Palazzo Boncompagni seconda metà del XVI secolo, Sala delle udienze papali al piano terra, opere di Aldo Mondino Foto Marcela Ferreira 

I segreti di Papa Gregorio

Maurizio Crippa

Il suo Palazzo Boncompagni a Bologna ospita gli artisti di oggi e racconta la storia di un gran politico amico della scienza

C’è un luogo molto particolare, tutto da scoprire, molto bello nel cuore di Bologna. Un luogo antico e inconsueto, dove tra gli affreschi cinquecenteschi di una sala d’udienze papali può fare impertinente mostra di sé un “Trofeo”, proprio lì dove si sedeva il Papa; un trofeo come quelli di caccia, ma un “trofeo” particolare, qui tutto è un po’ particolare, che forse avrebbe fatto arrabbiare il padrone di casa (o forse no, era un Papa di gran tempra e uomo di mondo, ma ve lo presenteremo dopo). 

 
Gambe all’insù di donna, divaricate, vetro pieno e colorato, materia traslucida e magica: una delle provocazioni ridenti di Aldo Mondino. Ma forse provocherebbe anche più orticaria, ai rappresentanti in terra di un altro Dio, quel grande tappeto steso sul pavimento dell’augusto salone, proprio in fronte a quelle gambe-trofeo. E’ un tappeto-non tappeto (perché limitarsi al noioso tessuto-non tessuto?, avrà pensato Mondino, che coi tessuti ci giocava spesso), come un tappeto di preghiera. Ma tutto composto di chicchi di caffè in varia tostatura. E infatti si chiama “Mekka Mokka”, perché Aldo Mondino era un divertente, impertinente, creatore di calembour artistici. Mai solo povero nell’Arte povera, pop senza essere ripetitivamente Pop, mai noiosamente concettuale, la sua arte era sempre gioco e scoperta, un rimpiattino di segni e forme con i luoghi e i nomi delle sue messe in scena. Aldo Mondino non è più qui con noi a divertirsi e creare da tredici anni, ma gli sarebbe piaciuto questo luogo particolare in cui far esplodere (grazie al lavoro dell’Archivio Aldo Mondino, che ha casa a Milano) queste sue “Impertinenze” e i giochi di immagini, parole e materie – commestibili pure! Oltre al caffè le sculture e i mosaici di cioccolato (ma solo fino al 10 di aprile, segnatevi la data per una gita pasquale). In questo luogo ben protetto nel cuore di Bologna. Palazzo Boncompagni all’esterno è tutto mattoni, come s’addice alla Città Rossa, ma il portale d’ingresso e le geometrie rinascimentali delle finestre non lo lasciano confondere con gli altri gotici arzigogoli comunali. Palazzo Boncompagni se ne sta lì, austero nella via del Monte (non si chiama così per caso, lì c’era e c’è ancora il Monte di Pietà), nel tortuoso cammino dei vicoli e delle torri, passeggio discreto al riparo dal rumore della gran Piazza, e come un vero palazzo di Papa sorveglia di sguincio, dirimpetto, le stanze del vescovo (cardinale anzi! Sempre cardinali a Bologna, che ormai bagna il naso in porpora persino a Milano).

 
Per lungo tempo trascurato e quasi abbandonato, il palazzo che fu dimora discreta di un Papa bolognese è tornato al suo splendore in quindici anni di pazienti, amorevoli, privatissimi (dunque costosi: ministri e sovrintendenti, dove vi siete cacciati?) restauri e cure. Il Palazzo è infatti dalla fine dell’Ottocento proprietà della famiglia Benelli. Ignazio Benelli, imprenditore affittuario o per meglio dire “costruttore di terre” del bolognese, fu protagonista delle bonifiche di inizio Novecento delle aree del Reno e del Sillaro, ancora paludose, e di altri interventi apportatori di progresso alla città e alla regione. Fu abitato fino a non molti anni fa, il piano nobile. Ma nel 2008 Andrea Pizzighini Benelli ha cominciato un intenso lavoro di restauro, con una passione minuziosa e sicura che oggi è portata avanti dalla moglie, Paola Pizzighini Benelli, e dai figli. Così la nobile dimora sta tornando agli antichi splendori, con un lavoro di conservazione che aggiunge però sempre nuove scoperte: una porta scomparsa, una scala murata, i segni di un pozzo o di un intarsio nel pavimento. Così dopo quindici anni, nel 2022, è nata la Fondazione Palazzo Boncompagni che gestisce le attività di valorizzazione del Palazzo; tra cui le piccole, per dimensione, ma ben concepite mostre come questa di Mondino. E il 2022 non è stato un anno casuale, celebrava invece i 450 anni (1572) dall’elezione al Soglio del padrone di casa. E’ dunque tempo di fare la sua conoscenza. Non prima di aver ringraziato Aldo Mondino e altri artisti come Marino Marini e Michelangelo Pistoletto, che prima di lui hanno accettato la piccola sfida di venire a valorizzare gli spazi – non museali, non galleristici – di Palazzo Boncompagni. Mondino è l’ultimo, per ora, ad aver disseminato qui con ridente impertinenza, “Impertinenze a Palazzo” è appunto il titolo, le sue opere – Skyline di cioccolatini, Dervisci che danzano su sfondi di linoleum che sembrano nebbie anatoliche e tanto altro – accettando l’idea e la cura di Silvia Evangelisti, storica dell’Arte e a lungo protagonista di Arte Fiera a Bologna, coinvolta fin dall’inizio nell’avventura di fare di Palazzo Boncompagni qualcosa di unico nel panorama dei grandi palazzi di famiglia italiani. 


