la proposta
Piantare alberi è un'idea semplice e giusta per uscire dal bla bla
Meglio guardie forestali del mondo che ecologisti inutilmente incendiari. Una missione per tutti che non sa di pensiero dominante, di nuova religione, di conformismo dei dati e dei modelli predittivi sul clima
Non vedo l’ora di comprarmi e leggere il nuovo libro di Antonio Pascale per Einaudi, “La foglia di fico”. Da quello che ne scrive Domenico Starnone nel Corriere non sarà solo la gran lettura di un gran racconto e saggio, Pascale a questo ci ha abituato, sarà un’immersione nella nuova attualità che poi è la cosa più vecchia che ci sia. La nuova attualità sono gli alberi. Per la precisione mille miliardi di alberi da piantare entro dieci anni, una suggestione scientifica di quelle che non vengono dall’inclinazione all’insensatezza sempre castigata dall’ispettore agronomo Pascale, una proposta geniale, diretta, trasparente e originaria come l’acqua, quello che ci voleva, e con urgenza, per spegnere il bla bla dei giovanissimi salmisti della terra che brucia e il corrivo bla bla dei governativi giventisti e onusiani con le loro équipe di sapienti e futurologi. A Roma e a Glasgow hanno preso la palla al balzo.
Devono essersi accorti che mille miliardi di pioppi, larici, tigli, pini, faggi, cipressi, querce, olmi, salici, nespoli, cerri, mandorli, castagni, sequoie, betulle, platani, magnolie, abeti, tassi, allori sono l’unico modo di tradurre la neolingua apocalittica dell’indottrinamento generazionale in un racconto umanitario, malinconico e ottimista, cechoviano, che parla finalmente in modo essenziale, comprensibile, pratico del nostro così controverso rapporto con la natura o la Natura. Piantare alberi che fottano per intanto un bel po’ di CO2, che facciano il lavoro di ripulitura in tempi possibili e in forma visibile, ecco una missione per tutti che non sa di pensiero dominante, di nuova religione, di conformismo dei dati e dei modelli predittivi e altri algoritmi. Gli alberi sono più belli degli algoritmi, fanno ombra, nutrono la terra di cui si nutrono, aiutano l’equilibrio idrogeologico, sono il paradiso dell’ossigeno e dell’aria che fa da pendant, da contraltare, al vecchio e bellissimo fil di fumo emesso dalle ciminiere e dal battello di Madama Butterfly (“un bel dì vedremo”, eccetera).
Non ci sono più scuse, si sospende la sospensione scettica del giudizio, non si deve decidere di un governo mondiale della scienza unica e dei suoi funzionari, scompare tutto quanto è ansiogeno e insensato, appunto, e compare un compito semplice, lineare, attuabile a tutte le latitudini o quasi: piantare alberi, opera massiccia, difficile, magari anche complessa, ma insieme semplice, alla portata di un’umanità non simbolica, non soteriologica, un gruppo umanoide quale noi siamo messo di fronte a un’occorrenza di pulizia e rinnovamento del creato. Quando Stefano Mancuso, alberologo, avanzò in agosto la proposta al pubblico italiano su Repubblica me ne dichiarai entusiasta di getto, per poi subito dopo sentire alla radio i soliti bastian contrari affermare che non ci sono nei vivai tanti alberi da piantare, e che poi gli incendi eventuali comprometterebbero con nuove emissioni le buone intenzioni, e non so quante altre obiezioni ricche di cattiva volontà e di capziosità spinta.
Ci sono sempre scuse, specie quando si voglia alimentare l’insensatezza, appunto, e scoraggiare il sublime della semplicità, l’uovo o l’albero di Colombo che ora entra nel menu, finalmente, dell’opera delle nazioni. Nella grande tradizione di Italia Nostra, Pascale dovrebbe fondare Alberi per il Millennio, e tutti dovremmo stimolare la grande impresa intanto del decennio, raccogliere fondi, individuare le aree di impianto, fare nel nostro fazzoletto di ambiente tutto quanto necessario perché il grande repulisti arboreo trionfi sugli ostacoli, sulle penurie di buona volontà. Sarebbe un modo conveniente e in un certo senso santo, dunque pazzo ma savio, di uscire dal bla bla. Nessuno potrebbe dichiararsi scettico o negazionista sulla più concreta delle profezie ecoambientali, sulla più benevola e umanistica e florovivaistica delle imprese possibili: piantare alberi. Diventeremmo tutti, magicamente e utilmente, guardie forestali del mondo, da ecologisti incendiari che siamo stati inutilmente.
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