Santino mancato

Tanti libri, poco immaginario pop. I cent'anni di Italo Calvino

Giulio Silvano

Dopo le roboanti celebrazioni per Pasolini, l'anniversario della nascita dello scrittore nato all'Avana si festeggiano con più sobrietà

Il rischio del centenario è quello del selfie con il morto famoso. Quando muore la celebrità i social – il caro vecchio boomerico Facebook più di tutti – si riempiono di foto, di persone più o meno famose, insieme al venerato maestro con tanto di Rip e faccine tristi, e spesso con racconti di “quando ci eravamo conosciuti, incontrati, visti”. Il più famoso dei ricordi social a ridosso del decesso resterà quello del cantautore Francesco Baccini che alla morte di David Bowie scrisse, forse troppo ingenuamente, di quando il duca bianco lo riconobbe in un pub di New York, “tu sei un cantante italiano, ti ho visto in tv”. Venne attaccato, Baccini, e ancora adesso il suo post resta negli annali dell’epica internettiana nazionalpopolare. Ecco, l’effetto assomiglia un po’ a quello quando negli anniversari, e in particolar modo in quelli tondi tondi, le vetrine della saggistica nelle librerie si riempiono di biografie e testi sul secolare autore. I ritratti esposti fanno un po’ effetto bacheca social, simili a quelli che ci appaiono quando muore una star. Se per il cantante morto si condivide la canzone, per i letterati defunti si condivide il ricordo della prima lettura, e di quanto un suo libro “mi ha cambiato la vita”.

Nel mondo editoriale si stampano o ristampano testi con la faccia in copertina, una bella foto pensosa o un disegno di Tullio Pericoli, ritrattista delle nostre glorie umanistiche. È successo bulimicamente l’anno scorso con Pier Paolo Pasolini dove tutti, dal guru lacaniano Massimi Recalcati all’eterno combattente Goffredo Fofi, hanno voluto dire la loro con dei volumi-selfie e le Feltrinelli somigliavano a un sagrato cartaceo del Duomo il giorno del funerale di Silvio Berlusconi. Copertine come santini. Del PPP uscirono l’anno scorso libri che a volte dai titoli sembravano sfiorare la parodia, e poco ci mancava che uscisse un bel “Pasolini in cucina, le ricette della ricotta” o un “Pilates con Pasolini”. E poi pure le mostre. Solo a Roma quattro: Tutto è santo, Il corpo veggente, Pasolini pittore e La Roma di Pasolini, mancava giusto un diretto interesse da parte del papato per farlo beato. E poi mostre anche a Genova, a Taranto, a Berceto e, ovviamente, in Friuli. 

E sarà forse che il centenario festeggiato questo 15 ottobre è di un personaggio meno eclettico, meno esplosivo – forse perché ligure – rispetto al poeta-regista-intellettuale etc. etc. di Casarsa, meno televisivo, senza martirio, ma comunque la lista di uscite è piuttosto folta e celebrativa. E purtroppo non c’è più Eugenio Scalfari che con piacere, come faceva spesso in editoriali e interviste, avrebbe ricordato gli anni da compagni di banco a Sanremo – “Parlavamo di libri, di Montale e Ungaretti. Altre volte disquisivamo intorno a Dio, che tra noi chiamavamo Filippo”, diceva il fondatore di Repubblica degli anni al liceo Cassini.  

Ma se quello tra Pasolini e Italo Calvino, nato nel segno della Bilancia a Cuba cento anni fa, fosse uno scontro in cui si contano i libri commemorativi post-mortem, vincerebbe senza dubbio il primo. Forse è così che nell’aldilà gli intellettuali giocano a boxe, tenendo su un pallottoliere la conta degli onori cartacei a strascico. Ed è difficile credere che a Sanremo o a Parigi ci siano, come invece ci sono al Pigneto e intorno alla Casilina di PPP, i murales con Calvino santificato, figura di tribolato veggente. Non è mai diventata, Calvino, una figura davvero centrale nell’immaginario pubblico, forse anche perché la sua morte non è stata violenta, non è mai diventato uno dei misteri d’Italia da puntata di Telefono Giallo o della Leosini. Calvino è morto per un banalissimo ictus nella sua casa di villeggiatura tra punta Capezzolo e punta Ala a sessantun anni e non malmenato a Ostia da non si sa ancora chi. Anche per lo scrittore ligure ci sono le mostre, ma comunque meno anche perché non fu fotografo o pittore. C’è quella alle Scuderie del Quirinale Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte, centinaia di “dipinti, sculture, disegni, illustrazioni di decine di artisti dal Rinascimento a oggi, codici miniati medievali, arazzi, armature, fotografie e ritratti d’autore, tutte le prime edizioni dei libri e quelle più significative”, dice la cartella stampa, poi quella al palazzo ducale di Genova Calvino Cantafavole, quella nel labirinto della Masone di Franco Maria Ricci Destini incrociati, e una al Pavillon italien del Festival del Libro di Parigi, Eccellenze Italiane. Nel paese dei pochissimi lettori (ma forti), Calvino continua a vendere tanto grazie alle prof del liceo e delle medie – che sono le vere bookinfluencer d’Italia – che fanno comprare agli studenti la Trilogia degli antenati ogni anno per le vacanze estive, in particolare Il barone rampante. Per lo scrittore si è deciso di fare una moneta commemorativa da 5 euro, di quelle che non arrivano certo nei borsellini – ne esistono anche con la Nutella e con la Lettera 22. Su un lato c’è il ritratto e un font che ricorda “il vecchio conio” e poi dall’altro lato il Barone, come un bradipo sul ramo di un albero, e sotto ci sarebbe dovuta essere Sanremo, ma per sbaglio alla Zecca di stato hanno scaricato da Google una foto di Mentone. Altro che città invisibili. 

Poco cinema nella vita di Calvino rispetto a PPP, da ricordare giusto qualche sceneggiatura e il fatto che I soliti ignoti di Monicelli sia ispirato a un suo racconto – Furto in una pasticceria – ma le poche trasposizioni che ci sono state su pellicola dei suoi libri non hanno avuto grande successo. Ci provò Marco Bellocchio a fare un film con protagonista Cosimo Piovasco di Rondò, il barone che va a vivere sugli alberi, ma i diritti ce li aveva Richard Gere. Si parla invece di una serie tratta dal libro, ora che i diritti ce li ha Lorenzo Mieli, il produttore di E’ stata la mano di Dio e di Boris. A Venezia è stato presentato Italo Calvino, lo scrittore sugli alberi di Duccio Chiarini, ed esistono altri documentari, il mediometraggio L’isola di Calvino di Giannarelli e Lo specchio di Calvino di Pettigrew, dove a interpretare lo scrittore c’è un sorprendente verosimigliante Neri Marcorè, con tanto di mano sul mento, sorrisetto sagace e occhi roteanti verso il cielo.

Ma eccoci ai libri. E come con le foto col morto su Facebook, non sono certo tutti da buttare, anzi. Anche se l’occasione fa l’uomo biografo. Come si dice sempre nelle quarte e negli articoli, ogni centenario è un’occasione per scoprire o approfondire “uno dei più amati scrittori del nostro paese”. Tra i volumi forse quello che più sembra un memoriale ufficiale è l’Italo di Ernesto Ferrero, fin dal titolo. Per quasi due decenni al timone del Salone del Libro di Torino, nonché premiato con lo Strega – Calvino lo perse tre volte, contro Moravia, contro Cassola e contro l’ormai dimenticato Michele Prisco – Ferrero è l’ultimo sopravvissuto di un’Einaudi che non c’è più, dove si poteva fare il salto dall’ufficio stampa alla direzione editoriale, e che ha ancora sentito l’energia, rimasta intrappolata tra le stanze torinesi, di quando la casa editrice indirizzava culturalmente il PCI. Il nome proprio Italo ci dice che siamo in confidenza, ma ci dice anche che qui cerchiamo l’uomo dietro all’intellettuale pubblico inserito nelle antologie scolastiche  – molto spesso gli editori cercano di vendere le biografie con l’idea “dell’uomo dietro lo scrittore”, come se potesse esistere una differenza. Il libro di Ferrero cerca di scoprire il vero Calvino. “Che cosa si estendeva sotto la punta dell’iceberg che ha voluto essere? In definitiva, chi era veramente Italo Calvino?”, si chiede l’autore. Ad esempio, scherzando, Calvino chiamava il suo esordio romanzesco sulla resistenza Il sentiero dei nidi di ragno, uscito nel 1947, Il sentiero degli stronzi di cane.

Poi, per Laterza, è stato ristampato il libro di Silvio Perrella, biografia ormai entrata nel canone, Calvino, dove parla anche del “sorriso dello stragatto astratto” dello scrittore. Per Feltrinelli ecco invece Fabio Gambaro, che è stato alla guida dell’Istituto italiano di cultura in rue de Varenne, non poteva che scrivere di Parigi, e raccontare in Uno scoiattolo a Parigi gli anni di “esilio” francese dello scrittore. Calvino fa la conchiglia di Domenico Scarpa (Hoepli), tra queste nuove uscite biografiche è la più poderosa, quella con dentro più materiale nuovo, che punta a mostrare tutti i volti del sanremese cubano. E ovviamente, re del selfie con morto in versione intellighentia editoriale, c’è Marco Belpoliti. Su Pasolini, per il centenario, aveva scritto Pasolini e il suo doppio e ridato alle stampe Pasolini in salsa piccante e oggi non può esimersi dal celebrare Calvino – così come ha celebrato, maragià delle prefazioni, abate delle curatele, Primo Levi, Pasolini, Manganelli, Gianni Celati… e, appunto, Calvino. Come l’alieno Marvin dei Looney Tunes, oplita marziano dalla voce pacata, Belpoliti sembra voler mettere la sua bandiera sui pianeti letterari che incontra nella galassia del novecento maschile italiano (ma ha anche scritto di Aldo Moro, Giacometti, Umberto Bossi e Berlusconi) operazione che svolge anche in quanto curatore della rivista Riga. Aveva già pubblicato un L’occhio di Calvino negli anni novanta, ma l’occasione del centenario è ghiotta ed esce così un volume per Electa della simpatica serie Enciclopedie: Calvino A-Z, un lemmario. Belpoliti tra l’altro aveva già scritto un libro, Italo, per Sestante, nel 1995, ma non aveva a che fare con quell’Italo, era un’opera di finzione, un tentativo di essere romanziere e non solo accademico, curatore e prefatore e, dall’anno scorso, materiale per la traccia di un tema di maturità. 

