Come sono le biblioteche oggi e come potrebbero essere

Giacomo Giossi

Considerate luoghi polverosi e desueti, sono invece una risorsa per il paese, perché è dai libri raccolti  sui loro scaffali che passa un potenziale collante per il territorio. Idee per investire nella cultura, davvero 

Quando si pensa alla cultura in Italia oltre al patrimonio resta poco altro, soprattutto a livello di dibattito. E quel poco è quasi sempre declinato, o meglio ancora lasciato in carico, alle istituzioni museali, come se fossero l’unico vero ente possibile per la promozione culturale sul territorio. La principale conseguenza è così quella di rimuovere forse la rete più diffusa e sicuramente di prossimità presente in tutta la penisola, ovvero quella delle biblioteche. Una rete che al suo interno offre differenze anche sostanziali sia per la disponibilità libraria e di servizi sia per la presenza sul territorio che differisce in maniera anche fortemente rilevante, ma che ha comunque un’identità forte, in parte da decostruire in parte da valorizzare.


Ultimamente, grazie allo sforzo di due importanti studiose come Antonella Agnoli e Chiara Faggiolani, il discorso attorno alla biblioteca sta finalmente bucando i confini della biblioteconomia assumendo i toni e le dimensioni di un discorso pubblico che sia in grado di mettere in primo piano soprattutto il concetto di cittadinanza, quell’elemento nodale di un rinnovamento sempre più urgente e necessario. 


Il primo dato, il più importante, che balza agli occhi è che nell’ultimo anno – come riporta Chiara Faggiolani in un suo studio – il 90 per cento dei cittadini non è mai entrato in una biblioteca. Un dato che allarma sia perché rende in tutta la sua evidenza la necessità di ridefinire gli spazi e i servizi che una biblioteca può offrire, sia perché dimostra come questa istituzione soffra evidentemente ancora di un’incapacità di apertura reale verso la cittadinanza che è poi il suo primo motivo d’essere. 


Fatta la tara agli evidenti limiti che oggi sconta una biblioteca italiana in termini di budget, è ancora più evidente che un salto, anche radicale, va compiuto, a partire da una serie di esempi che anche sul territorio italiano stanno offrendo risposte e impatti decisamente rilevanti. Ed è proprio partendo da un’esigenza sociale e culturale che si sviluppa il discorso di Chiara Faggiolani attorno all’idea di una necessaria biblioteca contemporanea, ovvero di un luogo che abbandoni il primato del libro non per negarlo, ma per esaltarlo nella sua più ampia complessità. 


Il libro dunque come elemento non solo simbolico di accessibilità e inclusione, ma vero e proprio oggetto trasformativo. Con “Le biblioteche nel sistema del benessere” (Editrice Bibliografica), un libro collettaneo da lei curato e pubblicato alla fine del 2022, Faggiolani insiste proprio sulla necessità di un’apertura coraggiosa che coinvolga in una rivoluzione di sguardo e di contenuti i bibliotecari con le loro competenze insieme alle amministrazioni e all’utenza intesa come la cittadinanza. L’obiettivo è non solo rinnovare il sistema bibliotecario nella totalità dei suoi servizi, ma di portarlo al centro della comunità. La presenza sul territorio delle biblioteche come presidi sì culturali, ma anche e soprattutto sociali. Un’esigenza che non può essere ignorata, pena la perdita di un potenziale incredibile di socialità in una società che non può certo permettersi sprechi e che vive un invecchiamento demografico tragico oltre a un aumento dei cosiddetti neet altrettanto drammatico. Se poi tutto questo lo inseriamo in un generale isolamento sociale che coinvolge ormai per più gradi sia i cittadini delle periferie sia quel che resta del ceto medio si ha una fotografia abbastanza esatta del contesto.

 

Un dato da cui partire: nell’ultimo anno il 90 per cento dei cittadini non è mai entrato in una biblioteca


La biblioteca contemporanea dunque non è semplicemente o non può solo basarsi su una statistica di prestito di libri, ma deve diventare quel centro nodale capace di ricucire un dialogo nei territori e allo stesso tempo restituire competenze a chi ne ha bisogno abbandonando del tutto ogni possibile atteggiamento elitario rispetto alla fruizione culturale. 


Va detto in tal senso che lo sforzo di alcune amministrazioni non manca. Ad esempio a Mantova è stato promosso un dialogo sia interno sia pubblico rispetto alla capacità del proprio sistema bibliotecario di rispondere alle esigenze della cittadinanza. La città lombarda rappresenta forse un’eccezione per la qualità e la diffusione della lettura (grazie anche all’ormai più che ventennale presenza del Festivaletteratura), ma sconta una perdita di lettori giovani di fascia adulta. L’assenza di una sede universitaria e di occasioni di lavoro sono solo due degli elementi, ma già sufficienti a spiegare come un sistema bibliotecario attento e reattivo possa assolvere eventuali mancanze e anche illuminarne altre. Le biblioteche sono in sostanza il sistema nervoso di un paese, luoghi potenzialmente capaci di individuare le emergenze sociali e in parte anche di trovare delle soluzioni efficaci e condivise. 
Antonella Agnoli è forse la più nota e importante esperta di biblioteche oggi in Italia. La sua più che una professione è una vocazione che la porta ogni giorno (da anni e stoicamente) a visitare e pensare insieme ai bibliotecari e alle amministrazioni luoghi adatti alla lettura. Il suo recente saggio, “La casa di tutti” (Laterza), fa un po’ il punto su una vita di studi e di impegno, ed è la dimostrazione, attraverso una serie di esempi sul campo, di come una biblioteca possa definirsi tale solo se si pone quale spazio aperto e di scambio. Un luogo certamente dello studio e della consultazione, ma che non teme assolutamente il rumore della città. Non più una rigida istituzione, ma un enzima capace di ridefinire e rinvigorire le relazioni. Il vero confronto una biblioteca lo deve avere direttamente con la città e la sua complessità. La biblioteca deve porsi come scrive Agnoli quale “piazza del sapere”, una definizione che è anche un progetto concreto di biblioteca contemporanea aperta allo scambio intellettuale, ma anche e soprattutto affettivo. Un posto dove si può stare bene insieme agli altri senza derogare alla libertà e alle necessità di ognuno. 
In quest’ultimo anno molti sono stati i convegni in Italia che hanno fatto il punto su quello che dovrebbe essere una biblioteca contemporanea andando oltre i termini specialistici, non ultimo quello promosso da Fondazione Mondadori a Milano, città che con il progetto rinnovato della Biblioteca europea di Informazione e Cultura – progetto ancora molto discusso – partecipa attivamente alla sfida. E molte sono le pubblicazioni che stanno iniziando a raccontare la biblioteca oltre i confini tecnici e professionali, l’associazione cheFare ha prodotto una rivista scaricabile gratuitamente tutta dedicata al tema con saggi inediti e testimonianze di scrittori e intellettuali.


Tuttavia manca ancora una consapevolezza realmente diffusa, chiaramente l’impegno non è affatto banale e necessita di una costruzione lenta ed estremamente bisognosa di cura e di attenzione perché i temi e anche le professionalità coinvolte sono molte e tra loro anche molto diverse. Ma l’urgenza che sta tutta nelle statistiche espresse è evidente. Gli esempi all’estero non mancano, ma quello che occorre ora è una specificità italiana che riprenda concetti, alcuni anche rimossi, che provengano anche dalla nostra storia culturale. Ne parla efficacemente Faggiolani in “Come un ministro della Cultura” (2020) in cui reinterpreta l’esperienza della biblioteca pubblica pensata da Giulio Einaudi sia con il modello della biblioteca di Dogliani sia con la costruzione di una connessione diretta tra produzione editoriale e spazio bibliotecario. Una visione che attraversò tra gli altri anche Adriano Olivetti. Ancora una volta però sono esempi che (come fa Faggiolani) vanno raccolti, analizzati e ricontestualizzati e non abbandonati a sterili santificazioni buone per qualche anniversario o convegno di maniera. Così come risulta evidente che vanno recuperate le logiche di inclusione emerse in questi anni e che hanno segnato le migliori politiche museali. Fondamentale anche per ampliare un dibattito che al momento soffre ancora di grossi pregiudizi: il primo è quello che la biblioteca sia semplicemente un luogo più polveroso e poco confortevole.

 

La biblioteca non è semplicemente o non può solo basarsi su una statistica di prestito di libri


Un pregiudizio che  in parte, certamente e purtroppo, si sostanzia di un’esperienza reale, ma che al tempo stesso non rileva un cambiamento radicale in atto. Quel 90 per cento di cittadini che non entrano in una biblioteca racconta il bisogno urgente di un cambiamento e non di un abbandono che sarebbe solo drammatico a livello sociale quanto culturale. La biblioteca può essere un luogo di servizi di comunità in aree del paese in abbandono, aree che sono sia periferie urbane sia luoghi montani, ma anche centri turistici. Tutti luoghi che vivono una  drammatica fragilità della residenzialità. Il libro dunque come elemento costitutivo, ma anche simbolico, in quanto capace di offrire una diversità irriducibile, accogliendo avventura e passione, scoperta e conoscenza, divertimento e immaginazione. Tutto quello che tanto più in un momento di crisi economica rilevante può servire a un paese per ritrovarsi. Magari questa volta sì, migliore di prima, e non perché chiuso in casa, ma perché in grado di riabitare e riconoscere il suo territorio e le sue città.

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