Pierre Bergé e Catherine Deneuve a Parigi nel 2015 (Olycom)

UFFA!

Pierre Bergé: la moda, il collezionismo e un gran libro nel 2003

Giampiero Mughini

Chi meglio dello scrittore francese poteva raccontare le parole e le emozioni degli studenti che occuparono il teatro dell'Odéon nel 1968. Metadone per tossicodipendenza dalla cultura francese del Novecento

M’è venuto il sospetto anzi la certezza che mi fossi sbagliato nel raccontare in un mio libro di cinquant’anni dopo (Era di maggio, Marsilio, 2018) quel che era accaduto nel 1968 in uno dei luoghi iconici del “joli mai” parigino, ossia nel teatro dell’Odéon che gli studenti occuparono per alcune settimane. C’ero stato un paio di volte all’Odéon ad ascoltare quel che gli occupanti recitavano al microfono uno dopo l’altro, e ne avevo scritto così: “Per tre settimane al microfono installato al centro del palco si avvicendano cittadini di tutti i tipi a dire la loro, meglio se a voce alta e rauca: un pomeriggio ho passato delle ore ad ascoltarli, per lo più sproloqui senza capo né coda”. E fin qui il mio giudizio era esattissimo. Solo che dopo aver letto un pregevole libro dell’imprenditore di moda / gran collezionista d’arte / scrittore francese Pierre Bergé (Les jours s’en vont je demeure, Gallimard, 2003) mi sono reso conto di aver riferito in modo inesatto l’atteggiamento di quelli che dell’Odéon ne erano stati i sovrani fino al momento dell’occupazione, il grande attore e regista teatrale Jean-Louis Barrault e l’attrice Madeleine Renaud, due che facevano coppia fin dal 1936. 

Chi meglio di Bergé (morto a 86 anni nel 2017) poteva raccontare le loro parole e le loro emozioni, dato che la sera dell’occupazione era entrato nel teatro ad ascoltare gli studenti, lui che di Barrault e della Renaud era amico e che a notte fonda li riaccompagnò a casa in auto. Da quel che ne avevo letto a suo tempo sui giornali a me era parso che l’atteggiamento di quei due giganti del teatro moderno fosse stato di condiscendenza nei confronti degli occupanti; Barrault aveva difatti pronunziato un “Barrault è morto” e mi pareva volesse dire che il teatro tradizionalmente inteso era morto perché sopraffatto dal vivere reale di gente alla maniera degli occupanti. E invece no. Il confronto fra gli occupanti e il duo Barrault/Renaud era stato straziante. Nel senso che quegli energumeni stavano insozzando tutto della vita e della carriera di quei due eroi del teatro moderno.

“Dopo poche ore – scrive Bergé – apparve evidente che tutto era perduto, che Madeleine e Jean-Louis sarebbero stati obbligati ad abbandonare il loro teatro, che la bestialità avrebbe vinto”. E tanto più che il governo gliela fece pagare ai due teatranti di aver tentato di negoziare con la “populace”, con quelli che i gollisti reputavano gentaglia e basta. Il ministro della Cultura, nientemeno che André Malraux, si rifiutò di ricevere Barrault e la Renaud. Quando il governo decise di sgomberare il teatro, ci tenne a mostrare per ogni dove che era stata necessaria una disinfestazione dei locali da quanti barboni avevano dormito a Place de l’Odéon e magari ci avevano depositato qualcosa. Da allora in poi il duo Barrault/Renaud girovagò da un teatro all’altro, alla maniera di chi non avesse più un vero domicilio. “Invecchiarono male”, scrive Bergé. Barrault morì ottantaquattrenne nel gennaio 1994. La sua coetanea Renaud pochi mesi dopo, nel settembre dello stesso anno.

Perché sto dando tale importanza alla testimonianza di Bergé? Perché è un personaggio eccezionale della Parigi che per buona parte del Novecento ha fatto da capitale mondiale della cultura e delle arti. Un personaggio di cui non abbiamo l’eguale nella recente storia italiana. Imprenditore espertissimo nel mondo della moda, colui che con “il talento” di Yves Saint Laurent (ne è stato l’amante per 18 anni) ha creato la leggenda di una delle grandi maison di moda del secondo dopoguerra francese. Bibliofilo da me invidiatissimo, e questo nella patria della bibliofilia. Da collezionisti di ogni ben di Dio delle arti moderne lui e Saint Laurent vivevano in un appartamento che in fatto di arredi era forse il più smagliante di tutta la Parigi chic. Quanto alla casa d’aste fondata da Bergé, ha offerto negli anni il meglio delle biblioteche private messe in vendita in Francia. E non ho finito, anzi.

Da scrittore Bergé regge a meraviglia il confronto con tanti pregiati scrittori francesi del suo tempo, talmente ricco è il ventaglio dei suoi interessi, la grazia raffinata con cui racconta i personaggi di rilievo da lui incontrati, l’indipendenza di giudizio con cui valuta e cataloga pittori, scrittori, uomini politici. Alcuni di voi che mi state leggendo non sono quanto me tossicodipendenti dalla cultura francese del Novecento, ma vi assicuro che il libro di Bergé da cui ho preso le mosse è un diamante a non so quanti carati. Ho cominciato a leggerlo un pomeriggio e non l’ho più abbandonato fino a tarda sera, dopo averne letto l’ultima riga. Non è che lo leggi, lo assapori

Assaporare è un verbo che si attaglia a Bergé quando sta parlando di Jean Cocteau, Andy Warhol, Rudolf Nureyev, Louis Aragon, Anne Marie de Noailles, persino di François Mitterrand, di cui è palese che a Bergé piacesse il fatto che amasse i libri quanto se non più della politica. Lo vide l’ultima volta sette giorni prima della sua morte (il 18 gennaio 1996). La malattia contro la quale Mitterrand aveva lottato a lungo lo aveva provato. Non poteva inghiottire più nulla, se ne stava rannicchiato su una poltrona di casa sua. “Mi tenga informato su Zola”, disse a un Bergé che si stava congedando e che gli aveva parlato della necessità di preservare una casa dove aveva vissuto il grande scrittore francese. E comunque il capitolo del libro che mi ha commosso di più è quello dedicato a Louis-Ferdinand Céline, uno scrittore la cui lettura aveva fatto “stramazzare” Bergé. Non è altro che il racconto di una visita all’ultima casa francese in cui visse e morì Céline, a Meudon. C’è un Céline che straparla, che la racconta sempre a modo suo, che vede nemici dappertutto, che ce l’ha con il mondo intero. Ma che importa, era Céline e gli stava innanzi.

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