E allora eccoci a Ugo Boncompagni, figlio di un ricco mercante bolognese in ascesa sociale, che volle il palazzo come pegno per il futuro del casato e lo affidò al Vignola, gran maestro di arditezze manieriste. Ed è qui che nacque Ugo, il quarto e più dotato di molti figli, che diventerà Papa col nome di Gregorio XIII. E un grande Papa, considerato unanimemente, anche dalla storiografia laica, tra i principali della Chiesa nei secoli moderni e figura chiave nella risistemazione europea, religiosa ma anche civile, nella seconda parte del Cinquecento. Solidissimo giurista, “in utroque iure” (figlio non a caso dell’Alma Mater Studiorum), fu chiamato come giurisperito a Roma e poi tra gli esperti del tumultuoso Concilio di Trento, dove mise mano a quelli che oggi chiameremmo “dossier delicati”. Nel suo lungo pontificato (morì nel 1585) fu poi un infaticabile riformatore: codici, leggi, discipline furono la sua forma di governo, con mano sicura. Il Concilio di Trento s’era chiuso da soli nove anni quando salì al Soglio, il suo collega Carlo Borromeo era già all’opera controriformista lassù a Milano, ma il resto della cattolicità non s’era ancora ripreso dalla buriana di quei “todeschi”, quei “diavoli ariani” li avrebbe chiamati poi Manzoni, insomma dalla rivoluzione della Riforma protestante. Una delle sue prime mosse fu confermare, con la costituzione apostolica “Ut pestiferarum opinionum”, l’Indice dei libri proibiti. Poi si dedicò a fare ordine negli ordini religiosi, rimise in forza i Gesuiti, la crème apostolica e intellettuale dell’epoca, e si fece ben presto rispettare dai sovrani cattolici d’Europa che vedevano nel suo vigore un sicuro baluardo per le guerre fratricide a cui si stavano preparando per i decenni a venire. Nei Palazzi vaticani ci sono gli affreschi che commissionò al Vasari appena giunto a Roma: raccontano come una nobile e vittoriosa impresa il massacro degli ugonotti nella notte di san Bartolomeo. Per dire la tempra da consumato politico del Papa venuto da Bologna. Ma non sarà solo questa sua arte di governo a farlo passare alla storia. Anzi, sono altri gli aspetti della sua personalità invero eccezionale ad avere decretato il suo posto nella storia.


Appassionato delle arti, delle scienze e dell’astronomia in particolare (anche da qui il suo debole per i gesuiti, tra i maggiori astronomi dell’epoca), proprio a questa sua passione per i corpi celesti è legata la sua maggior gloria. Cioè alla decisione per cui, lo scorso 7 febbraio 2023, Papa Gregorio XIII ha meritato che gli fosse intitolato, su iniziativa degli astronomi della Specola vaticana, accettata da scienziati di tutto il mondo, un asteroide: che ora si chiama “560974 Ugoboncompagni”. L’amore per l’astronomia lo aveva indotto a fare costruire in Vaticano una torretta, ancora oggi si chiama Torre Gregoriana, che doveva servire agli studiosi di astronomia (e a lui stesso nei momenti di ricreazione) come punto d’osservazione in vista della riforma del Calendario. Fu così che dopo lunghi studi, il 24 febbraio 1582 il Papa bolognese firmò la bolla “Inter gravissimam” che stabiliva, previo accordo con la maggioranza dei principi cattolici e delle più importanti università, il grande cambiamento nell’ordine del tempo: al 4 ottobre 1582 avrebbe fatto seguito il 15 ottobre 1582, per recuperare il tempo perduto dal calendario Giuliano, con annessi aggiustamenti per il computo dei giorni intercalari. Il Calendario Gregoriano è ancora oggi quello su cui contiamo lo scorrere del tempo e degli anni. E fu per decisione di un Papa amico della scienza, che mentre con pugno forte portava avanti la Riforma interna della Chiesa, con l’altra mano di uomo di cultura e di potere politico interveniva nella sistemazione del tempo secolare. Tempo della chiesa e tempo del mercante, per rubare un magnifico titolo a Le Goff. E non è senza significato che il ritardo con cui alcune nazioni adottarono il nuovo Calendario fosse dovuta non a motivi scientifici, ma all’insofferenza degli stati riformati – alcuni tedeschi, l’Inghilterra, l’Olanda, i Cantoni svizzeri calvinisti – di uniformarsi al “calendario papista”. Insofferenza politica e religiosa, come quella ortodossa, per cui la “terza Roma”, la Russia, si tenne il calendario Giuliano fino all’Ottobre, che fu novembre.


