Di Giovanni Paneroni è stata scritta in anni recenti anche una storia a fumetti: “La terra non gira, o bestie!” di Roberto Viesi è stato pubblicato nel 2011 da Gam

Il padre dei terrapiattisti

Marco Archetti

La grande bufala, prima del web. Gelatiere col carretto, situazionista antiscientifico, Giovanni Paneroni elaborò per tutta la vita la sua grottesca teoria tolemaica

"Il mio amico Cristoforo Colombo, uscito dal suo sepolcro, venne a trovarmi e mi gridò di squillare ai popoli che lui l’America non la scoprì di sotto capovolta e rovesciata in giù, ma la scoprì al medesimo livello dell’Europa, ovunque ritta in piedi, coi grattacieli all’insù, dritti in alto. E questa è la sola verità!".

 

Osannato dagli studenti goliardi che lo vedevano come il più grande iconoclasta in grado di incrinare le certezze del mondo accademico

Questa, più che altro, è la versione di Giovanni Paneroni, nientemeno che il padre storico del Terrapiattismo italiano. Astronomo ambulante, situazionista antiscientifico, martire in bretelle e gelatiere col carretto, nacque il 23 gennaio 1871 in provincia di Brescia, a Rudiano, un piccolo paese al centro di un territorio vagamente triangolare, completamente pianeggiante (i casi della vita) e orlato a ovest dal corso ritorto del fiume Oglio. E’ lui l’Ur-complottista, il Dilettante Eterno e il Perpetuo Contendente, lui il Primo degli Indignati e l’Ultimo dei Tolemaici. Per tutta la vita Paneroni fu – si tolleri l’ironia – Tesi senza Antitesi: osannato dagli studenti goliardi che lo vedevano come il più grande iconoclasta antigentiliano in grado di incrinare le certezze di quel mondo accademico che di fatto lo rifiutò costantemente, non ottenne mai udienza e tuttavia non si stancò un solo giorno di battere ai portoni delle istituzioni e delle università, rumoreggiando, irridendo inascoltato, polemizzando sempre a senso unico proprio come un pugile che in allenamento “boxa con l’ombra”. Ma per Paneroni il momento del match non arrivò mai: solo in un paio di casi riuscì, se non proprio a farsi ascoltare, almeno a togliersi la soddisfazione di gridare, ma in generale i guanti di sfida che lanciò caddero tutti nel vuoto e nell’umido gocciolante delle gattabuie dove spesso veniva trattenuto, in attesa che si concludessero i congressi universitari nei quali minacciava di irrompere armato del suo vocione e delle sue grottesche teorie. Nel 1938 gli toccarono anche tre mesi nel manicomio di Sant’Onofrio a Roma, quando per farlo liberare intervennero i suoi concittadini, il prete e il sindaco a giurare sulla sua innocuità. Ma Paneroni non imparò la lezione, al contrario: più lo respingevano e più insisteva. Brescia, Cremona e Piacenza si erano trasformate in città off limits, ma più piovevano diffide e più lui esigeva ascolto. Fondò perfino una “Rinascentibus Scuola Universitatis”, presidio postale delle sue teorie: inviare 30 lire dava diritto a un libro illustrato e alla sua prestigiosa e “stupefacente geografia completa di cinque disegni, due poesie e due discussioni”. Insomma, Giovanni Paneroni non ci stava a essere (come fu, per tutti gli anni Venti) solo il re dei veglioni e delle serate teatrali umoristiche, serate in cui veniva trattato come un fenomeno da baraccone e il cinismo degli organizzatori lo esponeva al ludibrio più sfrenato e alla spettacolarizzazione della sua sprovvedutezza – al teatro Lirico, nel 1921, prima di una sua serata, venne distribuito a ogni partecipante un berretto a cono con la scritta “astrologo” – e pertanto reagì sempre con inesauribile, cieco vigore. E’ proprio questo che colpisce: le rivalse che il “Divinator dei mondi” sapeva prendersi furono, in un certo senso, anticipatrici di un metodo oggi ampiamente praticato soprattutto da coloro che, più meno consapevolmente, proprio da Paneroni traggono ispirazione. Così, ogni volta che qualche “servo della Scienza Ufficiale” e del potere politico-economico – “Tutti asini incarogniti dalla Copernichiana!” – gli rifiutava un confronto “temendo le sue verità”, Giovanni Paneroni imbracciava il fascio dei suoi stravaganti opuscoli autopubblicati e si precipitava a lordare i muri di un qualsiasi palazzo del Potere Accademico con scritte insolenti, dotate dell’incipit più conosciuto di quei primi anni Venti: “La Terra non gira, oh bestie!” Il climax dei suoi lazzi acrimoniosi si avvaleva di spericolate contumelie quali: “Galilei scemo! Galilei fa schifo alla Ragione! La Terra è piana e per le acque non può essere rotonda, sveglia!” E trionfava in finaloni pieni di note eccedenti, del genere: “Il sole lo vedete girare, cretini! Teste di zucche! Svegliatevi!” (Il fatto interessante è che, nei suoi testi autobiografici, Paneroni raccontava con innegabile vanteria di queste sue bravate e si alimentava di una folle visione vittimistico-titanica del mondo e del proprio ruolo.) Quanto ai manuali di cui era autore, si trattava di fascicoli fittamente scritti e arricchiti da miniature, operazioni matematiche sgangherate e cifre che citavano solo se stesse, il tutto impennacchiato da titoli strambi che lui prendeva sul serio e che recitavano “Giovanni Paneroni, Maestro degli Astronomi di tutto il mondo, W il giusto osservatorio”, ma ovviamente gli apparati cartografici scontavano un’approssimazione puerile e gli schizzi offerti a corollario erano poco più che il goffo vaneggiamento di un astronomo domenicale che scruta l’ignoto guardando attraverso un tubo da stufa e lo ritrae alla bell’e meglio… Inevitabile per un tale Masaniello dell’antigalileismo le cui cattedre furono le piazze, i crocicchi dove arringava folle divertite e plaudenti, i bar tra Lombardia e Veneto e tutti gli usci dei palazzi dei congressi geografici, sempre e ovunque piantonandosi nella speranza di conferire con qualche asino di collega in flagrante malafede, sempre attendendo il proprio momento, sempre sperando di poter sbugiardare tutti i ciarlatani nutriti a stupidaggini newtoniane e riuscire ad affermare definitivamente le sue verità agli occhi della comunità “degli aviatori, degli ingegneri e dei cosmologi”.

