Richard Serra - foto via Getty Images

1938 - 2024

In memoria di Richard Serra, il minimalista controcorrente

Francesco Stocchi

L'artista ideò un linguaggio nuovo, completato dalle emozioni di chi lo contempla. La sua opera sfida i limiti tradizionali della scultura, creando spazi e interazioni sensoriali con il pubblico

Nato a San Francisco nel 1938, Richard Serra ha progressivamente costruito una vita dedicata alla percezione del sensibile. Padre di lontane origini spagnole, madre ebrea russa, il piccolo Richard inizia a disegnare per attrarre l’attenzione dei genitori, troppo inclini a celebrare la spiccata intelligenza del fratello maggiore. Disegna animali dello zoo, finestre, pezzi di motore, qualunque cosa incroci il suo sguardo. Funziona. Siamo nel 1959, Pollock è morto da tre anni e da autodidatta qual è Serra non ha idea di chi sia costui. Si iscrive alla scuola di pittura sotto la guida di Joseph Albers, il grande pittore teorico della relazione tra colori. Un buon maestro lascia che i migliori studenti si liberino dalla sua ombra, infatti colori e pittura saranno per Serra gli unici aspetti assenti in un linguaggio artistico unico che investirà la scultura, il video, la performance, il disegno, l’installazione.

 

Segue la sua fidanzata in una borsa Fullbright a Firenze. Conosce il Rinascimento, scopre Giotto, trae ispirazioni e dipinge ma il ruolo di epigono gli va stretto e poi il suo braccio è carico di troppa energia che aspetta solo di essere liberata dal controllo. Si reca al Prado, la vista de Las Meninas gli fa capire che c’è poco da poter aggiungere alla pittura. Velasquez è uscito dal piano pittorico inglobando lo spettatore, che altro si può fare? Dopo Madrid, Parigi dove vede l’opera di Brancusi, poi Giacometti e si convince che c’è qualche chance di aggiungere qualcosa alla scultura. Ma come? Serra ha quasi trent’anni e ancora non sa cosa e come vuole fare.
 

A Roma nel 1967 la sua prima mostra per caso presso La Salita di Liverani. Un esercizio candidamente rozzo, parecchio iconoclasta volto a trasformare la galleria in una fattoria domestica, polli impagliati e non, maiali vivi si aggirano per la mostra. Entrando si sente un forte odore. La polizia dopo tre giorni chiude la mostra ma poco importa. Serra per anni non riconoscerà questa esposizione, derubricandola a un “esercizio da studente”. Altri dopo anni lo acclamano per aver portato per primo animali vivi in una galleria. Non è vero ma il clima è giusto, quello di Pascali, della terra, dell’acqua e degli elementi rappresentati in quanto tali. Torna dove le sue ambizioni non possono che portarlo a New York dove si avvicina al Living Theatre e ad altre figure interessate più ai processi che al risultato finale. Trisha Brown, Steve Paxton, Yvonne Rainer, danza improvvisata intesa come volumi in precario equilibrio.

 

Non sa da dove cominciare, ma ciò che gli importa è il processo, scrive su un foglio di carta una lunga serie di verbi, curvare, tagliare, accorpare, distillare… Disegnare è un verbo, decide quindi di applicare queste azioni ai materiali per vedere che reazione possano avere. Fasce di cuoio appese, piombo fuso lanciato contro la parete, quadrati di ferro che si sostengono a vicenda. I materiali sono soggetti all’energia della loro stessa massa, entrano in tensione e come organismi trovano una forma. Serra si fa presto notare per un linguaggio personalissimo che conferisce pathos all’uso della materia, diversamente dai Minimalisti, refrattari a ogni segno di sentimentalismo (perché in contrasto con la deriva dell’espressionismo astratto).

 

Per mancanza di fantasia i critici lo definiscono post-minimalista. Leo Castelli punta su di lui. Con i primi guadagni, Serra prende la cinepresa e nel giro di 4 anni realizza una decina di film sperimentali. Con un’inquadratura fissa realizza degli straordinari tableaux vivants sensibili ai processi di interazione con il proprio tatto, il proprio sguardo, la propria parola. Negli anni escogiterà metodologie uniche per estendere il campo del disegno, usando il proprio corpo, creando i suoi strumenti e ubbidendo a leggi proprie alla scultura. Mediante le sue sculture decide che piuttosto che occupare, vuole creare spazi e trova nell’acciaio Corten il materiale adatto che non lascerà più, facendolo diventare il suo tratto distintivo. Realizza in tutto il mondo, dalla California alla Nuova Zelanda, gigantesche sculture pubbliche da ammirare nella maestosità dei loro volumi.
 

Una volta entrati, lo spazio creato offre una nuova consapevolezza del proprio corpo e dei suoi movimenti. Un linguaggio sensibile, attento ai processi emotivi e comportamentali del suo pubblico, che si completa con esso, malgrado l’uso di un materiale freddo, industrialmente connotato che ha fatto percepire ai più distratti sguardi l’espressione di un’arte machista, despotica e inutilmente imponente. Serra mette un punto e a capo al discorso iniziato da Brancusi sulla scultura moderna. La sua stretta di mano non tradiva l’appellativo di “uomo di ferro”, facendoti capire che “la sculture n’est pas pour des jeunes hommes” (Brancusi). Richard Serra è morto a 85 anni mentre le sue sculture sono destinate a restare ancora per un bel po’. 

Di più su questi argomenti: