roma capoccia

Cucchi ci spiega dove nasce il mito della curva nord politicizzata

Gianluca De Rosa

Voce inconfondibile di “Tutto il calcio minuto per minuto” e tifoso biancoceleste a tempo pieno. “La stragrande maggioranza dei laziali non ha niente a che vedere con fascismo”

Certo chi ha frequentato un po’ la curva Nord sa bene che non si canta Bella ciao. Di coro propriamente politico all’Olimpico, lato Lazio, ne viene intonato uno solo: Avanti ragazzi di Buda, l’inno alla rivoluzione ungherese del ’56 scritto da Pier Francesco Pingitore e intonato recentemente da Giorgia Meloni e dai militanti di Fratelli d’Italia per accogliere ad Atreju, la festa di partito, il premier ungherese Victor Orbán (“la più bella canzone sui fatti del ’56”, commentò quel giorno Orbán).

 

Insomma, che a qualche facinoroso potesse non piacere che il neo acquisto della Lazio, Elseid Hysaj, festeggiasse il suo arrivo a Roma su Instagram cantando Bella ciao era prevedibile. Altrettanto ipotizzabile era lo striscione anacronistico-demenziale apparso su Corso Francia qualche ora dopo: “Hysaj verme, la Lazio è fascista”. Alla scontata catena di eventi si è aggiunto però un fatto inedito. Sin dalla mattina successiva su Twitter è salito tra i trend topic l’hashtag #iostoconHysaj. Una valaga di oltre 13mila tweet di tifosi laziali in difesa del giocatore e contro la narrazione, spesso dominante, di una tifoseria composta da estremisti di destra. “Laziali sì, fascisti no”, “La Lazio non è nera, è solo biancoceleste”, i più gettonati. Ai post si è aggiunto anche un controstriscione appeso la notte successiva sotto la curva Nord. Due parole: “Daje Hysaj”.

   
Tra i più attivi nella campagna social, Riccardo Cucchi, 68 anni, voce inconfondibile di “Tutto il calcio minuto per minuto” e, da quando è in pensione, tifoso biancoceleste a tempo pieno. “Non sono assolutamente convinto che i laziali siano fascisti. Anzi, ho esperienze personali da tifoso e da giornalista che mi dicono il contrario, la reazione sui social di queste ore è stata straordinaria e sta lì a dimostrarlo: la stragrande maggioranza dei laziali non ha niente a che vedere con il fascismo”.

   

Però gli episodi non se li inventano i media. “Purtroppo – prosegue Cucchi – questa etichetta antipatica è legata a un gruppo ristretto ma molto rumoroso di estremisti di destra”. Eppure le frange neofasciste sono presenti nelle curve di mezza Italia. Perché solo la Lazio è considerata la “squadra dei fascisti”? “Credo che questo sia un tema in qualche modo indotto da una certa narrazione che anche i media hanno spesso assecondato, ma non è assolutamente vera”. Qualche ragione però deve pur esserci. “Ci sono stati fenomeni nel corso della storia della Lazio che hanno generato questo tipo di convinzione. Non mi nascondo: nel ’74, l’anno del primo scudetto, tutto era politica e, purtroppo, anche violenza. Quella squadra aveva molti calciatori che non mascheravano la loro simpatia per il fascismo, a cominciare da Giorgio Chinaglia. La Lazio però non era tutta fascista, tutti ricordano Chinaglia, ma quella squadra aveva un allenatore, Tommaso Maestrelli, che era stato partigiano, mezza squadra era contro Chinaglia anche per ragioni politiche, c’era una divisione tra gruppi persino feroce. Per paradosso in termini sportivi fu la ragione del successo”.

 

Più tardi ci fu il saluto romano di Paolo Di Canio sotto la Nord. “Un altro fatto che ha convalidato un’impressione generale sulla ‘Lazio squadra dei fascisti’, ma non è così neanche storicamente: la società è nata nel 1900, ben prima del fascismo, scegliendo i colori biancocelesti come riferimento all’olimpismo decoubertiano e alla bandiera greca, perché ad Atene si erano svolte le prime Olimpiadi dell’era moderna. E’ nata come polisportiva per favorire lo sport tra i giovani meno abbienti, il fascismo, insomma, non c’entra nulla”.

   
Cucchi, comunque, è in ottima compagnia. Le pagine di laziali che cercano di costruire un’antinarrazione sul tifo biancoceleste proliferano su Twitter come su Facebook. C’è “Laziali e Antifascisti”, “il Laziale Ponderato” e il il 9 gennaio 2020 – giorno del 120esimo anniversario della fondazione del club biancoceleste – si è aggiunta “Lazio e libertà”. “Purtroppo l’inizio della pandemia non ha fermato solo la grande stagione che la squadra stava facendo, ma anche molti eventi che avevamo cominciato ad organizzare dal vivo, abbiamo dovuto ripiegare su Zoom”, spiega Giannandrea Pecorelli, ex dirigente Rai e presidente di Lazio e Libertà. “Sono molto contento di quello che è accaduto con Hysaj, abbiamo dimostrato che esiste la possibilità di controbattere a chi ha messo sulla Lazio un’etichetta insopportabile”. Pecorelli è tifoso appassionato. Da 50 anni va allo stadio tutte le domeniche e sul perché solo per la Lazio il fascismo di alcuni diventa il fascismo della squadra, ha una sua idea. “I tifosi di estrema destra sono presenti nella maggior parte delle curve italiane. Purtroppo qui questa cosa viene rivendicata con maggiore orgoglio rispetto ad altrove”. Anche secondo lui l’origine sono gli anni 70. “La politica era anche nel calcio, gli ultra laziali si dichiaravano fascisti e questo segnava rivalità con tifoserie rosse come quella del Perugia, le trasferte finivano spesso in scontri. Più tardi una cosa simile è successa con il Livorno. Tutto questo pesa ancora sull’immagine del tifo laziale, noi lavoriamo perché cambi e sono felice di vedere che anche la società si stia impegnando in questa direzione”.