Poi, sul fronte tematico Calvino e…, Donzelli ha ridato alle stampe il Pensare l’universo. Italo Calvino e la scienza di Massimo Bucciantini – lo diceva Paolo Spriano, che lo conobbe, che rispetto a tutti i suoi coetanei, Calvino “aveva una mentalità scientifica”. E anche a questo si deve la riscoperta calvinista all’estero, oltre al post-modernismo hipsterico e al discorso sul rapporto uomo-città che oggi va tanto (Invisible cities lo troviamo in paperback in bella vista nelle librerie newyorkesi). Della ricezione di Calvino all’estero possiamo leggere i dettagli, tra traduzioni e impatto internazionale, nel libro di Francesca Rubini Italo Calvino nel mondo, appena uscito per Carocci. Il Laboratorio Calvino della Sapienza e Carocci hanno deciso di celebrare la ricorrenza varando una collana editoriale dedicata alla sua opera che comprende sintesi critiche, ricerche filologiche, studi sulla ricezione, interpretazioni, dove ha fatto riuscire anche L’utopia discontinua di Claudio Milanini. Matteo Motolese, per Treccani, ha poi curato Le parole di Calvino, sottile volume enciclopedico dove tredici linguisti hanno redatto altrettante voci, da dialetto a lessico scientifico. E sempre per Treccani Libri, è uscito, molto Zeitgeist, e infatti è stato pubblicato prima in inglese, Gli animali di Calvino, scritto da Serenella Iovino (che mescola studi di letteratura e environmental humanities) – guardiamo oggi il nostro rapporto con la natura usando gli scritti di Calvino – ed è solamente la seconda donna in questa lista (oggi nell’era dell’identità come prima spia indicatrice non possiamo che chiederci: Calvino è un autore da maschi?). 

Ma l’editore che più di tutti cavalca la ricorrenza calvinista, avendo le sue opere nel catalogo, è Mondadori. Oscar e Oscaroni, i non proprio comodissimi Baobab, consultabili meglio su un leggio. Lettere, interviste, quarte di copertina e note scritte negli anni di lavoro editoriale – come Il libro dei risvolti – o una ristampa in formato extralarge dell’Album Calvino (curato, tra gli altri, da Ferrero), e la raccolta di scritti sull’esperienza visiva, Guardare (curato da Belpoliti, anche questo), e il carteggio con Leonardo Sciascia. I nuovi Oscar calviniani sono tutti coloratissimi, un po’ un trend del momento in cui le librerie perdono grigiore e biancore, un processo di allontanamento dalla dittatura delle collane di ispirazione francese, un avvicinamento al modo anglosassone di fare libri. Look sempre meno Gallimard e più gialli borderline illustrati. O forse è un modo per ammiccare agli infantilismi fiabeschi dell’opera di Calvino. Oppure i giochi di colore sono soprattutto per alleggerire la letteratura, vista da molti come attività elitaria, grigia, pesante.

Si sa, oggi Calvino è virale in rete per la sua frase sulla leggerezza, molto spesso fraintesa. “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”, scritta con font improponibili è condivisa sulle bacheche di Facebook, a volte in uno stile da meme “buongiornissimo caffè”. “Da anni il marchio Calvino è diventato sinonimo di leggerezza, e quando di leggerezza si parla è d’obbligo citarlo, ma sin dal 1998 Alberto Arbasino ci ha avvisato che si tratta di un ‘pesante equivoco’”, scrive Ferrero in Italo. Tolta però la scomodità e le copertine giocose, gli Oscaroni contengono materiale prezioso, come la biografia di Antonio Serrano Cueto, Italo Calvino. Lo scrittore che voleva essere invisibile, Pov extraitaliano sullo scrittore. E poi le interviste raccolte in Sono nato in America, dove, rispetto al tema della produzione cartacea, racconta il ligure centenario nel 1963: “Lavoro in una casa editrice e mi piace, anche se questo lavoro mi dà un certo distacco verso la letteratura. Ne vedo anche la caducità, vedo la vertigine di questo fiume di carta, di questa crescente materia letteraria. Quante di queste parole resisteranno al tempo?”. Ecco, chissà se gli editori se lo chiedono.

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