1928-2021

Lina Wertmüller se n'è sempre “fottuta” (cit.) di quello che di lei pensavano gli altri

Giuseppe Fantasia

Il sunny side e le "birichinate" di Wertmüller, che Fellini definì "la regista del buonumore" e che avrebbe voluto chiamare l'Oscar "Anna", per renderlo più femminile. Il ricordo di una conversazione faticosa e irripetibile

“I ricordi sono davvero dei tesori che teniamo rinchiusi nel deposito delle nostre anime per mantenere caldi i cuori quando siamo soli”, scrisse Lina Wertmüller nella sua autobiografia intitolata Tutto a posto e niente in ordine (Mondadori 2012). “Ma sei proprio sicuro che quella frase l’ho scritta io?”, mi rispose ridendo, dopo avergliela ricordata, nella sua scenografica casa romana dove entrai per la prima volta, coincidenza vuole, di questo periodo, nel giorno di Sant’Ambrogio di tre anni fa. A Milano c’era la Scala, a Roma il vero spettacolo lo avevo davanti ai miei occhi. Comodamente adagiata sul sofà in una posa alla Paolina Borghese, avvolta da una vestaglia rossa, mi scrutava curiosa da dietro i suoi occhiali con la montatura bianca. “Negli anni ne ho fatti fare più di cinquemila pezzi che ho conservato, perso o semplicemente regalato, mi hanno sempre messo di buon umore", mi spiegò in presenza di sua figlia Maria Zulima, avuta dal marito Enrico Jobs, e Valerio Ruiz, l'autore del documentario Dietro gli occhiali bianchi, che l’ha raccontata proprio partendo da quell’accessorio che ha contribuito a creare ancora di più la sua immagine iconografica in Italia e nel mondo.

   

   

Oggi che non c’è più, fa un certo effetto pensare a quelle ore trascorse insieme, e poi alle tante altre che ne seguirono, di persona o a telefono (per via della pandemia), condite di ricordi, battute, sguardi, lunghi silenzi e ancora battute. Fa un certo effetto pensare che questa regista, scomparsa oggi a 93 anni, iconica come i suoi film - più di venti per il cinema, tutti o quasi con quei titoli chilometrici che nessuno è mai riuscito a pronunciare per intero, da Mimì metallurgico ferito nell'onore a Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto fino a Pasqualino Settebellezze – non ci sia più. Ne ha fatte e viste talmente tante nella sua lunga vita e carriera “che non basta un solo libro per raccontarle”, aggiunse poco dopo in quella conversazione frastagliata e decisamente faticosa, ma a suo modo unica, piena e divertente, un pot pourri di emozioni e pensieri usciti dalla sua bocca “senza regole”, mi disse, “come sono stata e sarò sempre io”.

   

All’epoca non aveva ancora ricevuto l’Oscar alla Carriera, ma con Pasqualino Settebellezze – il cui protagonista era un giovanissimo Giancarlo Giannini - diventò la prima donna nella storia del cinema a ricevere una nomination all’ambita statuetta. Era il 1976. Nel 2019, sul palco dei Governors Awards di Los Angeles, le fu consegnato uno vero dalle amiche Sophia Loren e Isabella Rossellini. “Cominciamo dal fatto che questo Oscar è una cosa molto maschile – esordì lei, con la sua solita grinta, per poi chiedere a un pubblico sorpreso e imbarazzato come può esserci solo in certe occasioni: “Perché non facciamo un Oscar femminile e lo chiamiamo Anna?”, trasformando così un noioso gala in un happening divertente.

 

“Quando incontri una così", ci disse la Loren durante una sfilata di Armani, "capisci immediatamente che sei alla presenza di un incredibile talento, ma anche di una donna indimenticabile, un’artista che ha fatto storia essendo sé stessa”. Lina era proprio così: sé stessa. Una che se n’è sempre “fottuta” (la citiamo) di quello che di lei pensavano o dicevano gli altri, un leone (non solo nel segno zodiacale) pronto a combattere fino a ferirsi pur di arrivare sul trono, qualunque esso fosse. Comandava e gestiva tutti con la sua macchina da presa e con le parole, inimicandosi chi non rientrava nelle sue simpatie, “ma poco importa: tanto ho sempre ragione io”, diceva, e qui se ne comprende la forza. “Chi non mi conosce, sparla, ma io sono stata definita da Fellini – e lui sì che mi conosceva bene - la regista del buonumore, perché è il mio carattere, o almeno così credo. Lui mi diceva che la vita è una festa e che andava vissuta insieme. Beh, la mia lo è stata e mi è andata molto bene”.

    

Non a caso, sempre in quella autobiografia, scrisse che “è sempre meglio camminare dal lato soleggiato della strada” e – questo sì – ce lo confermò anche a voce. “Così facendo, si vede tutto in maniera positiva. Io lo faccio ogni giorno per salvarmi. Viva sdrammatizzare ogni volta che si può”.

   

   

Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich – questo il suo nome per intero, lungo come i titoli dei suoi film - la “regina del grottesco” aveva, dunque, il suo caratterino, dimostrato sin da piccola. “Sono sempre stata una rompiscatole. All'asilo e a scuola ero una Giamburrasca: mi cacciarono da undici scuole". Alessandro Gassmann e Pietro Castellitto la “imitarono” in tal senso molti anni dopo, dimostrando così di essere solo degli autentici dilettanti. “Mio padre che si chiamava come Fellini, si incazzava ogni volta da morire, ma io me ne fregavo: la mia non era mai una vittoria, perché pensavo che c’era una vita da vivere".

