(foto Ansa)

a milano

L'ultimo spettacolo di Andrée Ruth (ma niente addio)

Francesca Amé

Shammah, la “dea ex machina” del Teatro Franco Parenti, annuncia la sua ultima regia in una stagione, la prossima, di grandi innovazioni.  Ruota libera tra Testori, i giovani da portare in sala, e un po’ di legnate a una politica sorda e avara

“Sarà la mia ultima regia”. Andrée Ruth Shammah, ideatrice e fondatrice del Franco Parenti, il mitico Teatro nato negli anni 70 con nome di Salone Pierlombardo,  è maestra di regie e colpi di scena. Convoca la stampa per qualche “assaggio di stagione” la prossima ma anche l’estate è sempre ricca, e invece annuncia, scapigliata, che per lei calerà il sipario. “Ho chiuso un cerchio – dice – ho dimostrato a chi mi ha sempre dato dell’impresaria capace solo di reperire fondi, di essere una vera regista. A meno di un estemporaneo innamoramento per qualche testo, questa sarà la mia ultima direzione di uno spettacolo: ho scelto Roy Chen, un drammaturgo di Tel Aviv, perché il suo “Chi come me” (in scena dal 31 gennaio al 28 febbraio prossimo, ndr) porta sul palco cinque adolescenti. Sarà il mio ideale passaggio di consegne”, annuncia.

 

Colpa del mal di schiena per i troppi impegni di regia in occasione dell’anno testoriano? L’inarrestabile Shammah è infatti in partenza con tutta la compagnia per Napoli dove lunedì metterà in scena al Mercadante I Promessi Sposi alla prova di Giovanni Testori “che solo io potevo fare così, perché è stato lo stesso Testori a spingermi alla regia del suo testo: lui ha sempre creduto in me”, racconta con due microfoni in mano (senza usarne correttamente nemmeno uno) e con quella capacità affabulatoria propria delle grandi mattatrici. E poi promette «battaglia». Usa proprio questo termine e con la sua inconfondibile erre arrotata ci punzecchia su certe pigrizie (“siamo troppo abituati a spettacoli brevi”) e poi, spiegando il vero motivo del suo addio, alza la voce «”perché c’è urgenza di denunciare l’indifferenza nei confronti del teatro, che non è mai interessato alla politica, né di destra né di sinistra”.

Le sale – Milano è chiaramente un osservatorio privilegiato – sono piene, eppure manca l’educazione: “Da un recente sondaggio è emerso che l’89% dei bambini italiani non è mai stato a teatro, non sa che cosa sia. Ecco, io voglio destinare gli anni che mi restano (nata a Milano da una famiglia di origine sefardita fuggita da Aleppo, Shammah compie giusto in questi giorni 75 anni ottimamente portati, ndr) per battermi pubblicamente per il teatro. Parlerà con direttori di giornali, con i politici, con chiunque starà ad ascoltarmi. Odio quando ci mettono sotto il grande ombrello della ‘cultura’.  No, il teatro è teatro. Io sono solo un’artigiana, non c’entro niente con la cultura, c’entro piuttosto con la capacità di fare comunicazione. In un Paese che non ha più intellettuali spetta al teatro il compito di parlare davvero alla gente”.

 

In stagioni sempre più infarcite di performance (0un tempo le performance non le facevano i circhi?”, ironizza dal palco Giovanni Crippa che nei Promessi Sposi ora in tournée veste i panni del Maestro), Andrée Ruth Shammah rivendica “la volontà di fare vero teatro”. Tradotto: sì ai classici ma anche ai bravi contemporanei (“non ho mica paura del futuro”, dice). Vedremo allora da Pizzeria Kamikaze dello scrittore israeliano Etgar Keret per la regia di Francesco Brandi, a Parlami come la pioggia di Tennessee Williams diretto da Andrea Piazza. E poi ancora L’eterno Marito di Dostoevskij portato in scena da Claudio Autelli, Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman per la regia di Raphael Tobia Vogel fino a Schegge di memoria di Gianni Forte diretto da Fausto Cabra (che nel dramma di Bergman è anche interprete). Il Franco Parenti in questi giorni è in pausa (ma in cartellone ci sono alcune letture di classici greci, nei Bagni Misteriosi lì accanto, dove arriva il vociare di quella piscina che Andrée Ruth Shammah considera non una presenza ingombrante, ma un modo di aprirsi alla città, di occupare spazio.

E mentre suona (letteralmente) la campanella, annuncia il ritorno nel 2024 di Silvio Orlando “per scovare il pubblico che arriva grazie al passaparola”? E rivendica con orgoglio il suo ruolo di Dea ex machina: la sua ultima regia (se vogliamo credere al fatto che lo sarà davvero…) avverrà infatti nella cosiddetta sala nuova, l’unica sotterranea al Franco Parenti, “pensata e da me ideata come una multisala in grado di autofinanziarsi, perché versatile nell’ospitare spettacoli diversi”. Ci entreremo a gennaio e chissà che cos’altro succederà ancora in questi spazi dove Nostra Signora del teatro milanese da decenni officia un laico rito in cui politici (di tutti gli schieramenti), finanziatori, borghesia salottiera, veraci appassionati e giovani studenti siedono uno accanto all’altro. E applaudono.

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