Gioacchino Volpe - foto Wikipedia

il personaggio

Nella biografia di Gioacchino Volpe c'è tanto dei paradossi italiani 

Giovanni Belardelli

Un convegno sul grande storico che fu intellettuale del fascismo e uno dei massimi storici italiani del Novecento

Gioacchino Volpe fu uno dei massimi storici italiani del Novecento (“il maggiore della mia e sua generazione”, secondo Gaetano Salvemini), ma fu anche uno dei grandi intellettuali del fascismo che oltretutto, sopravvissuto a lungo alla fine del regime (morì nel 1971), ebbe sempre in gran dispetto l’Italia democratica e repubblicana, figlia ai suoi occhi della sconfitta militare e della resa. Assume perciò un rilievo particolare, che va oltre il dato locale (Volpe era nato nel 1876 a Paganica, nei pressi dell’Aquila), il fatto che il convegno su di lui che si tiene in questi giorni all’Aquila sia stato organizzato proprio dall’Istituto abruzzese per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea. 

I suoi libri sono esauriti da tempo, come è il caso, ad esempio, di uno dei suoi testi più fortunati: l’ampia sintesi di storia medievale uscita nel 1927, che concludeva anni e anni di studi originali destinati a influenzare a lungo la medievistica italiana. Di questo libro Croce criticò lo stile “cinematografico”, inteso come un’affannata accumulazione di dati descrittivi senza capacità di pervenire a una interpretazione unitaria del corso storico. Ma il suo giudizio sicuramente risentiva della rottura politica che era intervenuta fra i due, dopo anni di reciproco apprezzamento. Riletto oggi quel libro conserva molto del suo fascino, proprio per la straordinaria capacità di tenere assieme una molteplicità di fenomeni e avvenimenti, nonché per quella prosa paratattica e quello stile incalzante che dei libri di Volpe furono cifra caratteristica e molto apprezzata dai contemporanei. 

Se la storia è sempre storia contemporanea, secondo la celebre affermazione di Croce, perché nasce da stimoli e passioni del presente che agiscono sullo storico, questo è particolarmente vero nel caso di Volpe. Già i suoi lavori sul medioevo, molto attenti a ciò che avveniva negli strati inferiori della società, erano nati a inizio Novecento anche dall’assistere alle agitazioni di contadini e operai che si stavano organizzando e mobilitando. Poi la Prima guerra mondiale, alla quale partecipò come addetto alla propaganda fra le truppe, lo segnò profondamente, gli apparve la nascita di un’Italia nuova, vitale, capace di espandersi nel mondo. Fu un’esperienza determinante nel farlo passare dalla storia medievale a quella dell’Italia contemporanea, nella convinzione che il suo dovere di studioso fosse ora di fornire ai propri concittadini una storia “sostanziosa”, cioè capace di rappresentare i fatti del passato, e insieme “alata”, in grado di additare a quegli stessi concittadini alte mete, che per Volpe avevano a che fare con la potenza della nazione e l’espansione in Africa. Il fascismo lo vide avvicinarsi al movimento di Mussolini già prima della Marcia su Roma, diventando ben presto quasi storico ufficiale del regime: fu sua la lunga parte di storia del fascismo che seguiva nell’Enciclopedia Italiana (la Treccani) la parte teorica firmata dal duce in persona

La sua presenza nella vita culturale del regime fu rilevantissima, soprattutto per la sua capacità di orientare gli studi delle nuove leve di storici attraverso tutta una serie di istituzioni culturali che nacquero allora, dalla Scuola di storia moderna e contemporanea all’Ispi e all’Accademia d’Italia, l’istituzione della quale per alcuni anni Volpe fu, oltre che membro, segretario generale. Convintamente fascista – anche se prima ancora monarchico e comunque insofferente verso le tendenze più estremiste del regime – Volpe non abbandonò mai del tutto una sua indipendenza di giudizio che lo portò a qualche frizione con esponenti fascisti, non escluso lo stesso Mussolini. L’essere impregnato di idee nazionaliste non gli impedì di incoraggiare e finanziarie moltissime ricerche sulle relazioni tra l’Italia e gli altri paesi europei, che favorirono un’apertura verso l’estero della nostra storiografia per certi aspetti superiore a quella che si è potuta avere nella stessa Italia repubblicana (si pensi alle infinite ricerche degli ultimi decenni sulla storia della Resistenza o del movimento operaio “in provincia di”).

Ma il motivo di più generale interesse della sua biografia durante il Ventennio è forse un altro e risiede nel fatto che quella biografia ci aiuta anche a interpretare meglio certi caratteri della vita italiana dell’epoca. La liberalità di Volpe nei confronti dei suoi allievi, la sua indipendenza critica verso certi esponenti o aspetti del regime, non eliminano certo il fatto che l’una e l’altra si realizzavano nel quadro di una dittatura. Di una dittatura, tuttavia, con sue specifiche caratteristiche, che un certo mainstream storiografico, affiancando fascismo e nazismo come regimi entrambi compiutamente totalitari, rischia di far dimenticare. Soprattutto se guardiamo alla vita culturale italiana del Ventennio, infatti, a caratterizzarla furono anche – accanto alle censure e autocensure che certo vi furono e furono pesanti – una inclinazione alla mediazione e al compromesso, una sopravvivenza di pur limitati spazi di indipendenza, che hanno indotto qualche studioso a definire il fascismo come un “regime di convivenza” (Roberto Vivarelli) e la sua struttura totalitaria come una “macchina imperfetta” (Guido Melis).

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