Il racconto di Dürrenmatt che sembra scritto guardando gli orrori in Ucraina

Marco Archetti

Ne “il vecchio” c’è il coraggio di guardare il male negli occhi, col coraggio di affacciarsi su un pozzo di orrore, perché esiste e può sempre contare sulle incertezze di chi dovrebbe combatterlo

 Se trovate inquietanti le opere letterarie di Friedrich Dürrenmatt, non avete mai visto i suoi dipinti: figure da incubo, scenari di malaugurio. “Dipingo perché penso”, disse una volta lo scrittore che prese sul serio sé stesso e sfornò pagine che spostavano sempre in là la linea del fronte kafkiano, beckettiano e brechtiano, e arrivò a presentire il vuoto etico di un mondo ridotto a deserto, immerso nel caos, corrotto da manipolatori di quattrini e osceni mandanti di efferatezze. “I miei disegni”, diceva, “sono campi di battaglia sui quali si svolgono le mie lotte, i miei esperimenti, i miei fallimenti letterari”.


Adelphi ha ripubblicato Il sospetto, maestoso fallimento letterario – qualunque scrittore sano di mente darebbe un rene per firmare una disfatta così – raccontato splendidamente, su queste pagine, da Mariarosa Mancuso. Se però un lettore volesse rivolgersi al corpus dei racconti scritti prima del 1957, tolta La panne si fa dura: la raccolta Feltrinelli, quella tradotta da Umberto Gandini, è reperibile solo grazie alle librerie dell’usato. Un peccato, perché il racconto “Il vecchio”, scritto da Dürrenmatt a 24 anni, oltre a essere implacabile per consapevolezza della propria letteratura a venire, è un testo che sembra scritto pensando a ciò che sta accadendo in Ucraina e alla nostra riluttanza a fare l’unica cosa che andrebbe fatta: guardare il male negli occhi, col coraggio di affacciarsi su un pozzo di orrore e abiezione senza pensare che, per evitare i suoi liquami, sia sufficiente tenersi aggrappati ai propri salvagenti morali, ridotti a nobile superstizione se svuotati del valore della prassi, se sottratti alla misura della realtà e alla consapevolezza che quei liquami tracimeranno, che il male esiste e può sempre contare sulle incertezze di chi dovrebbe combatterlo.


Il racconto si apre con un assedio: villaggi circondati, abitanti rastrellati, foreste in fiamme. Poi la pace, o meglio, la quiete di quando “la terra copre la bara”. Ma, racconta Dürrenmatt, “ecco che si impadronì di loro un sentimento mai provato: l’odio. Era rivolto a una figura invisibile, come molte figure dell’abisso, fonte di tutti gli orrori da essi sopportati”. Gli abitanti lo chiamavano il Vecchio e lo odiavano al punto che i suoi soldati diventarono loro indifferenti. “Intuivano che quei soldati agivano come strumenti privi di libertà, senza speranza e senza senso. Su tutti gravava una costrizione che incatenava oppressi e oppressori, schiavi della stessa galera, succubi del Vecchio. Si accanivano gli uni sugli altri, e quanto più il popolo odiava, quanto più crudeli diventavano i soldati, torturando donne e bambini per non sentire i tormenti che essi stessi sopportavano. Tutto era ineluttabile. L’esercito era una macchina perversa che incombeva sul paese e lo schiacciava, ma esisteva un cervello che la guidava e se ne serviva, un essere di carne e sangue da odiare con tutti i sentimenti. Conoscere l’esistenza del Vecchio e odiarlo era la forza segreta degli oppressi, che li rendeva superiori ai nemici. I soldati non odiavano il Vecchio, non sapevano niente di lui, come le parti di una macchina non sanno niente di chi la manovra”. 


Finché una giovane donna partì e arrivò a lui. “Sedeva chino su una grande carta, la mano posata su un grosso cane ai suoi piedi”. Gli puntò la rivoltella. Il Vecchio tese la mano e lei gliela consegnò. “E’ venuta per uccidermi? E’ inutile”, le disse, “nulla è più insignificante della morte”. E, consultando la mappa, si accorse che la donna veniva da un luogo che avrebbe dovuto essere distrutto. Allora tracciò altre linee di distruzione. “Era sospeso nel vuoto”, scrive Dürrenmatt in un assolo cruciale, “dove non esistono più relazioni né responsabilità nei confronti degli altri. Non faceva più caso agli uomini”. La donna intuisce la natura di quel potere. E riconosce il Male: la sua essenza gelida di irrevocabile vacanza morale. Il Vecchio le restituì la rivoltella e tutte le cose che le aveva tolto, compresa la forza di ucciderlo. Così lei sparò. E il vecchio cadde. Cadde perché non poteva che cadere. Cadde perché il suo potere doveva alla fine distruggere se stesso, “come tutte le cose basate sull’assurdo”.

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