Un ufficiale di polizia francese mentre alcune donne musulmane lasciano la Grande Moschea di Parigi (Thierry Chesnot/Getty Images) 

ombre sui lumi

Otto anni dopo la strage di Charlie Hebdo, in Francia è record di persone scortate

Giulio Meotti

Giornalisti, ma anche magistrati, avvocati o professori. Cinquanta persone, un terzo delle missioni di protezione in tutto il paese, sono sotto scorta perché critiche nei confronti dell’islam, dell’islamismo o dei musulmani

“All’epoca non lo sapevamo, ma è stato l’inizio di un periodo buio, molto difficile”. Parlando con l’Express Raymond Soligo ricorda perfettamente la telefonata ricevuta dal suo capo dipartimento. Era la mattina del 7 gennaio 2015 e l’agente era in congedo paternità. Poi la terribile notizia. Il suo collega, Franck Brinsolaro, incaricato della protezione di “Charb”, direttore di Charlie Hebdo, era appena stato assassinato nell’attentato perpetrato contro il giornale. All’interno di questo servizio d’élite della polizia, composto da 1.450 funzionari incaricati della protezione delle personalità civili minacciate, le missioni stanno aumentando ogni giorno. L’Obs parla di 280 mila euro per un anno di protezione della polizia a un singolo individuo, secondo cifre fornite dal ministero dell’Interno ai parlamentari. Secondo Raymond Soligo, “tra le 15 e le 18 personalità”  furono immediatamente protette dopo l’attacco, mobilitando “da 60 a 70 persone”.

 

Oggi, secondo un conteggio interno del dipartimento, un terzo delle missioni di protezione in tutta la Francia riguardano persone critiche nei confronti dell’islam, dell’islamismo o dei musulmani (50 su 150 personalità). Tra questi, molti giornalisti, spesso vicini a Charlie Hebdo, come il suo ex direttore, Philippe Val, protetto dal 2006, classificato “Uclat 2” (rischio elevato). Anche la giovane Mila vive in un bunker, al punto da avere spesso l’impressione di “essere qualcun altro”. L’imam di Drancy Hassen Chalghoumi, sostenitore di un islam pacifico e contro il quale lo Stato islamico ha lanciato una fatwa sui messaggi cifrati di Telegram e contro cui il mese scorso si è infiltrato un uomo armato nella moschea, vive lontano dalla moglie e dai figli, costretto a cambiare cognome e non esce mai senza il suo giubbotto antiproiettile. Zineb El Rhazoui, di cui un cyber jihadista ha potuto dichiarare che “i leoni non chiuderanno gli occhi finché non avranno separato la testa dal corpo”, risiede volontariamente lontano dalla sua famiglia, perché deve “organizzare un incontro con il ministero dell’Interno anche per poter prendere un caffè”… Per motivi di sicurezza, è impossibile conoscere il numero esatto delle personalità attualmente sotto protezione.

  
Si parla “da 120 a 150 missioni effettuate giornalmente dal servizio”. Mohamed Sifaoui, nato ad Algeri, giornalista specializzato in terrorismo islamista, minacciato quotidianamente di morte, confida a TF1: “Non posso stare a casa e ricevo una telefonata da un amico che mi invita a incontrarlo tra dieci minuti nel bistrot accanto. C’è sempre un dispositivo da mettere in atto”. Mohamed Sifaoui ha passato metà della sua vita sotto la protezione della polizia, scrive l’Express.

 
Giornalisti, ma anche magistrati, avvocati o professori che gli ufficiali “non avrebbero mai pensato di dover proteggere un giorno”, dice Raymond Soligo. Ci sono la segretaria di Charlie, Marik Bret, e la giornalista di origine turca Claire Koc. Si è di recente aggiunto un nome: Ophélie Meunier, la reporter di Zone Interdite che ha filmato in prima serata tv l’islamizzazione di Roubaix. Allarmi, porte blindate, camera di sicurezza, rilevatori di movimento all’esterno, armi automatiche, precauzioni, movimenti concordati con la prefettura… Sotto scorta ci sono una decina di professori, da Trappes a Grenoble. Molti di loro hanno visto le proprie carriere, vite e nomi distrutti, specie dopo la decapitazione di Samuel Paty. E poi tutta la redazione di un giornale satirico, Charlie Hebdo, che vive protetta da 85 agenti di polizia e dietro sei porte blindate.

 
 Da quando ha visto il suo nome e il suo volto esposti alla vendetta pubblica sui muri dell’Università Sciences Po a Grenoble e sui social, definito “islamofobico” e “fascista”, l’accademico Klaus Kinzler è sotto scorta. Aveva contestato la settimana contro “Razzismo, antisemitismo e islamofobia”. Un professore di Annecy è stato minacciato di “fare la fine di Samuel Paty” dai suoi studenti, trasferito e messo sotto protezione. Una settimana dopo l’omaggio a Paty, un insegnante di storia  di Les Battières ha tenuto un corso sulla libertà di espressione a un quinta elementare. Minacciato di morte, l’insegnante è stato assegnato a un’altra scuola.

    
Ne sa qualcosa il professor Didier Lemaire, che racconta così la sua ultima visita a Trappes per un documentario tv: “Mi è stata concessa solo una ripresa di cinque minuti davanti alla stazione di polizia, circondato da una dozzina di agenti. Il resto del tempo sono dovuto rimanere nascosto in auto. Uno dei poliziotti mi ha detto: ‘Se tirano fuori i kalashnikov, non abbiamo niente con cui rispondere, quindi non resteremo a lungo’. Il giornalista voleva che dicessi qualche parola davanti alla scuola, ma la polizia ha rifiutato per motivi di sicurezza. Mi è stato permesso di passarci davanti senza fermarmi. Sono stato scortato in un albergo, il cui ingresso era sorvegliato da quattro agenti di polizia, per condurre l’intervista”. 

 
Questa è la nuova vita di chi si azzarda, nel paese dei Lumi, della laicità e del volterriano écrasez l’infâme, a criticare una sola religione.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.