I guai dell'energia pulita

Carlo Stagnaro e Chicco Testa

Gli obiettivi previsti e le strade impossibili. La lotta contro i combustibili fossili e le ricadute per i paesi poveri. Perché la transizione energetica è un peso per il ceto medio. Contro-indagine sul dossier dell’Aie

Nze. Segnatevi questa sigla perché ne sentirete parlare spesso. Significa Net Zero Emission. Il presidente della prossima Cop 26 (la conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul clima) ha chiesto all’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) di tracciare lo scenario necessario a raggiungere nel 2050 la neutralità nelle emissioni di gas climalteranti. L’Aie lo ha fatto e ha pubblicato il risultato del suo lavoro la scorsa settimana, in un corposo rapporto di 224 pagine intitolato “Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector”. Uno tsunami che si è abbattuto sul mondo dell’energia e dell’industria che da giorni sta indagando le migliaia di numeri contenuti nel rapporto per capire meglio il tutto.

 

Facciamo una premessa. L’Aie non decide e neppure consiglia, ma costruisce scenari. Cioè ipotesi di lavoro che dovrebbero essere seguite per raggiungere un certo obiettivo. E lei stessa fa una premessa. Il raggiungimento di “net zero” al 2050 rappresenta la più grande impresa che l’umanità abbia mai affrontato. Altro che sbarco sulla Luna o su Marte. Quelli al confronto sono stati uno scherzetto. Qui si tratta, contemporaneamente, di ridefinire completamente i nostri sistemi energetici (e con essi un pezzo significativo dell’economia globale), proteggere il benessere dei paesi avanzati e salvaguardare il diritto di quelli meno sviluppati di trovare una propria strada verso la crescita. Insomma è come se l’Aie avesse detto: “Voi mi chiedete cosa bisogna fare per raggiungere il pianeta Nze e io vi rispondo. Ma la responsabilità di fare le cose che vanno fatte sia chiaro che è vostra”. Infatti. I numeri messi in campo fanno girare la testa. E, in parte, risentono delle numerose ipotesi di fondo dell’Agenzia, riguardo i grandi trend demografici ed economici ma anche le tecnologie più promettenti. Insomma: si tratta di un eroico tentativo di immaginare un futuro possibile, non di una previsione. Infatti, il risultato è in parte coerente, in parte distante, da altri esercizi analoghi: per esempio, rispetto a questi l’Aie assegna un ruolo più importante al nucleare (che, dice, dovrà raddoppiare da qui al 2050) e uno relativamente contenuto alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (pur ritenute importanti). Non sappiamo, né possiamo sapere, a chi i fatti daranno ragione: ma è importante tenere a mente che l’intento del rapporto è rispondere a una domanda sulla base delle proprie convinzioni, arrivando così a indicare una strada, senza la pretesa che essa sia l’ultima.

Cominciamo dallo scenario macro. Per il 2050 si prevede un’economia di dimensioni doppie dell’attuale e con una popolazione con 2 miliardi di persone aggiuntive. Ciò nonostante i consumi energetici dovrebbero scendere del 10 per cento circa. Un’operazione di disaccoppiamento fra andamento del pil e fabbisogno energetico di proporzioni ciclopiche. Ancor più sfidanti appiano gli obiettivi relativi alla CO2. Quelle pro capite sono oggi nelle economie sviluppate vicino alle 8 tonnellate e dovrebbero scendere a 0,5 nel 2040, allo stesso livello delle economie dei paesi più poveri, anch’essi in diminuzione. Per dare un’idea, attualmente le emissioni sono già tornate ai livelli pre-Covid e si prevedono in crescita. Dal 1990 a oggi abbiamo immesso in atmosfera la stessa quantità di CO2 equivalente a quella rilasciata in tutti i secoli precedenti.

Quali sono le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi? Il menu è compilato senza trascurare nessuna pietanza possibile. I sostenitori delle diverse tecnologie trovano tutti soddisfazione (tranne i fautori dei combustibili fossili: può apparire ovvio, non lo è e più avanti vedremo che non è detto che si tratti sempre di una buona cosa). Le rinnovabili la fanno da leone, ma il nucleare deve raddoppiare. L’idrogeno verde (da elettrolisi dell’acqua alimentata da energia rinnovabile), ma anche quello viola (da nucleare) e blu (da steam reforming del metano con cattura e sequestro dell’anidride carbonica). Le auto elettriche, ma anche tantissime bioenergie e il potenziamento delle reti elettriche. Le batterie per le auto, ma anche le fuel cells. Praticamente tutto l’armamentario disponibile nell’ arsenale tecnologico mondiale. Con buona pace dei radicali verdi che amano solo ciò che ritengono sexy. Senza rendersi conto che, mettendo veti, non solo pregiudicano la fattibilità dell’obiettivo, ma implicitamente ammettono che il cambiamento climatico è un problema secondario: se rifiutano il nucleare o la Ccs, significa che ritengono i potenziali rischi di queste tecnologie perfino superiori a quelli del  riscaldamento globale. Con tanti saluti alla coerenza.

