo riguardo”. Poi fa presente di avere ricoverata a Roma la mamma ottantaquattrenne, senza altri parenti che lui, da nove mesi a letto per la rottura di un femore e sofferente di cuore: “Lo scrivente non esagera quando afferma che il suo allontanamento sarebbe per la madre un colpo tale da causare la morte”. Croft-Fraser “supplica” pertanto “di voler benignamente sospendere il provvedimento preso a suo riguardo; salverà così da sicura morte una povera vecchia, madre di unico figlio il quale resterà eternamente grato alla medesima Eccellenza Vostra”.
Meno patetica è la lettera che giunge a Bocchini, contemporaneamente, dal canonico segretario del Capitolo di San Pietro, Giovanni Bressan, già segretario particolare di Pio X. Da monsignor Croft-Fraser, avverte, “dipende il buon andamento” delle cerimonie che hanno luogo nella Basilica Vaticana e che “si svolgono con molta frequenza”: “Funzioni papali e capitolari, ricevimenti di principi e di rappresentanti diplomatici ecc.ecc.”. Sono tutte affidate al primo cerimoniere, che risulta essere “per la Basilica Vaticana elemento indispensabile”. Il suo allontanamento, si legge tra le righe, sarebbe uno sgarbo allo stesso pontefice, perché Croft-Fraser “non è facilmente sostituibile, sia per la ristrettezza del tempo, e sia principalmente per il complesso cerimoniale, che esige per essere appreso un certo periodo di tempo, che nel caso mancherebbe”. Il Capitolo Vaticano “ha tutto l’interesse e fa umile istanza” affinché il prelato resti nel suo ufficio, e Bressan specifica di parlare anche a nome del cardinale Federico Tedeschini, amico di papa Pacelli e presidente della Fabbrica di San Pietro.
Sempre quel giorno arriva a Bocchini anche l’appunto della Nunziatura apostolica d’Italia, che “raccomanda vivamente il caso” del monsignore. Al Viminale cercano appigli. Si legge in fondo all’appunto la nota a matita: “Vedere se ha precedenti alla Div. Polizia Politica”, su cui viene impresso un timbro specificante “Nulla”.
Croft-Fraser com’era prevedibile ha fomentato il Vaticano, che il governo fascista nel periodo bellico reputerà falsamente neutrale, anzi “un covo di spie” soprattutto per la presenza del ministro britannico Godolphin Osborne D’Arcy (si sospetta pure che il sostituto della Segreteria di stato Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI, lo favorisca nelle attività). Già prima del conflitto i servizi di intelligence italiani si trovavano in una situazione unica al mondo: la presenza di doppie rappresentanze diplomatiche, presso il Quirinale e presso il Vaticano. Le prime furono chiuse allo scoppio della guerra, le seconde rimasero operative per quanto costrette entro i confini della Santa Sede, sorvegliati e tuttavia permeabilissimi a cominciare proprio dalla Basilica di San Pietro, per l’impossibilità di proibire a chicchessia l’accesso alle funzioni religiose. I diplomatici possono telegrafare solo “in chiaro” notizie ai rispettivi governi oppure avvalersi della “valigia papale”, che viaggia regolarmente verso i nunzi di Berna e Lisbona per essere da lì smistata tra le diverse capitali. Osborne se ne serve utilizzando per i messaggi un cifrario che sarà fotografato grazie all’infedeltà di un cameriere e decrittato dai servizi italiani, capaci di violare discretamente anche valigia e corrispondenza. Appena lo intuisce, il diplomatico continua a scrivere facendo finta di niente, con notizie fuorvianti per Roma ma che non danneggiano Londra o il Vaticano. Un acrobata delle parole.
E’ plausibile che il colonnello Emanuele non avesse torto: quando Osborne è costretto lasciare l’appartamento panoramico occupato dal 1936 in via Mercadante 36, per confinarsi nello spartano ospizio di Santa Marta, gli sarà parsa utilissima l’attività di un sacerdote suo connazionale che conosce benissimo Roma ed entra ed esce a piacimento da Città del Vaticano. In più Croft-Fraser è una fonte eccellente: non frequenta ambienti ordinari, ma la high society.
Bocchini ha modo di constatarlo, perché quel 10 settembre un’accorata donna spedisce un telegramma al ministro delle Finanze, conte Paolo Thaon di Revel. E’ Vittoria duchessa di Sermoneta, nata principessa Colonna e consorte di Leone Caetani, il grande arabista oppositore del fascismo che l’ha abbandonata con un figlio infelice per andarsene in Canada. Colta e affascinante, il suo volto preso a modello per la Quadriga dell’Unità del Vittoriano, la duchessa “scongiura” l’aiuto del ministro “per mio amico Monsignor Croft Fraser Canonico di San Pietro abitante 197 via Babuino nazionalità inglese ordinato lasciare Italia fra quattro giorni sua madre moribonda clinica Blue Sisters disperato abbandonarla imploro ottenere permesso che rimanga con lei confido della Sua bontà saluti affettuosi”. Thaon di Revel con lettera intestata del dicastero gira il telegramma a Bocchini. “Per notizia”. Ossia si fa latore ma senza caldeggiare.
