Stefano Boeri, presidente della Triennale, con Lorenza Baroncelli, direttrice artistica dell'ente

Lorenza and the City

Michele Masneri

Dall’Eur all’Expo. Chi è e cosa fa a Milano la romana Baroncelli, braccio destro dell’archistar Boeri alla guida della Triennale

Il contesto: la Milano del Salone del Mobile, il gran sabba dei prosecchi e dell’autostima lombarda. La Milano di oggi è tornata – banalità – da bere, e i brindisi hanno l’epicentro in Triennale, in questo augusto palazzotto progettato dall’architetto Giovanni Muzio negli anni Trenta. Lì non solo si è aperto, con gran frinir di bandiere e tutto il governo al completo, il primo e unico museo del design italiano, ma si è pure celebrato il party più cool del Salone, il “confusion party” con la Boschi che danzava, confusa e felice, in una Oktoberfest con würstel e dj set, tra stilisti e influencer. Con sponsor, giustamente, Ramazzotti (Milano da bere, in purezza). Su questo indirizzo da panettone (viale Alemagna) oggi regna Stefano Boeri, il Jack Lang della Macroregione, l’archistar del bosco verticale, il suo capolavoro identitario, quello dove “viveva la Ferragni”, come ormai ti dicono i tassisti a Milano (ella ormai risiede a Citylife). Della biografia boeriana si è già scritto, Kennedy del compasso d’oro (e la mamma, la mitologica Cini, è in questi giorni testimonial di una serie naturalmente “iconica” per Prada).

 

Boeri è architetto-politico, è stato per breve tempo assessore a Milano, ma oggi ha trovato un suo ubi consistam in un potere molto più diffuso e più sottile, soft, nazionale e transnazionale: oltre alla presidenza di questa Triennale, guida una specie di boy band che scova creativi talentuosi in giro per l’Italia, li forma in una factory tra politica, design, architettura e arte contemporanea e poi li risputa dove serve: di questo gruppo di civil servant tutti bellocci e di arrembante gioventù la prima linea è composta da Tommaso Sacchi, capo della segreteria culturale del comune di Firenze e curatore dell’Estate fiorentina, Joseph Grima, anglo-italiano nuovo direttore del museo del design. E poi lei, Lorenza Baroncelli. Trentasettenne, romana. “Direttrice artistica”, di questa Triennale, l’antenna da cui si irraggia il boeri-pensiero per l’Italia e oltre. Braccio destro dell’archistar, vita randagia, architetta ma anche un po’ politica, oltre che curatrice. Ma parliamoci chiaro, il dato che interessa è uno solo: alla base della rinascita di Milano, c’è una romana?

  

Trentasette anni, vita randagia (è nata a Ginevra, ha lavorato in Colombia e in Cina), architetta ma anche un po’ politica 

Romana pure de periferia, manco ztl, qualcuno insinua. Quando si parla “della Baroncelli” a Milano taluni storcono il naso. “Un quartiere con un numero”, sussurrano delle dame arricciando il naso. ”Tipo Laurentino 38”, aggiungono altre. Sarebbe stupendo, la borgatara che fa rifulgere Milano. “Ma io veramente sono nata a Ginevra”, dice oggi lei, mangiando uno spaghetto sul ristorante sopra la Triennale, affacciati sui grattacieli che rifulgono tra le polveri sottili. “Mio padre insegnava fisica nucleare al Cern, si parlava solo di bosone di Higgs. Poi finalmente ci siamo trasferiti a Roma70, un quartiere vicino all’Eur”. “Ho cinque fratelli, di cui due ingegneri, una storica dell’arte”. Mannaggia al bosone, niente storie di riscatto sociale, niente Laurentino38. “L’anima politica era mia madre, maestra lei sì in periferia, alla Magliana, mi insegnava i canti partigiani, le prime manifestazioni”. Poi l’Eur.

 

Perché l’Eur? “Erano una giovane coppia, né ricchi né poveri, con figli, hanno scelto di andare lì. Perché, uno non può andare all’Eur?” No, certo, anzi. Soffriva all’Eur, cioè a Roma70? “Io soffro comunque negli stessi posti, per cui ogni due anni mi sposto”. Si è spostata parecchio: ha vissuto in Colombia e in Cina. Perché in Colombia? “Sono andata a lavorare da Giancarlo Mazzanti, un architetto colombiano che lavorava con Sergio Fajardo, che era il sindaco di Medellin negli anni Novanta e che praticamente ha inventato il concetto di rigenerazione urbana. Fajardo teorizzava che ‘la bellezza è il primo strumento per combattere la violenza’, con una serie di edifici affidati ai migliori architetti, hanno fatto una biblioteca importantissima tra le rocce, nel quartiere più difficile della città, hanno fatto le scuole, hanno creato un sistema di trasporti efficiente, con una funivia che ti porta su”. Funivia! Ma allora aveva ragione la Raggi! Ride.