L’interesse di Gregorio per la cultura e l’arte si coglie anche visitando il suo Palazzo nel cuore di Bologna. Non gli era estranea la cura dei particolari, lo splendido Rinascimento bolognese è forse più intimo di quello fiorentino, così che quasi fosse dentro a una conchiglia preziosa è racchiuso il capolavoro architettonico che fa del Palazzo un posto unico. E’ la scala elicoidale del Vignola, che sale magicamente per raccordare il vecchio edificio alle nuove sale del palazzo e al piano nobile, come una conchiglia rovesciata. Le scale elicoidali sono uno dei giochi di prestigio architettonici preferiti dai committenti del Rinascimento e del Barocco, e saperle realizzare il biglietto da visita per l’immortalità nel paradiso dell’architettura. Come per Bramante in Vaticano e per lo stesso Vignola presso i Farnese, a Caprarola. 


Pugno di ferro e testa fina, Papa Boncompagni non era né un bigotto né un Savonarola. Prima di prendere gli ordini sacerdotali, ancora era soltanto diacono, pensò bene di procurarsi un erede, non erano secoli di scandali morali, e da una fantesca ebbe un figlio, Giacomo, che provvide subito a riconoscere e che farà poi la sua carriera nelle milizie vaticane e in altri incarichi. Era un controriformista ma non disprezzava le donne, se fu tra i primi pontefici a farsi ritrarre da una pittrice, Lavinia Fontana. E non si dimenticò delle ragazze da marito in difficoltà, piaga sociale ben nota: nel 1583, nella sua Bologna, fondò un Monte del matrimonio che ancora esiste avendo ampliato gli scopi di beneficenza, a poche strade da via del Monte: un istituto di previdenza che raccoglieva donazioni per favorire le nozze di ragazze prive di dote.


Tra calendari, ricchezze mondane e opere di carità, Gregorio XIII ha lasciato il segno e un ricordo affezionato nella sua città, prima che i Boncompagni si facessero Boncompagni-Ludovisi e mettessero radici nell’Urbe. Tanto che, narrano le cronache, quando nella città allora papale, se non proprio papalina, giunse Napoleone preceduto dalla sua fama di iconoclasta anticlericale, la statua di Papa Gregorio sulla facciata di palazzo d’Accursio venne camuffata, lo trasformarono in un innocuo san Petronio che i francesi in guerra col Papa lasciarono in pace. Ancora adesso molti turisti e persino bolognesi credono che quella figura possente che domina Piazza Grande sia Petronio, e non Gregorio.

 

Riscoprire la figura di questo grande Papa bolognese (di solito si ha più memoria per il cardinale Lambertini, Benedetto XIV, mercé un’opera teatrale portata in film da Gino Cervi) nei luoghi della sua città è insomma una di quelle imprese coraggiose e intelligenti che oggi vengono chiamate “restituzioni” – che certo è un modo nuovo per dire mecenatismo, ma è una parola che porta con sé una comprensione più profonda, più contemporanea, di cosa significhi mettere a disposizione della collettività un bene storico o culturale. Una ricchezza e una memoria molto spesso privata, e per mano quasi sempre di un’iniziativa privata. La Fondazione Palazzo Boncompagni è un esempio di questa attitudine che in mezzo a mille difficoltà anche burocratiche – quanta lentezza e logica statalista ancora nelle legislazioni, a differenza di quanto avviene in altri paesi – sta prendendo piede in molti luoghi d’Italia. A dimostrazione di quanto l’iniziativa privata possa diventare appunto un “patrimonio pubblico”. Paola Pizzighini Benelli, in questa impresa, mette non solo passione ma anche una dinamicità e una capacità imprenditoriali non comuni. Ingegnere di formazione, imprenditrice di professione – dirige un’impresa agricola nonché altre attività legate alla sua famiglia – guida con fantasia pragmatica un percorso non ancora concluso e si entusiasma a ogni nuovo passo, come i progetti di aprire al pubblico anche il piano nobile, o recuperare per le esposizioni le cantine quattrocentesche, in cui durante la guerra furono nascoste numerose mucche destinate alla requisizione. Nata nel 2022, la Fondazione ha come lume d’identità l’apertura alla città anche attraverso la valorizzazione dei luoghi di Bologna direttamente collegati alla presenza di Papa Gregorio. Oltre all’attenzione che si sta guadagnando per le sue mostre e altre iniziative. Tra le quali, a testimoniare la volontà di guardare il presente, c’è l’offerta residenziale per giovani artisti realizzata in uno degli ambienti del palazzo. L’impertinenza di una passione di famiglia che ha scelto di mettere a disposizione di tutti un pezzo della sua storia.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"