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sceneggiatori della storia

Alla ricerca del libero par excellence, il vegliardo di questa nostra epoca

Pietrangelo Buttafuoco

Cosa farebbe Hasan-i-Sabbah, colui che trasforma in esseri eccezionali chiunque abbia libertà di spirito? Un libro racconta la storia di un invitto che diventa leggenda

Bastardi con soldi e potere che neppure salvano le apparenze – peggio, ostentano il bene di cui s’ammantano – sono la forma del Demonio che, liberata, è presente ovunque nel mondo realizzando in questo tempo, ma da sempre, la parodia della verità. “Ci tiene prigioniero il cuore, il Re del Mondo” e la promessa di una illimitata libertà trova animula vagula blandula in una coppa di hashish il cui gusto – al palato – è ancora, ma da sempre, quello di un destino di sabbia. Ebbene sì, la clessidra che stilla oblio da un’altissima rupe da dove si discende per uccidere uccidendosi.

 

E dunque sì, Le Vieux de la Montagne, ossia Hasan-i-Sabbah, l’efferato asceta, il temuto capo degli Assassini, l’ossessione dei Crociati in marcia verso oriente. Il libero par excellence, per dirla con Nietzsche, ed è l’infallibile e onnipotente pubere delle madrasse di Persia destinato alla barba bianca della saggezza e della potenza pura, raccontato nelle pagine di Betty Bouthoul (Il Vecchio della Montagna, Adelphi, traduzione di Svevo D’Onofrio). I lettori dei Diari di Ernst Jünger, di Bouthoul ricordano il salotto parigino le cui fragranze – grazie allo stesso Junger – sono tutte di droghe ed ebbrezze in guerreschi avvicinamenti alla dimensione dell’assoluta assenza, il vuoto di sé. Ogni pezzo del tempo che fu trova posto nel prisma del sempre. Un libro come questo, il racconto di un invitto che diventa leggenda, si legge con più gusto con gli occhiali nostri, quelli di oggi.

 

La sequenza dei fotogrammi – pandemia, guerra, ben due Papi in Vaticano, il ritorno della Via della Seta – coincide con lo svolgimento di una favola squillante di pugnali e speziata di allucinazioni. Niente è frutto di scelta. Oggi, ma da sempre, si è tutti nelle mani di un imperscrutabile capriccio come nelle mani dei lavamorti, nulla è vero quando tutto è permesso (oggi, ma da sempre) e quando la realtà del mondo esterno è soltanto un paradiso fatto col cartone.  

 

Cosa ne avrebbe fatto Hasan-i-Sabbah asserragliato ad Alamut, di Mattia Santori – esponente del Pd, carino tra i carini – e delle sue piantine di cannabis foderate di rispettabilità liberal? Che l’Assassino di Alamut abbia a sopportare un simile accostamento ma chissà chi è il vegliardo di questa nostra epoca, depositario di un’aspra autorità divina quando oggi, ma da sempre, la realtà è nascosta sotto il tappeto della parodia, oggi che la storia – con le sue guerre – neppure più i vincitori la scrivono, bensì gli sceneggiatori.

 

Il primo dei sortilegi è l’eloquenza. Ogni tempo – qualunque latitudine – ha il suo Rasputin, il suo Cosmo Quorli, ma un Hasan-i-Sabbah, nella fattispecie, è un qualcuno che sa incendiare d’amore un adepto pronto a scordarsi di sé nel dolore, a esaltarsi come il diavolo stesso si sarà esaltato nel procurarsi un esercito di innamorati il cui unico scopo è uccidere uccidendosi.

 

Un libero par excellence, quel Vecchio – ogni vegliardo – grossolanamente indicato quale bastardo ma capace di trasmutare in un essere eccezionale chiunque sappia obbedire al secretum, ovvero la libertà dello spirito. Un mago, un profeta o un sultano che con un sorso di hashish, dall’alto di Alamut, sa annientare i veri bastardi: i visir e i sultani, gli accoliti della parodia glam, quelli che con soldi e potere neppure si sforzano di rendere coerente il filo della loro bavosa mistificazione. Quella di oggi, che è quella sempre, zuppa di bene e di avvenire.

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