   

Prima del cinema, iniziò a teatro con Pietro Sharoff, poi con Giorgio De Lullo che invece la chiamò come aiuto regista e poco dopo, contemporaneamente, con Garinei e Giovannini - “dei momenti indimenticabili" - fino all’esordio con "I Basilischi" tra mille e più “birichinate”. Su tutte, quella durante la notte degli Oscar. “In platea, al mio posto, misi la moglie di Kezich, Lalla, perché ero infastidita dall'organizzazione svizzera di quella cerimonia, tutto era troppo noioso. Volevo mettere in qualche maniera la mia firma e così cambiai i posti portando panico agli organizzatori. Non mi sono mai pentita, in ogni cosa che ho fatto, nel male o nel bene, perché in genere mi divertivo" (ride, ndr).

    

Una vita intensissima la sua, tra lavori eccellenti e altri meno, come alcuni attori o attrici che non hanno mai più continuato la loro carriera, come una giovanissima Veronica Lario che fece recitare con Enrico Montesano in Sotto sotto strapazzato da anomala passione. "Era carina e brava, ma non ne conservo un ricordo importante. Non l'ho mai rivista dopo allora".

 

Mille e più gli screzi, anche con Nanni Moretti, ma questo non conta: chi non ne ha mai avuto uno con lui? “L’abominevole uomo delle nevi fece una scena in cui mi aveva nominato, ma quando lo incontrai e gli porsi la mano per salutarlo, lui guardò la mano come per dire, ma che me voi salutà? Lo mandai a 'fanculo. L'unica cosa è che eravamo su un red carpet a Berlino". Vi siete mai riappacificati? Le chiesi. E lei: "Mai, non vedo perché avrei dovuto farlo".

  

   

Altra lite, “ma a fin di bene”, con l’amico Luciano De Crescenzo sul set di Sabato domenica e lunedì. “Gesticolava il suo dito in una maniera fastidiosa e lo avvisai. La terza volta, glielo morsi e gli cucii la mano nella tasca per non farla uscire fuori”. Swept Away, il remake di Travolti da un insolito destino… con Madonna non andò a vederlo, ma nessun litigio. "Per me, lei è sempre stata un genio. Se una che non ha una gran voce e non ha un non bellissimo corpo è riuscita a fare quella carriera, beh, solo un genio può essere, ma sul remake fatto da lei mi sono sbagliata, per questo, a mio modo, le ho detto di no".

   

Nel mezzo, c’è stato tanto amore, per sua figlia e per il marito Enrico Jobs, scomparso anni fa, di cui adesso ci tornano alla memoria quei due fantocci/sculture di stoffa che aveva fatto lui e che accolgono gli ospiti della loro casa prima di salire al primo piano, tra un Pistoletto, quadri e luci soffuse. "L'ho conosciuto ad una cena, faceva l'artista”, ricordò. “Era bellissimo, magnifico, molto intelligente e simpatico, potrei parlarle due mesi di lui. Era talmente forte il nostro amore che poco dopo averlo conosciuto scrissi la canzone di Mina, 'Mi sei scoppiato dentro il cuore'. Basta dire questo per farle capire tutto". Dietro di noi, una grande vetrata con sotto l’hotel Locarno, piazza del Popolo e quindi Roma, “la mia casa casa, la mia patria, la mia città, il luogo dove sono nata e cresciuta. Non mi piace ricordarla, perché ci sto dentro e la vivo ancora oggi, ma se ripenso al passato, posso dire che era sicuramente più allegra. Con Fellini, andavamo in via Veneto e tra di noi c’era un divertimento e un confrontarsi continuo. Molti di quei momenti trascorsi insieme sono stati e sono indimenticabili. Il mio posto del cuore adesso è qui, a casa mia".

 

"Sono molto fortunata – mi disse invece a telefono durante la pandemia quando decideva che voleva rispondere e quindi parlare - perché la mia casa è il controcampo di Villa Borghese. Dalle grandi finestre del salone e dalle terrazze posso affacciarmi sulle meraviglie di questa città: il Pincio, la Casina Valadier, i suoi monumenti più celebri e i parchi. Riesco persino a vedere i prati, una meraviglia per gli occhi e per l’animo. Ecco, Roma per me è questo: una meraviglia continua la cui bellezza è già scritta nel suo nome, che letto dalla fine produce un’altra parola ancora più bella: Amor”. Poi però tornava a incupirsi quando pensava alla sua gestione, alla politica “e alle sue zozzate”. “Nessuno si sta occupando del nostro paese come si dovrebbe fare", disse più volte, ricordando che non le piacevano né Salvini né i grillini. "Che devo dire? Non ho un pensiero su di loro, anche perché non mi sembra che ne abbiano uno”. Mattarella, lui sì, era nelle sue simpatie, ma il ‘dopo’, adesso, ovviamente non la riguarda. “È una brava persona, che poi è la frase che mi piacerebbe che venisse detta di me quando non ci sarò più”, aggiunse prima di salutarci. “Morire è molto scomodo: che devo fa’? Si può fare qualcosa? Ovvio che no. L’importante per me è essere ricordata come una donna allegra, una che amava vivere con l’allegria, perché – fidatevi - in tal modo si vive davvero molto meglio”.

  

Di più su questi argomenti: