Non c'è più nulla al mondo che sfugga al dogma della complessità

Nicola Mirenzi

Da metodo, la complessità è diventata ideologia, rifugio d’intelligenze vanitose, benintenzionati smarriti e professori cialtroni. Il saggio della filosofa Sophie Chassat contro questo mito culturale odierno 

L’immigrazione? “E’ un fenomeno complesso”. L’invasione russa dell’Ucraina? “E’ più complessa di come la raccontano i media occidentali”. Il cambiamento climatico? “Avrà conseguenze talmente complesse che è difficile anche immaginarle”. E la carbonara? Be’, anche la carbonara è di una “semplicità complessa”, dice la food blogger frafoodlove. Non c’è più nulla al mondo che sfugga al dogma della complessità: rifugio d’intelligenze vanitose, benintenzionati smarriti e professori cialtroni.

 

In un favoloso saggio pubblicato dalla Fondation pour l’innovation politique, un think tank liberale francese, la filosofa Sophie Chassat scrive una “Critica di un’ideologia contemporanea” – la “complessità”, appunto – distruggendo questo mito culturale odierno, i cui effetti nefasti si vedono al momento di tirare una qualsiasi conclusione e fare una scelta: poiché a una complessità ne segue un’altra, e poi un’altra ancora, e poi ancora un’altra, fino al punto che si rimane di fronte al mondo inebetiti dal caos, in preda al panico, immobilizzati (ma serenamente irresponsabili). 

 

Nata dal pensiero di Edgar Morin, negli anni Settanta, la complessità era un antidoto alla tendenza della scienza moderna a spezzettare la realtà in piccoli campi specifici di ricerca; era l’invito a un approccio scientifico umanistico, aperto al contraddittorio, all’imprevisto, all’irrazionale, qualità proprie dell’essere umano. Ma, da metodo, la complessità è diventata ideologia. “Il vocabolario della complessità”, scrive Chassat, “ha invaso la retorica quotidiana” finendo per “svuotare il concetto del suo senso originario”.

 

Avvolto dall’aura dell’intelligente che doveva, suo malgrado, misurarsi con la miseria dei propri interlocutori, a ogni domanda, il filosofo Jacques Derrida iniziava a rispondere dicendo: “La questione è più complessa”. In bilico tra solennità e supercazzola, un intero vocabolario è nato in seguito all’affermarsi del mito della complessità.  Dove la realtà è descritta sempre come “liquida”, in certi casi più difficili: “Gassosa”. E nulla esiste al di fuori di un “sistema”.  Ogni evento è letto attraverso un approccio “olistico” e “transdisciplinare”.

 

Per cui, se l’alluvione travolge la Romagna, guai a cercare la responsabilità degli amministratori che non hanno alzato gli argini per proteggere le nutrie. Piuttosto, si è di fronte a un problema “assai più complesso”: “La distruttività del cambiamento climatico”. Di cui tu singolo uomo sei responsabile. Anche se non puoi farci niente. Se non sparire. 

 

Scrive Chassat che la complessità è diventato il “rifugio dell’ignoranza”, poiché smantellando la logica di Aristotele e Cartesio, e postulando che ogni cosa è interconnessa e impossibile da isolare da mille altre – e, dunque, non c’è effetto che abbia una causa precisa – si finisce per rinunciare alla possibilità stessa di comprendere il mondo. Ogni punto fermo nell’analisi diventa una semplificazione. Qualsiasi verità, un arbitrio. Stabilire una gerarchia di valori e opinioni, un’arroganza. “A forza di demonizzare ‘il paradigma della semplificazione’ come la barbarie della nostra civiltà”, scrive Chassat, “l’ideologia della complessità’ ha propagato tra i contemporanei la diffidenza verso ciò che è semplice, chiaro, netto”. 

 

Eppure la Seconda guerra mondiale non è stata meno complessa della guerra in Ucraina. Né la peste nera del Trecento una passeggiata in confronto alla pandemia di Covid. La differenza è che in passato nessuno ha fatto un ricorso così ampio alla complessità per i pesci che non sapeva come prendere. Ecco perché Chassat propone di recuperare la virtù del “semplice” che non significa “negare l’esistenza di sistemi complessi, ma di criticare la tendenza a farne il filtro dell’interpretazione del reale, l’alfa e l’omega del nostro rapporto con il mondo”.

 

Il suo è un invito a ritrovare il senso del “cruciale”. Il mondo è complesso? A maggior ragione è necessario scegliere: modelli “di vita, di valori, di produzione”. Sapendo che decidere è inevitabilmente semplificare. Ridurre l’immensità del reale a delle alternative. “La semplicità è una complessità risolta” diceva lo scultore Constantin Brâncusi. L’alternativa è vivere complessati.

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