Vladimir Konstantinovich Bukovskij, scrittore russo e dissidente del regime sovietico (LaPresse)

“Riscrivi il libro”. Così Bukovskij fu boicottato dal più grande editore americano

Giulio Meotti

Lo scrittore lavorò per tutta la vita alla raccolta del materiale di archivio contro il Pcus e le sue infiltrazioni nei movimenti occidentali. Il suo libro è stato pubblicato in inglese solo 25 anni dopo le prime edizioni

Roma. Accanto al suo fortunatissimo libro di memorie, “Il vento va e poi ritorna”, Vladimir Bukovskij lavorò per tutta la via a un chiodo fisso, la raccolta del materiale accusatorio di archivio contro il Partito comunista sovietico e le sue infiltrazioni nei movimenti e nelle organizzazioni occidentali. Dopo la caduta del comunismo, Bukovskij colse l’opportunità al volo. Divise il suo tempo tra Cambridge, dove viveva in esilio da quando era stato scambiato con il cileno Luis Corvalan, e Mosca, dove ebbe libero accesso agli archivi sovietici grazie a Boris Eltsin. Così nacque il suo libro “Il processo di Mosca”, pubblicato nel 1995 in russo, in francese, in polacco, in italiano e in altre lingue.

 

Ieri, alla notizia della scomparsa del famoso dissidente sovietico, che tra manicomio e carcere trascorse più anni della giovinezza in gabbia che da uomo libero e a cui Mosca inflisse la più dura condanna per motivi politici mai comminata dopo la morte di Stalin (dodici anni), il Wall Street Journal ha tirato fuori una storia emblematica della fatica che hanno fatto tanti esuli sovietici nelle lettere occidentali.

  

Il libro d’archivio di Bukovskij non è uscito in lingua inglese fino al maggio di quest’anno, venticinque anni dopo le prime edizioni. Il sottotitolo, “Crimini sovietici e complicità occidentale”, fornisce un indizio sul perché di tanta censura. Quando Bukovskij tentò per la prima volta di pubblicare il volume in inglese, negli anni Novanta, l’editore americano Random House gli chiese di riscrivere “l’intero libro dal punto di vista di un liberal di sinistra”. In particolare, gli venne detto di omettere qualsiasi riferimento ai movimenti pacifisti infiltrati da Mosca, alle iniziative editoriali americane sostenute da Mosca e alla sua capacità di influenza sui grandi media come Abc o Bbc. Ora un piccolo editore californiano, Ninth of November Press, pubblica il volume (stesso destino in Italia, dove vent’anni fa uscì per la casa editrice Spirali).

   

L’edizione americana ha il blasone di encomio dei più grandi studiosi di Russia, viventi e no: “E’ il processo di Norimberga che i sovietici non subirono mai quando cadde l’Urss” (Anne Applebaum), “il lavoro più importante apparso da decenni sull’impero sovietico” (Edward Lucas), “un’opera affascinante che demolisce alcuni altri miti prevalenti in occidente sull’Unione Sovietica” (Richard Pipes), “un contributo enorme” (Robert Conquest). Già, Conquest. La casa editrice Garzanti all’epoca acquistò i diritti del suo “Grande terrore”, lo fece tradurre ma non lo pubblicò mai (apparirà anni dopo presso le edizioni Liberal, a conferma che la miglior saggistica in Italia l’hanno salvata i piccoli). E Alexander Solgenitsin? Zero pubblicità e quasi una vergogna a esporre nelle librerie il suo “Arcipelago Gulag”. “Nessuno vuole recensire ‘Arcipelago’, nessuno si vuole occupare di Solgenitsin”, si lamenterà Domenico Porzio, allora capo ufficio stampa della Mondadori.

    

Senza considerare il caso della mancata pubblicazione da parte di Einaudi di una prefazione dello scrittore polacco Gustaw Herling ai “Racconti della Kolyma” di Varlam Shalamov, a causa dell’accostamento del gulag e del lager nazista (il dialogo Herling-Sinatti uscirà presso la piccola casa editrice L’Ancora).

   

Nell’ottobre del 1990 Bukovskij venne a Roma, ospitato dai gruppi parlamentari, mentre in Europa (e in Italia) la sinistra si beava delle “riforme” di Michail Gorbaciov. Bukovskij disse: “Non credo alla riformabilità del socialismo in Urss. L’occidente si illude. E fa come l’uomo di quella storiella che voleva volare e si buttò dal ventesimo piano di un grattacielo. Per qualche secondo conobbe la felicità perché stava volando. Peccato che subito dopo si sfracellò al suolo”. Non gli perdonarono mai di non aver voluto volare insieme a loro.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.