dalla guerra alla casa di carta

"Il successo pop di Bella Ciao? E' il vero inno d'Italia"

La ascolta Antony Hopkins in vacanza in Toscana, ne fanno dei remix di successo. "Più che una canzone comunista è trasversale a tutti gli schieramenti della Resistenza: chiuse anche un congresso della Dc", racconta lo storico Pivato

Gianluca De Rosa

“Sono italianoooo”. Mentre Antony Hopkins a mollo in una piscina nella campagna della Val d’Orcia grida il suo amore per il Bel Paese, in sottofondo suona Bella ciao. L’inno alla Resistenza che sostituisce, simbolicamente, quello nazionale, assumendo, per l’ennesima volta quest’anno, un nuovo significato. “Nulla di cui stupirsi”, ci dice il professor Stefano Pivato, ex rettore e docente di Storia contemporanea all’università di Urbino e autore del libro, edito Laterza, “Bella ciao, canto e politica nella storia d’Italia. “All’estero – spiega – è un canto noto, mentre l’inno di Mameli non lo conosce nessuno. Prima della presidenza Ciampi anche in Italia c’era un po’ d’imbarazzo: i giocatori di calcio non lo cantavano prima delle perdite. È un inno difficile, astruso… ma chi è che sa cos’è l’elmo di Scipio? Invece, Bella Ciao è una canzone di una semplicità stravolgente, è un bel motivo che apre il cuore e ha una grande presa corale ed emotiva”. 

 

 

Si certo, ma qui tra la serie tv spagnola la “Casa di carta” dove i protagonisti lo intonano mentre rapinano le banche e il giocatore Elseid Hysaj che senza conoscerne il significato politico l’ha cantata per festeggiare il suo arrivo alla Lazio facendo arrabbiare le frange di estrema destra del tifo biancoceleste, sembra che nel tempo il senso del canto sia andato perduto. “Nella fiction spagnola che parla di una banda di rapinatori – sostiene il professore – credo serva a esprimere un generico ribellismo anarchico, con le canzoni va così, spesso il significato cambia nel tempo e gliene si attribuiscono di nuovi. Basti pensare al Risorgimento e all’opera lirica: non ce n’è una a cui il pubblico non abbia attribuito altri significati. Da Verdi a Rossini, che era un incredibile liberale, sono più di 30 le arie che nulla c’entravano con il Risorgimento e che però sono diventate quasi inni nazionali. Come il Va Pensiero: quando Verdi scrisse il coro del Nabucco di certo non pensava sarebbe diventato un inno”.

Il fenomeno, dunque, non è nuovo. “Quello che stupisce – dice Pivato – è che Bella Ciao è diventata un fenomeno planetario: lo cantavano anche le combattenti curde a Kobane”. Ma lì era ancora un canto di libertà, un canto politico, mentre da Antony Hopkins in piscina al dj Steve Aoki che ne ha fatto un remix sembra più che sia diventata una canzonetta… “Quando una musica è orecchiabile può succedere anche questo. Negli anni 60 tutti cantavano la canzone di Marinella di Fabrizio De Andrè, ma quasi nessuno sapeva che quella canzone raccontava la morte tragica di una prostituta, eppure piaceva a tutti. Questa inflazione di Bella Ciao dimostra che le motivazioni del successo di una canzone prescindono sempre dal suo significato: sono l’orecchiabilità, la coralità. Poi c’è un’altra grande verità, Bella Ciao è un canto politico? È un canto comunista? Diciamoci la verità, no. Anzi è un inno universale alla libertà”. 

 

Ecco appunto, ma com’è nata Bella Ciao? “Anche questo è uno dei segreti di questo canto: nessuno sa effettivamente chi l’abbia scritta. Ci sono moltissime ipotesi: c’è chi dice che venga da un canto delle mondine, chi sostiene che l’abbia scritta la brigata Maiella che risaliva con gli alleati la penisola dall’Abruzzo e c’è persino chi pensa sia stata scritta nel dopo guerra. Anche questa incertezza rende questo canto un po’ di tutti: non l’ha scritta un partigiano comunista, non l’ha scritta un anarchico, è bella ed esprime valori universali come la libertà e la pietà per chi è morto… perché non intonarla?”.

 

Eppure, in Italia ha sempre avuto una forte connotazione politica a sinistra. Insomma, non piace proprio a tutti. “Anche questa cosa – racconta Pivato – non è del tutto vera. A fine anni 90 le piazze antiberlusconiane e i manifestanti no global a Genova se ne sono appropriati, ma Bella Ciao nasce dopo l’esperienza degli anni 60 del governo Tambroni della Dc con la destra e nasce come cesura. La Resistenza doveva diventare parte del bagaglio fondamentale della Repubblica e per farlo serviva toglierli di dosso quella patina di comunismo che ancora la offuscava”. Ci spieghi meglio. “Il successo di Bella Ciao, a differenza di quello che pensano molti, è arrivato in quegli anni. Durante la Resistenza erano pochissimi, forse nessuno, i partigiani che la conoscevano. La vera canzone della Resistenza era 'Fischia il vento', la canzone delle brigate Garibaldi, ma quello era un canto che era stato portato in Italia dalla Russia, una canzone comunista, negli anni 60 serviva altro: un canto che rappresentasse tutta la Resistenza, non solo i comunisti, ma anche socialisti, azionisti, democristiani di sinistra. Non bisognava escludere nessuno. Bella Ciao era la canzone perfetta: priva di riferimenti politici o ideologici, ma inno ecumenico alla libertà capace di liberare la Resistenza dal monopolio comunista. Per di più era un canto estremamente orecchiabile, che si batte con le mani e che coinvolge. E infatti prima degli anni 90, ad eccezione dell’estrema destra in Italia l’hanno adottata un po’ tutti”. Nel suo libro Pivato racconta che anche il XII congresso della Dc, nel 1976, si chiuse sulle note di Bella Ciao.

 

Ma non sarà anche che la politica non canta più e così anche le canzoni politiche diventano musica leggera? “Di certo, la politica è cambiata – dice lo storico –, fino a 20/30 i canti erano una parte essenziale di un corredo iconico di un partito insieme allo stemma, alla bandiera. Per un comunista “Bandiera rossa” e per un democristiano “Bianco fiore” erano fondamentali, oggi non tutti le conoscono, in generale tutta la politica ha perso rilevanza. A inizio 900 le persone davano ai figli nomi come Lenina o Garibaldina, non per scherno, ma in segno augurale: era un modo per sperare in un avvenire migliore per la propria prole”.

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