(foto d'archivio Ansa)

A teatro

Luciano Violante dà forma a una Circe lucente e dura

Ginevra Leganza

Al Teatro Olimpico di Vicenza arriva la nuova opera di Violante. Racconta la donna di cui abbiamo bisogno in questa stagione storica: che ricordi all'uomo d'essere uomo. Sarà al teatro India di Roma dal 16 al 26 novembre

Occorre esser donne per non scacciare a piè pari un uomo colpevole. Forse donne mitiche. Tanto meglio se greche. Com’è mitica, greca, anzitutto donna, la terza figura cui dà voce Luciano Violante. La Circe che dopo Clitemnestra e Medea si prende stasera il più bel palco d’Italia, l’Olimpico di Vicenza. E che, fra le illusioni del Palladio, in controcanto alle pietre e alle fatiche d’Ercole, racconta la sua tragedia. Non di una sola ma di tutte. La tragedia non di una madre addolorata né d’una sposa delusa. Ma di ogni donna. E, ancor più, di chiunque viva il dono e il dramma di guardare al di là del destino. Oltre le convenzioni di una rotta già scritta. 

La Circe interpretata da Viola Graziosi - regia e scene di Giuseppe Dipasquale - è la regina di Ea, figlia del Sole, che conosce i mille e mille tipi umani. E così li avvicina, non per trasformarli impietosa in porci. Ma per sovvertirne i destini. Avvicina Anna Achmatova, negli anni delle epurazioni, e prima ancora di Ulisse, colpevole, incontra Giuda l’Iscariota, svelandone l’innocenza. 

 

È una Circe oltre e metastorica, che penetra col suo occhio la realtà. Fintanto che l’uomo-Ulisse non guarda che dentro sé. E più che nell’incontro, è in uno scontro di sguardi che si consuma la tragedia. In un conflitto senza tempo fra marinai, sempre lontani dalle mogli, in fuga dai mostri - che no, non sono le spose o gli Scilla e i Cariddi, ma i tormenti dell’ego - e un regno di donne. È lo scontro di un drappello che, a un certo punto del suo viaggio, s’imbatte in una piccola civiltà. Una comune di ragazze e donne posate che abitano il bosco. E che, in quanto donne, sanno vivere e amare sempre lo stesso luogo, sia pure una foresta di lupi.  Ed è qui che arriva l’uomo, stanco ma “assetato di fianchi”, a cercare ristoro. È qui che s’aspetta di trattare con un suo omologo, un altro re, e di rintanarsi in una donna sinché non incontra Circe, in manto di bisso, come in un quadro preraffaellita. La donna-dea che mescola i piani - umano e divino - che rimesta i destini in uno specchio. Quello stesso specchio che mostra all’uomo l’animale che si porta dentro: “chi volpe / chi corvo / chi verme / chi ragno”, e restituisce a Ulisse il suo ritratto, mettendo in crisi l’uomo stesso, in fuga da sé. 

 

Dopo le Clitemnestra e Medea, donne di dolore e riscatto, la Circe di Violante è lucente e dura. Severa e indulgente. Sovrana di un bosco che ha per l’ospite un dono, che è pure un veleno. Quello della propria immagine riflessa nei suoi occhi di ragazza e in uno specchio. Immagine che rifulge, nel suo splendore o orrore, al di là d’ogni convenzione o reputazione storica.  Circe è la donna che, a metà fra terra e cielo, non si cura del “si dice”, né conosce o legge almanacchi. Eppure spiana la strada al destino che è scelta, colpa, vita vissuta. Vita che ognuno vive per sé. Ulisse ad Ea è l’uomo che riparte: il colpevole accolto cui è concesso il privilegio di risalpare. Ci vuole cuore di donna, scrive Violante, per sconfiggere i mostri delle proprie inquietudini: per accogliere il colpevole senza respingere l’innocente, e ricordarsi così d’essere uomini. Ed è questo Circe. La donna di cui abbiamo bisogno, che ricordi all’uomo d’esser uomo.

Lo spettacolo dopo l’Olimpico vicentino, sarà presentato a Roma al teatro India dal 16 al 26 novembre dove potremo anche in due appuntamenti segnati godere dell’intera trilogia di Luciano Violante in un’unica maratona

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