Voltaire benedice il nipote di Franklin in nome di Dio e della Libertà, Pedro Américo

Un algoritmo molto serio rivela cosa pensavano davvero gli illuministi

Antonio Gurrado

Sorpresa: a Voltaire, più dei preti, interessava la famiglia

Già cinquant’anni fa Juan Rodolfo Wilcock preconizzava un Filosofo meccanico universale, una macchina in grado di produrre autonomamente filosofia “in quel vasto settore di indagine a scopo voluttuario e decorativo che consiste nel casuale accostamento di vocaboli che nell’uso corrente raramente vanno accostati, con susseguente deduzione del senso o dei sensi che eventualmente si possano ricavare dall’insieme” (se volete esempi concreti, pensate a “Il vero è l’intero”, “L’inferno sono gli altri”, “Il mondo mondeggia”). Nel frattempo però disponiamo di un algoritmo che fa qualcosa di più sofisticato: tenta di svelare cosa pensassero davvero i filosofi, mappando il modo in cui interessi e associazioni si disponevano nella loro mente quando scrivevano in maniera immediata, rivolgendosi non a un pubblico di sconosciuti ma a corrispondenti e confidenti.

 

Un’interessante collaborazione fra la Voltaire Foundation di Oxford (che sta terminando una mastodontica edizione critica di tutta l’opera di Voltaire) e l’Artfl Project dell’Università di Chicago (che ha pubblicato sul web un’accuratissima edizione digitale dell’Encyclopédie) ha analizzato con quest’algoritmo le corrispondenze di Voltaire e di Rousseau, che coprono mezzo secolo e sono integralmente disponibili su un altro sito fondamentale per gli studi settecenteschi, Electronic Enlightenment. Non si tratta solo di contare quali termini appaiano più frequentemente; l’algoritmo genera cluster tematici di parole che l’autore delle missive era solito utilizzare collegandole, e che quindi erano di fatto associate nella sua mente mentre scriveva lettere; potremmo dire nella fase privata del suo pensiero. Il meccanismo è descritto nel dettaglio su Café Lumières, un bel blog che divulga la ricerca sull’Illuminismo.

 

La sorpresa è che Voltaire risulta sorprendentemente disinteressato alla filosofia e alla religione. O, meglio, i cluster che contengono parole come “filosofo, filosofia, sacerdote, articolo, gesuita, religione” o “frate, santo, cappuccino, tolleranza”, si piazzano nella parte bassa della classifica tematica, davanti solo a cluster molto meno significativi per definire l’identità di Voltaire nel nostro immaginario: quelli relativi ai titoli nobiliari, alle forme di cortesia in cui pure abbondava, o ai servizi postali, oltre che ovviamente al cluster relativo all’Académie Française che solleticava non poco la sua vanità. Lo interessavano di più il teatro (che gli valse la fama in gioventù), i casi giudiziari (che gliela assicurarono in vecchiaia) e i rapporti familiari: Voltaire era pettegolo, oltre a essere lo zio della propria amante.

 

Rousseau invece – fatta salva una netta preminenza delle questioni editoriali, col cluster che contiene parole come “paragrafo, articolo, testo e così via” – era davvero interessato ai temi portanti del proprio pensiero. Quanto meno, ne parlava con più trasparenza e frequenza: il secondo cluster più pesante è quello relativo a “sentimento, felicità, virtù, amore”, che sono forse i quattro punti cardinali del suo lessico filosofico. Se non sorprende che al terzo posto si piazzi la preoccupazione per la salute (“malattia, corpo, cura, medico”, eccetera), spiccano anche i cluster relativi all’ambito della politica e a quello dell’analisi psicologica (“silenzio, inquietudine, bisogno, impazienza”), che Rousseau rivolgeva al proprio interno. Come diceva il grande studioso René Pomeau, Rousseau si esamina sempre e si trova cattivo; Voltaire non si esamina mai e si trova buono.

 

Ci sono vari motivi per cui da quest’algoritmo emergono ritratti intimi di filosofi che possono spiazzarci: il diffuso eclettismo, che contravviene alla nostra necessità di catalogarli manualisticamente, e soprattutto il fatto che nel Settecento la censura, il timore che ogni lettera venisse intercettata, dettava sovente la necessità di smussare, ammiccare, lasciar perdere. Questo è forse il peggior nemico di un algoritmo che, sofisticato quantunque, forse faticherà a cogliere gli ammicchi ma è efficace nel rivelare pieghe private. I temi che ossessionano Voltaire risultano essere: al terzo posto i libri, soprattutto quelli propri, visto che il cluster non contiene solo “edizione, volume, pagina” ma anche “errore di stampa, errata corrige”; al secondo posto le date, che tracimano dal cluster relativo a mesi dell’anno, giorni della settimana, ore del giorno; al primo posto i soldi, con “lire, monete, conti, somma, banconote, franchi, pagamento, rendita”. Tempo e denaro: c’è qualcos’altro che dovrebbe interessare un filosofo quando pensa senza che nessuno lo guardi?

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