 

Il Sole paneroniano ha un diametro di due metri, pesa 14 chilogrammi e circola a una distanza fissa di 1.000 chilometri dalla Terra

Ma non andò così: per Giovanni Paneroni la vita fu l’anticamera perenne e non solo delle Università, anche di quei sogni di gloria che, con deliri di grandezza ed eroici patti di pazienza, cercava di trasformare in realtà, credendoli realizzabili al punto da gettare sul lastrico la moglie e i dieci figli. “I familiari mi gridano che gli mangio fuori le loro fatiche,” scrisse in una lettera, e infatti andò proprio così, prima o poi tutti lo rimproverarono per aver abbandonato l’attività dolciaria in nome di una missione folle. Peccato che fu proprio il lavoro, la causa della pazzia astronomica di Paneroni. Peccato che si nascondano proprio lì le ragioni in forza delle quali mollò il carretto per darsi alla carriera parascientifica. Per ricostruire i fatti è utilissima la lettura di certi scartafacci autobiografici nei quali, con calligrafia precisa, sintassi balenga e punteggiatura assente, Paneroni scrive la propria Paneroneide, ricostruendo per filo e per segno quando fu roso dal tarlo scientifico e come immaginò di poter passare alla storia (certezza, questa, mai attaccata dal dubbio: perfino in punto di morte disse al figlio che prima o poi la sua opera avrebbe trionfato). Ma cominciamo dall’inizio. Il padre era un commerciante, e ritenendolo il più intelligente dei suoi figli lo iscrisse in seminario a Bergamo. Poi lo dovette ritirare causa scarso rendimento, al che lo mise a far tirocinio presso un pasticcere bergamasco. Dopo la Leva nei Carabinieri a Ravenna, dove fu bocciato sul campo e relegato in fureria perché non facesse danni, fu avviato definitivamente alla professione di gelataio ambulante e per anni, placidamente, andò di fiera in fiera con un carretto a ruote, da Rovato a Orzinuovi, da Fontanella a Palazzolo. Senonché, durante un’estate afosissima e faticosa in cui si ritrovò più a inseguire l’ombra che a vendere gelati, il Paneroni cominciò a rimuginare sull’universo. Rimugina oggi e rimugina domani, si chiese se, per caso, le cose stessero davvero come gliele avevano raccontate. E sospettò di no. Dunque approfondì. Calcolò. Di sera andava a Brescia a rifornirsi di ghiaccio e, guardando le stelle, elencava a se stesso gli errori madornali di Galileo, poi a casa prendeva febbrili appunti per tutta la notte e all’alba, mentre impastava le miscele zuccherine, sentiva montargli dentro pian piano un incontenibile fiele di antiaccademismo, un furore di giustizia intellettuale, un’avversione per l’indegna trafila delle menzogne ufficiali. Infine si convinse, elaborò una teoria e decise di scrivere un’opera. Ma non un’opera e basta: l’opera che avrebbe messo a tacere per sempre i parrucconi e le “teste di pietra”! E Paneroni scrisse. Scrisse la sua cosmogonia, che partiva dal punto fermo del Sole, motore della vita e prima opera del Creatore. La seconda furono le stelle (micce che misurano un millimetro e “hanno il compito fondamentale di difendere il sole dagli assalti delle nuvole che lo vogliono spegnere”), quindi la luna (una palla di un metro di diametro che segue la stessa pista del Sole “ma in senso contrario e in venticinque ore anziché ventiquattro”), la donna e l’uomo (“la donna per consolazione o disperazione del maschio”), poi gli animali e la natura. “La Terra infinita, fissa e piana, c’è sempre stata”, ma il Sole paneroniano è un bizzarro gingillo: ha un diametro di due metri, pesa 14 chilogrammi e circola a una distanza fissa di 1.000 chilometri dalla Terra. “Vive attirando a sé tutto il calore dei fuochi terrestri, infatti potete osservare che tutte le fiamme scappano in su andando verso il Sole. Il calore che esso spande sulla Terra, essa glielo restituisce bruciando legna. Riscaldate pure le stanze, ma il calore scappa fuori”.