 

Dopo aver magnificato tutte le tecnologie presenti e futurel’Aie dice che da qui al 2030 ce la possiamo cavare in gran parte con quelle esistenti, ma poi dobbiamo affidarci ai santi protettori dell’innovazione tecnologica – l’Agenzia punta il dito contro i combustibili fossili. Che, certamente, ci hanno consentito di sperimentare la più straordinaria fase di crescita demografica, economica e sociale dell’intera storia umana, ma hanno anche causato l’aumento delle temperature. Pertanto, prosegue lo studio, il loro utilizzo dovrà quasi estinguersi da qui al 2050 e, aggiunge, perché ciò accada bisogna che da subito cessino gli investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti. Per la verità, il problema riguarda soprattutto il carbone (il cui consumo dovrà contrarsi del 90 per cento, contribuendo così a quasi la metà del taglio complessivo delle emissioni), ma investe anche il petrolio e il gas naturale. In compenso, i perforatori potranno divertirsi a cercare quei minerali come manganese, cobalto, rame e altri metalli rari che sono necessari a realizzare pannelli e batterie. Per fare un esempio, la domanda di litio è destinata a crescere di 30 volte in questo scenario.

Il grande vincitore dovrà essere l’energia elettrica i cui consumi devono crescere a doppia cifra. Il suo livello di penetrazione, cioè il rapporto fra elettricità e energia totale, dovrà raggiungere il 50 per cento (oggi, in Italia, è attorno al 20 per cento scarso). All’energia elettrica sono demandati diversi compiti. Prima di tutto sostituire in gran parte i fossili negli utilizzi finali (inclusi i trasporti e i consumi civili). In secondo luogo raggiungere quel quasi miliardo di persone che ancora ne è priva e garantire a loro consumi adeguati. In terzo luogo produrre idrogeno verde o viola in quantità gigantesche. In quarto luogo ricaricare le centinaia di milioni di auto elettriche che devono sostituire dal 2035 quelle a combustione (addirittura per le caldaie a gas si prevede il phase out dal 2025!). Naturalmente questa energia elettrica dovrà essere fatta con le rinnovabili: le più importanti, cioè eolico e fotovoltaico, sono intermittenti. Da qui il bisogno di sviluppare adeguati sistemi di accumulo, dalle batterie ai bacini idroelettrici fino all’idrogeno.


Questa in sintesi la questione. E’ percorribile questa strada? Diciamo che non è ripida. E’ di più. Basta pensare alle rinnovabili. Nello scenario Zne dall’anno prossimo esse dovrebbero crescere ogni anno di una potenza 4 volte più grande di quella installata nel 2020 che è stato l’anno record. Un’ira di Dio che rende probabilmente obsoleto lo stesso piano energetico italiano appena approvato e sulla cui fattibilità ci sono molti dubbi. O alle auto elettriche. Lo scenario prevede che dal 2035 non sia più possibile produrre e vendere auto a combustione. Il che vuol dire che intorno al 2050 non ce ne dovrebbero essere più in circolazione. Questo è possibile, forse, a Milano, Parigi o San Francisco. Ma come avvenga a Mumbai, Nuova Delhi, Nairobi o Lagos, città con decine di milioni di abitanti, con consumi elettrici, quando ci sono, a livelli infimi, con reti elettriche poverissime e instabili, con frequenti black- out e cadute di tensione continua sfugge a ogni previsione di buon senso. L’Aie lo dice perché la risposta è, in certa misura, implicita nella domanda, all’attuale stato delle conoscenze tecnologiche. Ma che sia fattibile nel mondo reale è tutt’altra questione. In questi paesi, in Asia e Africa, occorrerebbe installare milioni di MW rinnovabili per garantire a tutti livelli di consumi elettrici sufficienti e investire migliaia di miliardi per dotarli di reti elettriche smart e di sistemi di ricarica. A tal fine, la produzione annuale di batterie dovrebbe passare da 160 a 6600 GWh nel 2030 – l’equivalente della realizzazione di 20 nuove gigafactory – e i sistemi di ricarica passare dagli attuali 1 milione a 40 milioni nel 2030. Tutto ciò in paesi spesso instabili, nei quali non sempre investimenti ad alta intensità di capitale e alta intensità tecnologica sono concretamente possibili.

L’altro macroscopico problema che balza agli occhi è il contrasto fortissimo fra come stanno andando le cose e come dovrebbero andare. Il caso più evidente è quello del petrolio e più in generale dei combustibili fossili. Solo poche settimane fa l’Aie segnalava un doppio rischio per il greggio. Un rischio prezzo che sale e un rischio scarsità per mancanza di investimenti. Infatti i consumi di petrolio stanno tornando vicino ai 100 milioni di barile giorno e la stessa Aie prevede che sfondino presto il tetto dei 100. L’ Aie dice: niente più investimenti nel petrolio se non quelli in corso. Il rischio di trovarsi fra qualche anno con un vero shortage e con prezzi sopra i 100 dollari non è inesistente. C’è di più: immaginiamo di vietare alle imprese occidentali di cercare nuove risorse. Siamo sicuri che nessuno reagirebbe? Far fallire le Eni e le Exxon di questo mondo è nel nostro potere; impedire a cinesi, russi e sauditi di occupare lo spazio lasciato libero non lo è. Sicché, rischiamo di trovarci senza petrolio, coi prezzi alle stelle e alla mercé delle imprese pubbliche di paesi non democratici. Fra l’altro la stessa Aie segnala la drastica caduta di reddito a cui vanno incontro diversi paesi che si alimentano con l’economia del petrolio. Da un reddito pro capite di 1.800 dollari a 450 con una caduta del 75 per cento e problemi sociali enormi. Compresa un’ulteriore esplosione dell’emigrazione.

 

Altra questione ancora: come abbiamo detto, l’Aie riconosce un ruolo alla cattura e stoccaggio della CO2 ma è più pessimista di altri. E se avessero ragione questi ultimi? Se la cattura e lo stoccaggio (o gli utilizzi alternativi) del biossido di carbonio si rivelassero meno costosi o più praticabili di quanto ritiene l’Agenzia di Parigi? Avremmo sacrificato un patrimonio finanziario e di know how immenso, perché la Ccs&U consente di “allungare” la transizione fossile (soprattutto usando l’idrocarburo meno inquinante, cioè il gas) dando tempo alle rinnovabili e alle altre tecnologie di svilupparsi ulteriormente. Anzi, permette addirittura di estrarre la CO2 direttamente dall’aria per poi segregarla, dando così luogo a emissioni negative: in tal modo si potrebbero rendere i fossili più sostenibili, quanto meno dal punto di vista climatico. E questo renderebbe immensamente più semplice la decarbonizzazione.

Da ultimo, l’Aie presuppone diversi cambiamenti comportamentali: ridurre a 100 km/h il limite di velocità in autostrada, riduzione delle automobili di proprietà, maggiore utilizzo del trasporto collettivo, temperature nelle abitazioni più basse d’inverno e più alte d’estate, taglio drastico dei viaggi aerei. Siamo pronti ad accettarlo? E dove si traccia la linea tra l’incentivazione di condotte più virtuose e la compressione immotivata della nostra e altrui libertà? L’80 per cento della popolazione mondiale non ha mai preso un aereo in vita sua. L’Aie dice che i trasporti aerei dovranno stabilizzarsi ai livelli del 2019: ciò implica che gran parte degli esseri umani saranno confinati nei rispettivi paesi. Al di là del fatto che i problemi dell’inquinamento da trasporto aereo potrebbero essere risolti con l’utilizzo di biocarburanti o dell’idrogeno, questa indicazione – se dovesse tradursi in imposizione – sarebbe estremamente problematica dal punto di vista dei diritti individuali.

Per arrivare a questi risultati sarà necessario pompare nel sistema una quantità di denaro quasi impossibile da quantificare, tale da far impallidire le già immense manovre di stimolo dell’economia varate per sostenere la ripresa post-Covid. E’ una buona idea? Nel passato queste manovre basate sulla spesa pubblica e sulla “politica industriale” hanno comportato enormi sperperi di denaro e ancora più gigantesche manovre speculative. Ciascuno è libero di pensare che questa volta sarà diverso. Noi ci permettiamo di dubitare, ricordando una (facile) previsione formulata ormai molti anni fa da Dieter Helm, uno dei più grandi economisti dell’energia: “Il cambiamento climatico diventerà probabilmente una delle più grandi fonti di rendite dovute all’intervento politico”. E tralasciamo per il momento la risposta a ”chi paga?”, ma non l’impressione che possa trattarsi di una mazzata proporzionalmente molto più alta sulle spalle delle classi più deboli.

Una cosa è certamente da condividere. L’Aie lamenta le scarse risorse dedicate alla ricerca e sviluppo. E ha ragione. La lampada di Aladino se esiste sta lì. Nel portare a maturazione tecnologie che incrementino il ritmo del disaccoppiamento fra crescita economica e uso delle risorse ambientali. Roba come batterie di completa nuova generazione, sistemi di cattura della CO2, elettrolizzatori superefficienti, nucleare intrinsecamente sicuro e di basso costo. E magari altre cose che oggi nemmeno immaginiamo. Capaci di farci fare diversi salti della rana e di imporsi non perché ce lo dice il governo, ma perché adottati liberamente sulla base del loro minore costo e delle loro efficienza.

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