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“Nozioni elementari di morale”. L'ultimo Spaemann si conferma più che attuale

Tommaso Nin

La lezione del filosofo tedesco ci porta di nuovo, con un nuovo volume, a porci delle domande. Qual è il centro dell'etica? Cos'è la giustizia? Nella sua filosofia, un posto principale è riservato alla vita buona che dischiude il valore delle cose

"Nozioni elementari di morale" è il titolo dell’ultimo volume edito da Cantagalli per la collana Spaemanniana, che raccoglie alcuni tra gli scritti del filosofo tedesco Robert Spaemann (1927-2018). Alle Meditazioni di un cristiano si aggiunge ora un testo apparso per la prima volta in Italia nel 1993 e frutto di conversazioni radiofoniche tenute alla Radio bavarese nel 1981 sui concetti più rilevanti dell’etica. Esistono davvero il bene e il male? Cos’è la giustizia? E la coscienza? In questa breve introduzione alla filosofia morale Spaemann guarda all’eudemonismo degli antichi accogliendo le sfide e i contributi dei moderni, per consegnarci un piccolo classico che chi è sensibile ai dilemmi dell’etica – ma non solo – troverà prezioso.

 

Non il dovere, ma il bene e la felicità sono il punto focale dell’etica, la vita retta, riuscita. Il bene è ciò che a cui ultimamente aspiriamo, è quel punto di vista assoluto a partire da cui tutto ciò che facciamo riceve senso. E che gusto ha il bene? Non è un piacere illimitato ma illusorio, né un’autoconservazione infinita, ma un godimento reale, che si appoggia a un contatto adeguato con la realtà e con quei valori che la coscienza, che è la nostra dignità, scorge in essa. Vivere rettamente significa perciò “trattare la realtà in modo adeguato”, far sì che sia il suo contenuto di valore a dar forma ai nostri interessi. La vita buona è la vita che impara a dischiudere il valore che c’è nelle cose, la vita in cui l’azione è orientata dalla loro natura e non, come nel consequenzialismo, dal calcolo degli esiti. Occorre esercizio e disponibilità, perché la coscienza e il gusto morale vanno educati alla percezione dei valori, della dignità di ogni uomo, alla pratica paziente della giustizia. 

 

In questo itinerario, se c’è un aspetto che lega insieme ogni momento, è proprio il posto d’onore riservato alla realtà, una parola che ai nostri giorni suona sospetta, quasi provocatoria. A chi s’addentra nelle domande dell’etica, Spaemann suggerisce che ogni vita compiuta, che è amicizia con sé stessi, il mondo e gli altri, può darsi solo all’interno di un rapporto di credito nei confronti della realtà; che, con il suo spessore e le sue resistenze, non è un nemico da dominare, né la valle del non senso, ma è ciò che in fondo noi davvero vogliamo! Si tratta di darle fiducia, di misurarsi con essa per potervi assaporare i valori più alti, a partire dall’atteggiamento fondamentale che è la Gelassenheit, l’“abbandono fiducioso”. Questa quieta fiducia “che il bene porta al bene” è la premessa nascosta di ogni azione, è l’antidoto al nichilismo. Solo in tale abbandono fiducioso anche ciò che non possiamo mutare o controllare, cioè il destino, e persino il fallimento contro cui si schiantano i nostri tentativi di compimento, diventano un’inattesa fonte di senso.

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