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Premio Strega

La compassione non è letteratura

Trionfa il dolore, ma la scrittura inizia quando ci si emancipa da esso. Con Ada D’Adamo trionfa al Premio Strega la letteratura del dramma. Mai uno che si diverta

Sicuro, anche “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa vinse uno Strega postumo, nel 1959 – era postumo anche il romanzo, pubblicato dopo un anno dalla morte dello scrittore, nel 1958. E non è che non parlasse di sé. Ne parlava eccome, ma con il garbo di inventare personaggi diversi da lui, e una trama che andasse “oltre il giardino” – Voltaire invitava a “coltivare il nostro giardino”, evidentemente la noia gli era estranea. C’era la Sicilia con i suoi dolci carichi di zucchero e miele – “tutto in noi è desiderio di morte”. Il villano che diventa più ricco del principe, padre di una figlia bellissima (le figlie dell’aristocratico somigliano ahimè ai ritratti delle antenate). C’era lo sbarco dei garibaldini e il Parlamento a Roma. Nessun paragone è possibile con “Come d’aria”, vicenda personalissima e doppiamente tragica di Ada D’Adamo. Anche lei premio Strega postumo, sconfiggendo Rosella Postorino, per molti mesi data vincente. Ma chi osa in Italia resistere all’intreccio tra una figlia gravemente malata, non autosufficiente, una madre che se ne prende cura, si ammala e muore di tumore. Lo diciamo per chi si fosse sintonizzato in questo momento. E voglia seguire il consiglio del ministro Sangiuliano, presente alla cerimonia di premiazione. “Leggere è una cosa importante, fondamentale, che fa vivere dei momenti esistenziali. Ho ascoltato le storie espresse in questi libri, sono tutte storie che ti prendono, ti fanno riflettere…”: così ha detto il ministro italiano della Cultura.

Mai che qualcuno spenda la parola divertimento: l’unica davvero convincente, se hai cominciato a leggere per passione. Purtroppo ha aggiunto nel finale: “Proverò a leggerli”. Ripetiamo per i distratti: “Proverò a leggerli”.

Geppi Cucciari che lo intervista è perplessa. Per un attimo. Poi, da brava presentatrice che ascolta le risposte, contrattacca: “Non li ha letti?”. Risposta: “Li ho letti perché li ho votati, ma voglio approfondire”. Guai a far notare che la lettura, come molte cose belle della vita, è un’attività di superficie. Non serve sapere chi sono gli amici della vincitrice, e neppure la sua cartella clinica. Dovrebbe funzionare “a prescindere”: ma ormai anche la critica letteraria, al seguito dell’autobiografismo diffuso, fruga nella vita e nei dolori degli autori. Più spesso autrici, e però finora la compassione non è letteratura. Anche se il mercato fa intuire una mutazione.

Ora ai libri si “reagisce”, dicono i – e le – booktoker (non eravamo sicuri di dove mettere lo “schwa”). Piangere è la reazione più immediata e facile, e quindi giù storie tragiche. Senza catarsi, perché la catarsi fa andare a casa gli spettatori felici, qualsiasi cosa abbiano visto in scena. Apparteneva allo steso filone Maria Grazia Calandrone, con “Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca”. La triste e dolorosa storia dei genitori che la abbandonarono a Villa Borghese prima di buttarsi nel Tevere. I litigi con la madre adottiva sono nel romanzo precedente, “Splendi come vita”.

La sofferenza in prima persona ha avuto la meglio sul dolore dei bambini in guerra, nel 1993 a Sarajevo. Era Rosella Postorino, vincitrice annunciata prima del ciclone D’Adamo, con “Mi limitavo ad amare te” – sarà concesso dire che il titolo non è proprio attraente? Le case editrici non fanno sondaggi informali, chiedendo agli amici lettori? Se ne conoscono, e se ancora esiste gente che legge romanzi e non lavora nell’editoria?

Noi siamo affezionati alla vecchia regola: “Gli scrittori professionisti quando soffrono smettono di scrivere. Gli scrittori dilettanti quando soffrono cominciano a scrivere”.

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