Non è l’unica intercessione sollecitata dalla nobildonna: il 13 settembre una lettera firmata d’ordine del ministro Buffarini Guidi, qualificata “urgentissima”, parte dal Viminale per il Controspionaggio. Oltre a trasmettere le “vive premure” del nunzio apostolico per la revoca dell’allontanamento, informa il colonnello Emanuele che “nell’interesse del Croft-Fraser è stato inviato a S.M. il Re Imperatore un telegramma dalla Duchessa di Sermoneta”. Più esplicita e di sfumatura ben diversa è la minuta vergata a mano e poi corretta: “del Croft Fraser ha anche chiesto notizie S.M. il Re Imperatore, cui è stato indirizzato un telegramma della Duchessa di Sermoneta” (evidentemente, cautela suggerisce di non propalare l’intervento diretto del sovrano). Nella lettera però ci si sbilancia pregando “di voler riesaminare” il caso del monsignore e suggerendo un’ulteriore soluzione: “Se possa essergli consentito di stare nella Città del Vaticano, da cui dovrebbe uscire soltanto per visitare, di tanto in tanto e debitamente sorvegliato, la vecchia madre”. Intanto Bocchini risponde anche a Thaon di Revel, spiegando che l’allontanamento era stato disposto a richiesta dell’autorità militare e di averla interessata a riesaminare la propria posizione.
Qualche effetto, cotante pressioni lo sortiscono. Prima positivo, poi di segno opposto. Nell’immediato è positivo perché non si dà corso all’espulsione entro cinque giorni. Silente passa il resto di settembre e forse Croft-Fraser e il Vaticano sperano di averla avuta vinta; forse Bocchini pensa che la soluzione da lui prospettata finirà per prevalere. Tutti sottovalutano la pertinacia del colonnello Emanuele, che è dal primo maggio precedente il dominus del controspionaggio di cui Soddu ha amputato il Sim, e tale rimarrà fino al gennaio 1942 quando il Csmss sarà sciolto per la soddisfazione dei capi del Servizio, i quali avevano una pessima opinione dell’ufficiale. Secondo il generale Giacomo Carboni, Emanuele aveva trasformato il controspionaggio in “una grossa azienda privata, che trattava essenzialmente affari ed interessi personali concernenti il capo ufficio, nonché protettori, clienti e parenti del capo ufficio stesso”. Analoghi giudizi avrebbe espresso il successivo direttore del Sim, Cesare Amè. L’esito della guerra sancirà la sorte del colonnello con una condanna all’ergastolo nel 1945 per l’assassinio dei fratelli Rosselli, sentenza rovesciata dalla Corte d’appello di Perugia che nel ‘49 lo assolverà per insufficienza di prove.
In quel momento tuttavia Emanuele gode della protezione di Galeazzo Ciano, che lo apprezza come “abile, senza scrupoli e sempre pronto all’azione”. Di qualsiasi tipo. Nel Diario del 1938 il conte si rammarica di un mancato intervento coi metodi del colonnello riguardo allo scrittore Emilio Settimelli (già fascistissimo poi antifascistissimo) quando si trovava in Francia, perché “Bocchini prospettò la possibilità di una soluzione legalitaria e il Duce la preferì”.
Emanuele non si smentisce e tiene duro: il 3 ottobre parte dall’ufficio di Senise un nuovo appunto per Buffarini in cui si virgoletta la riconfermata posizione del Controspionaggio. Che rincara la dose: il sacerdote “per tendenza ad esercitare attività estranee alle funzioni del suo ministero, per contatti con elementi dello spionaggio britannico e per sentimenti spiccatamente a noi contrari, deve considerarsi elemento particolarmente pericoloso per la sicurezza nazionale”. Le pressioni a vantaggio di Croft-Fraser ora gli sono rovesciate contro: “Le numerose relazioni che egli conta in ogni ambiente della Capitale – confermate dalle premure pervenute in suo favore – lo porrebbero in condizioni vieppiù favorevoli per esplicare attività a nostro danno se fosse autorizzato a permanere nella Città del Vaticano”. Il Controspionaggio smonta anche la motivazione umanitaria della mamma: “E’ noto che egli si è sempre scarsamente curato della madre affidata, da tempo, alle sole cure della clinica nella quale è ricoverata. Si esprime pertanto parere contrario alla revoca del provvedimento di espulsione adottato nei confronti di Croft-Fraser”. Con buona pace di Sua Maestà, della duchessa e delle cerimonie di San Pietro.
Bocchini non può che metterci una pezza con la Santa Sede, comunicando lo stesso giorno al nunzio apostolico Francesco Borgongini Duca che è “spiacente”: non lui ma il ministero della Guerra, “riesaminata la posizione” del monsignore, “ha confermato che deve essere allontanato dal Regno”. Se non altro, Croft-Fraser ha guadagnato molti più giorni dei cinque previsti nella prima intimazione. Viene difatti munito di foglio di via solo il 25 ottobre e la questura di Domodossola comunica per telegramma che, avendo ottenuto il sacerdote il visto d’ingresso per la Svizzera, “partirà entro oggi con transito per cotesto valico”. In realtà lascia l’Italia il giorno dopo, come da telegramma del 27: “Suddito inglese religioso Croft-Fraser Tommaso oggetto noto codesto ministero” “è ieri uscito Regno”.
Vicenda chiusa, ma non del tutto. Il Controspionaggio, informato dell’esito, risponde il 7 novembre alla Direzione generale pubblica sicurezza e per conoscenza al ministero degli Affari esteri: “Si prega compiacersi far iscrivere in rubrica permanente di frontiera, per respingimento, il suddito britannico Thomas Croft-Fraser, allontanato dal Regno per sospetta attività spionistica ai nostri danni”. Al ministero della Guerra vogliono essere sicuri che non torni più, sicché il giorno 13 tale disposizione è girata alla Divisione polizia di frontiera e trasporti.
La pesante sfogliatella del 16 luglio è stata finalmente digerita da Senise, il quale quel 13 novembre non può sapere che l’Eccellenza Bocchini, una settimana dopo, morirà per un colpo improvviso e si ritroverà lui, ancorché riluttante, a succedergli alla testa della Polizia fra alterne e burrascose vicende, da cui uscirà dopo un internamento a Dachau per aver complottato contro Mussolini e un processo al ritorno in Italia per opposte ragioni.
Quale fu la sorte del monsignore? L’ultimo documento nella cartellina azzurra è la copia fotografica di un telegramma che il 23 novembre invia da Berna all’amico Malcolm Hooper, addetto commerciale dell’ambasciata americana a Roma. Il testo è intercettato dal Controspionaggio e trasmesso dalla Divisione polizia politica ai servizi segreti delle tre Armi (Sim, Sia e Is Regia Marina). Nei giorni seguenti alla “Notte di Taranto” dell’11, quando la flotta italiana fu pesantemente danneggiata dall’incursione aerea britannica, il monsignore prega Hooper di telegrafargli “se tenente aviatore inglese Gerald Bayley abbattuto undici novembre e ferito quale ospedale oppure deceduto. Grazie. Saluti Croft-Fraser”. (Il tenente purtroppo era morto).
Il sacerdote s’era fatto latore delle ansie di una famiglia, e vai a sapere dove finisce, e soprattutto chi può tracciare, il confine che compete a un sacerdote, quello pertinente a un suddito britannico e quello proprio a una spia in tempo di guerra. Chissà poi quanto sopravvisse la madre di Croft-Fraser alla sua partenza, o se era vero che lui se ne curasse poco come sosteneva il colonnello. E se ebbe tempo di istruire un nuovo cerimoniere per San Pietro. Osborne sulla vicenda tacque. La guerra era appena cominciata e tempi duri gli si prospettavano. Lo storico Owen Chadwick lo descrisse come “soggetto a un po’ di ipocondria”, “gran signore di semplici maniere” ma insofferente dei rumori, a cui piaceva “che i suoi abiti, il vino, i whisky, i mobili, l’argenteria, fossero esattamente come avrebbero dovuto essere”. Per quattro anni a Santa Marta si dovette arrangiare. That’s life. Non si può mai sapere cosa la sorte ci riserva.
Mostriamo quindi di non sorprenderci quando peschiamo in The Catholic Standard and Times del 21 gennaio 1955 la notizia che Croft-Fraser fu richiamato un’altra volta, da ex primo cerimoniere di San Pietro, per una solenne funzione religiosa ma stavolta finta: doveva inscenarla per il film The Prisoner di Peter Glenville a beneficio di Alec Guinness, già interprete di Padre Brown e ora del primate d’Ungheria József Mindszenty, perseguitato dal regime comunista. Quella di “ecclesiastic adviser” fu l’ultima fatica del monsignore. Morì il 4 novembre del ‘56 a sessantatré anni, illuminati dalla vocazione che gli aveva fatto rinunciare all’avito Castle Fraser, lo splendido maniero di famiglia nella campagna scozzese dove dicono che un fantasma di fanciulla si diverta ancora a suonare il pianoforte.

la presentazione
Storie di resistenza civile in medio oriente. Un libro

Strega 2025 - Pagina 69
Paolo Nori allo Strega: giurati colpiti dalla sua prosa o dal suo oggetto d'amore?
