Foto di Cristophe Petit Tesson, via Ansa 

Accademici svedesi

Annie Ernaux, tanta autobiografia e un cuore messo a nudo, anche troppo

Mariarosa Mancuso

Finalmente il Nobel per la Letteratura a un nome noto. Ma la scrittrice francese, molto letta e molto amata, è pure un po’ noiosa

Siamo circondati. Agli accademici di Svezia deve essere sfuggito l’accoltellamento di Salman Rushdie – quale migliore occasione per premiare un grande scrittore contemporaneo, che crede nel romanzo e arriva dalle periferie dall’impero? Arrivava, ora la parte anglosassone ha prevalso sulla litigiosità indiana (parole sue). Purtroppo le libertà dell’occidente (non si possono chiedere i documenti a chi va a sentire una conferenza) nulla possono contro una fatwa senza data di scadenza.

 

Pensa e ripensa – cosa non daremmo per ascoltare i dibattiti, questo sì e questo no, questo scrive male quest’altro pensa male – il Nobel per la Letteratura è andato in Francia. Non a Michel Houellebecq che tutti davano per vincitore (The New Republic lo chiama “il Gollum della letteratura”) ma a Annie Ernaux. Classe 1940, genitori operai e poi droghieri, fiera paladina del femminismo civile e letterario, in politica seguace di Jean-Luc Mélenchon. Vive fuori Parigi, a Cergy-Pontoise: non ci arriva il metrò, serve il trenino Rer. Al momento dell’annuncio non erano ancora riusciti a rintracciarla.

 

Ernaux è uno dei pochi Nobel recenti che non fanno scattare la domanda “Ernaux chi?”. La scrittrice è molto letta, molto amata e ammirata e imitata. Dai suoi libri si girano film. “La scelta di Anne”, il film di Audrey Diwan vincitore nel 2021 del Leone d’oro a Venezia, viene da “L’evento” – come tutti i libri di Ernaux pubblicato in Italia da L’orma, piccola casa editrice che ora festeggia. Ha messo in catalogo la scrittrice, l’ha curata e spinta titolo dopo titolo – anche in classifica, nel 2016, con la collaborazione del gruppo Facebook Billy. Nel 2016 “Il posto” è arrivato tra i primi dieci, grazie agli acquisti di lettori organizzati che puntavano a “un bestseller di qualità, dal basso”. Parole che fanno rabbrividire noi che ci ostiniamo a considerare la lettura un’attività ludica e laica. Fatta di capricci e infedeltà (per noi che stiamo in basso), con qualche grado di separazione rispetto alla vita privata (di chi sta in alto), scrive, e non dovrebbe puntare soltanto alla condivisione del privato.

 

Vita faticosa e morte del padre, madre contadina e poi operaia, malattie, infanzia e giovinezza, educazione sessuale e sentimentale per ragazze degli anni Quaranta e dunque coetanee della scrittrice, una sorella morta prima che Annie Ernaux venisse al mondo, un uomo da portarsi a letto e basta (bello sarebbe: c’è il tormento dell’attesa, e l’indugio nel disordine quando se ne va), vergogna, gelosia, e aborto clandestino. Di questo parla “L’evento”. E davvero non c’era bisogno di entrare così tanto nei dettagli. “Mon coeur mis à nu”, invocava Baudelaire, ma non intendeva lanciarlo sanguinolento su un tavolaccio.

 

Un solo romanzo scritto nel 1977, “Ce qu’ils disent ou rien”. Poco più di un’etichetta: racconta una studentessa e i suoi genitori di estrazione popolare, a entrambe le parti mancano parole convincenti. “Gli anni” – premio Strega europeo – ha un raggio più ampio. Annie Ernaux racconta la sua autobiografia assieme all’autobiografia della Francia dal Dopoguerra a oggi. C’è la Liberazione, l’Algeria, De Gaulle, il ’68, Mitterrand, il consumismo, l’11 settembre. Inizia con il gioco inventato  da Georges Perec nel suo piccolo libro “Je me souviens…” (1978). Tutte le immagini scompariranno e Annie Ernaux ne vuole salvare un certo numero: Simone Signoret sul manifesto di un film, i merletti sbrindellati delle mummie al convento dei Cappuccini a Palermo.

 

Siamo circondati. Non abbiamo mai dato credito agli accademici svedesi, sembrano odiare la letteratura come certi critici cinematografici odiano il cinema. Ma il predominio dell’autobiografia su tutti gli altri generi letterari sta diventando pesante. Le donne hanno imboccato questa via “per rappresentanza”. Lodevole intento, peccato che non tutti i lettori apprezzino. Si fugge verso la letteratura per evitare la vita come viene. Fa impressione ritrovarla tale e quale, applaudita e rilanciata dal passaparola.

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