 

Se il Sole misurasse migliaia di volte la Terra come pretendono i copernicani – proseguiva Paneroni – questa sarebbe avvolta di calore “come un pane nel forno, con la conseguenza di abbrustolirsi”. Il disco solare né sorge né tramonta, “essendo il disegno della sua arcata un semplice effetto ottico”. Anche quando leva o cala siamo vittime di un inganno: è l’umidità che ne dilata le dimensioni. In ventiquattro ore il Sole compie un percorso di 42.000 chilometri alla velocità di 1.780 all’ora, viaggiando per dodici ore davanti all’Asia e all’Europa e per altre dodici sull’America e sul Pacifico, alternando il giorno e la notte. E confutava: “Di notte, perché mai vediamo stelle e luna in alto? Secondo la Galilei si dovrebbero vedere giù sotto, invece no. La pioggia cade invece sempre in giù, di notte, col capovolgimento come cadrebbe in su? Il batacchio delle campane non si muove: e allora la terra non gira. L’uomo può camminare a testa in giù? Se la terra gira basterebbe stare fermi in aereo e fra dodici ore si avrà l’America di sotto. Le navi degli Oceani precipiterebbero tutte in giù”.

 

Ogni volta che qualche “servo della Scienza Ufficiale” gli rifiutava un confronto, si precipitava a lordare i muri con scritte insolenti

Paneroni ne aveva anche per Isaac Newton, che non esitò mai a definire un volgare ciarlatano. “Se ci fosse l’attrazione come si spiega che mosche e uccelli, così leggeri, possono distaccarsi dalla Terra e volare? Se le cose, dopo essere sollevate dal suolo, al suolo ricadono, è perché la Terra è piana e qui tutto si ferma”. Indimenticabile anche il ragionamento con cui Paneroni liquidava la pressione atmosferica. “La pressione non tiene in piedi un uomo. L’unica cosa che tiene in piedi un uomo è la salute. Difatti, una rivoltellata in testa e questo ruzzola gambe all’aria. La pressione è una cretineria!” Il giornalista Enrico Mirani, che a Paneroni ha dedicato un divertente libello, ricorda alcune sue massime memorabili. “Paralleli e meridiani che formano la Terra rotonda come un’anguria fanno ridere e fanno schifo”. “Elettroni, neutroni, atomi, eccetera, sono solo la polvere che si deposita sui mobili e che bisogna spolverare, la scienza medica li chiama microbi”.

 

L’ultimo atto col quale Paneroni si segnalò all’attenzione generale fu la pubblicazione, nel 1941, del testo “Primitive primizie di nuovo profondi studi di Geografia e Miteorologia” (sic). Poi, a differenza di quanto accadeva col Sole delle sue teorie, il suo nome tramontò. Le sue performance di avanguardia antiscientifica erano unanimemente osteggiate e nel 1943 l’astronomo declinante arrivò perfino a scrivere a Mussolini chiedendo giustizia, senza mai ottenere risposta. Elaborato il lutto di un figlio morto sul fronte greco, nel 1948 si rivolse anche al ministro della Pubblica istruzione Guido Gonella pregandolo di acquistare i suoi testi e di adottarli per le scuole, ma fu tutto inutile. Poi una piena dell’Oglio si portò via il suo “osservatorio”. Morì il 2 gennaio 1950, e il suo nome venne ricordato da numerose radio inglesi, spagnole, italiane, e da una quarantina di giornali. Paneroni aveva, a modo suo, “fatto scuola”? Senza alcuna ironia, i familiari gli dedicarono l’epigrafe che aveva sognato per tutta la vita: “Astronomo Giovanni Paneroni, la moglie e i figli posero”.

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