Jurgen Teller, in una foto del 2003 (Wikimedia commons)

"I Need to Live"

Un fotografo di moda esploratore di umanità. Jürgen Teller alla Triennale di Milano

Francesco Bonami

Non c’è angolo della realtà e della vita che non venga azzannato dall’occhio di questo artista. Con la sua bulimica creatività ha anticipato Instagram e quella che si può definire la post-fotografia dei “post”

L’intervista di addio al Liverpool di Jürgen Klopp e la mostra alla Triennale di un altro Jürgen, Teller, enfant terrible della fotografia di moda da quarant’anni e oggi sessantenne, hanno qualcosa in comune o forse più di una cosa. La prima il bisogno di vivere. Klopp lo ha fatto capire fra le righe, a un certo punto uno si stanca della costante pressione, stagione dopo stagione senza mai tirare il fiato e arriva il momento in cui si deve tornare a respirare. Teller lo ha messo sopra le righe, nel titolo della mostra: “I Need to Live”.

Un’altra cosa che unisce i due Jürgen è il “gegenpressing” una filosofia che è molto emotiva, veloce, forte. L’allenatore la applica nelle partite, il fotografo alla realtà, di qualsiasi tipo o natura, che sia un servizio di moda o un progetto artistico non cambia nulla. Heavy Metal Football, Heavy Metal Photography. Nel corso del tempo lo sguardo di Teller non è mai cambiato, o in una sorta di gattopardismo al contrario è cambiato sempre senza mai cambiare. Teller cosciente o meno di quel che fa ha creato la vera democrazia delle immagini dove la madre, che vive in un paesino ad un’ora da Norimberga, diventa nelle foto del figlio una celebrità oppure la famosa stilista inglese Vivien Westwood fotografata nuda non più giovanissima diventa una dea madre, Venere. Oppure Charlotte Rampling fotografata pure lei nuda al Louvre o mentre suona il piano con lo stesso fotografo appollaiato sopra (il piano non la Rampling) nudo pure lui che mostra genitali e sfinteri vari. 

Non si può dire che il tutto sia poetico ma nemmeno scandaloso. Solo e semplicemente umano. Teller è un esploratore dell’umanità che tutti, celebri o falliti che si sia, non possiamo evitare di avere e mostrare. La sua bulimica creatività ha anticipato Instagram e quella che si può definire la post-fotografia dei “post”. Se tutto è immagine cosa può essere definita “immaginazione”? Teller non lo sa ma non rinuncia allo sforzo mastodontico di provare a capire. Fotografo ergo sum… altrimenti che faccio? 

 

Il mercato della moda e il mondo dell’arte lo seguono ipnotizzati e senza dubbi perché lo stile Teller è inconfondibile, che si tratti delle natiche di Kim Kardashian o del ritratto del suo famoso collega il fotografo americano William Egglestone. Non c’è angolo della realtà e della vita che non venga azzannato dall’occhio di questo artista. Può essere la finale di Champions del Bayern Monaco, di cui è tifoso sfegatato, vinta e vista con il figlio Ed. Può essere un asino che diventa destriero. Può essere una rana in giardino o la moglie, manager, musa Dovile incinta o la neonata bambina Iggy, innalzata in una chiesa siciliana come fosse un bambin Gesù di un presepe. Non è questione di afferrare l’attimo ma di allungare all’infinito l’attimo. Il momento che diventa monumento. Il corpo per Teller non è oggetto di desiderio ma soggetto super serio anche se rappresentato spesso in situazioni grottesche tipo Kate Moss buttata in una carriola da muratori o l’autoritratto nudo con i palloncini. O persino peggio se si ha lo stomaco di guardare il video autoritratto dove l’artista fa la cacca a -20 nel Circolo polare artico aiutato nell’operazione dall’attore norvegese di Succession Alexander Skarsgård. 

Un tempo i fotografi erano eroi sexy. Oggi siamo tutti fotografi, tutti eroi e tutti ci crediamo sufficientemente sexy da condividerlo con il mondo intero. Jürgen Teller nel suo attaccamento quasi infantile alla fotografia, idiot savant del mondo del lusso, è diventato un eroe popolare. Tutti vogliono farsi fotografare da lui o con lui senza ben sapere dove e come potrà andare a finire. Una cosa è certa:  Teller è contagioso, una volta visto anche noi diremo ” I need to live”, ho bisogno di vivere.