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Fotografia

Biennale della foto: il legame fra industria e cultura in undici mostre 

Luca Fiore

L'industria del gioco incontra la fotografia nella sesta edizione della manifestazione di Bologna, la più interessante nel panorama italiano

La Biennale Foto/Industria di Bologna, giunta alla sua sesta edizione, si conferma la manifestazione dedicata alla fotografia più interessante nel panorama italiano. Merito, certo, delle risorse messe a disposizione della Fondazione MAST di Isabella Seràgnoli, regina del packaging, ma soprattutto della regia di Francesco Zanot, il più acuto e preparato curatore italiano di fotografia.

Le undici mostre proposte in varie sedi del centro storico (una sola, quella di Andreas Gursky, è nella sede della Fondazione) hanno come tema “Game”, il gioco. Zanot ha selezionato i progetti secondo la logica che ispira la manifestazione, che è quella di connettere il mondo dell’industria con quello dell’arte e della cultura. Lo ha fatto con la grazia di un ginnasta alla sbarra, piroettando con suggestioni colte e immagini pop. Seguendo la suddivisione proposta in “I giochi e gli uomini” di Roger Caillois, il curatore ha selezionato opere che mostrassero il gioco come macchina (macchine per giocare), come dispositivo spaziale (lo spazio del gioco), come congegno sociale e come meccanismo per l’invenzione della realtà: “Gioca! Inventa il mondo! Inventa la realtà!”, esclama l’anziana prozia di Nabokov in “Guarda gli arlecchini!”. Zanot ripesca anche il frammento di Eraclito che recita: “La vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi su una scacchiera: il potere è nelle mani del fanciullo”. Ma il curatore ha anche presente, ad esempio, che l’industria del videogioco, oggi, ha un fatturato globale di 250 miliardi di dollari, il doppio dei ricavi del cinema. 


Chi volesse visitare la Biennale, passeggiando nel labirinto dei portici bolognesi, vada sicuramente al Museo archeologico per “Flipper”, la mostra di Olivo Barbieri, che ripropone il suo primissimo lavoro. A soli 23 anni, l’artista di Carpi fotografò un magazzino abbandonato, ricolmo di bigliardini elettrici, soffermandosi sulle decorazioni, vera e propria antologia dell’immaginario pop di una generazione. L’altra opera da non perdere è “Reach Capacity”, il video della statunitense Ericka Beckman: un raffinato collage di riprese dal vivo e in studio, pensato come una sorta di breve musical ispirato a Monopoly, critica del mercato immobiliare e delle logiche perverse del capitalismo. Una curiosità per amanti della storia della fotografia, ma non solo, è la preziosa esposizione delle immagini delle fiere di Berlino del fotografo Heinrich Zille che, negli anni attorno al 1900, mostrava lo spazio del divertimento popolare. Fotografie amate da Jeff Wall, secondo cui è stato il primo a scattare foto all’immondizia, e che a Bologna vengono esposte nella versione uscita dalla camera oscura del grande Michael Schmidt. Anche Linda Fregni Nagler, artista svedese classe 1976, si occupa di un tema analogo, creando immagini notturne e misteriose dei parchi gioco di New York. Un’altra sorpresa, forse la mostra più interessante di tutte, è quella del fotografo marocchino Hicham Benohoud, intitolata “La salle de classe”. Con un bellissimo bianco e nero “à la Magnum”, l’artista ritrae i propri studenti che, collaborando attivamente nel processo, recitano la parte di se stessi e si presentano davanti all’obiettivo creando immagini spiazzanti e giocose. Non un reportage, ma un’indagine poetica sulla natura della creatività.


L’abilità di Zanot è quella di creare un cocktail di immagini equilibrato, scandito dal giusto ritmo e che tocca i temi dell’attualità (non manca l’intelligenza artificiale e neppure il nodo della “blackness”). Ognuno troverà qualcosa vicino alla propria sensibilità. Una mescolanza che viene riprodotta bene nel catalogo semplice e originale. Ma è proprio l’equilibrio ad essere la forza e la debolezza di questo progetto. Il curatore lo costruisce con perizia ma, allo stesso tempo, lo usa per nascondere o dissimulare le proprie predilezioni. Forse occorrerebbe un po’ più di coraggio. Quanto alla Biennale del Mast, la volontà di restare ancorati al tema dell’industria appare sempre di più una zavorra, che costringe chi la dirige a fare i salti mortali per garantirne la qualità. Tutte le mostre sono visitabili fino al 26 novembre.

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