 

Che cosa le manca di Roma? “Roma sud. L’Eur”. Ancora. “Ma l’Eur è meraviglioso. E’ una delle cose più sottovalutate di Roma”, dice. E ordina una Coca-Cola normale (carboidrato più Coca-Cola non zero, non potrebbe essere milanese). “Io ci andavo con l’autobus il sabato pomeriggio a fare lo struscio, all’Eur”. Finalmente una storia un po’ di borgata. “Poi gli esperimenti di architettura. L’Ina casa al Quadraro. Ma pure il Corviale”. No dai, il Corviale no. “Sì, il Corviale sì”. E Milano? Prova a essere diplomatica: “Bellissima. Puoi andare in bici, la spazzatura funziona. In due ore vai ovunque”. Ma dove vai? Le si appiomba lo sguardo. “Però Roma è Roma”, si accascia. Il clima? “No, quello no, sta cambiando, c’è stato tanto sole”. “Sono i milanesi. I milanesi son rigidi, io sono caciarona”. Ti hanno bullizzato? “No, però la prima cosa che ti chiedono è che lavoro fai”. Che vuol dire quanto guadagni. “No, non tanto, più che altro proprio il lavoro, per vedere che ruolo sociale hai”. Quindi tu li metti subito a posto. Hai un ruolo bestiale. “Non mi lamento”, si tira su. Ma poi: “il weekend, sai, ecco. Il weekend è micidiale. A Roma vai al mare”. “Il mare… Qua vai a Camogli”. Sì, vabbè, due ore. Che fai nel tempo libero? “Giro”. Ha un moroso romano, che la porta a vedere la Magica. Ha pure una foto col capitano. Cucini? “Spesso pasta”. Matriciana? “No, faccio una pasta col pesce, buona”. Ti sei milanesizzata. “Pollo coi peperoni”, ristabilisce subito. Dichiarare il secondo: questo sì è romano finalmente. Ce ne stanno un sacco di romani, a Milano. “Il romano è il nuovo calabrese”, annuisce. Ma come è potuto succedere che Milano sia diventata così fica. Negli anni Novanta era un posto infernale. “Ma anche fino a poco prima del 2015”. Io sono andata via che era il 2010 e cominciava allora a rinascere. Prima era pesante”.

  

Come si aggiustano le città, “il lavoro più bello del mondo”. Tre anni a Mantova, poi Giachetti la voleva con sé. Ricette per Roma

Adesso invece Milano è fichissima e bullizzante il resto d’Italia, tutto un lavorio di investimenti, parchi, rigenerazioni. Milano, e ’sta Triennale, la sua nuova cattedrale. Il nuovo museo del design. “La prima parte, sì. Poi andremo avanti con un concorso internazionale e apriremo la parte sotto il giardino. La Tate di Londra è passata da due a sei milioni di visitatori. Le espansioni sono molto interessanti nella vita dei musei”, dice Lorenza la rigeneratrice. Ma dall’Eur alla Colombia come c’è arrivata a viale Alemagna? “Ho sempre avuto interesse per le zone marginali delle città. Ho fatto una tesi su città e conflitto armato. Io studiavo a Roma3.

 

Ma sapevo che Stefano Boeri era interessato alla Colombia. Un amico mi aveva detto che l’aveva sentito a una conferenza. Lo contatto, a Milano, e lui mi dice: tra due giorni vengo a Roma per una riunione, vieni a prendermi a Fiumicino, così mi accompagni alla mia riunione e nel frattempo mi spieghi. Io vado a prenderlo, era estate, faceva caldissimo, guidavo e gli raccontavo la tesi e lui a un certo punto sviene”. Come, sviene? “Proprio si accascia sul sedile. Ero talmente agitata che senza accorgermene avevo messo anche il riscaldamento; lui alla fine mi dice: ok, per la tesi va bene, ma mai più in macchina con te”. Che macchina era? “Una Uno rossa”. (C’è da dire che Boeri sviene spesso, la volta più famosa fu nel 2012 durante una performance di Marina Abramovic. Probabilmente non aveva mangiato, perché non mangia quasi mai a pranzo). Comunque la non-borgatara con la Uno rossa arriva a Milano, “vado a lavorare con lui. Tra le varie cose faccio il masterplan per l’Expo di Milano”.

   

A Medellin, dove il sindaco Fajardo “ha inventato il concetto di rigenerazione urbana”. La bellezza per combattere la violenza
 

Insomma la tensostruttura milanese identitaria è stata concepita a Roma70. Ci rendiamo conto? Boeri e Baroncelli sarebbero una coppia perfetta, lei romana e lui milanese, Sordi e Franca Valeri nel “Vedovo”, edizione 2019, esattamente sessant’anni dopo l’originale. Col Bosco al posto della Torre Velasca (solo che appunto lei è romana e lui milanese, e lui non tenta di farla fuori, ma anzi non può fare a meno di lei).

 

“Quando Stefano è entrato in politica io ho cominciato a occuparmi di Colombia”. Boeri infatti a un certo punto si candida sindaco, perde, fa l’assessore con Pisapia (per poco, litiga subito, però aveva preso un sacco di voti, 13 mila). Lei invece va a fare l’assessore a Mantova. “E’ capitato un po’ per caso. Tornavo da un anno in Cina dove lavoravo con Hans Ulbrich Obrist e Klaus Biesenbach, che all’epoca dirigeva il MoMA Ps1. Ero direttore scientifico della mostra 15 Rooms al Long Museum di Shanghai, disegnata da Herzog & De Meuron”. Ammazza. Da Shanghai alla pianura padana. “Avevo voglia di testarmi un po’ sulla realtà, dopo questa bolla bellissima di arte ad altissimo livello. Son tornata ed ero a pranzo con Stefano e in quel momento lo chiamò il sindaco di Mantova, Mattia Palazzi, che cercava un architetto esperto di riqualificazione urbana. Lui disse: te la passo”.

 

Lì, grandi rigenerazioni urbane, che sono la sua passione: come si aggiustano le città. “Il lavoro più bello del mondo. Non sei più l’architetto che decide se una cosa è bella o brutta ma la devi fare, scegli le persone per farla. Quando parli di urbanistica, di sognare di cambiare una città, parli di politica. Il lavoro di governo della città è un lavoro molto concreto, reale”. Ma un esempio di rigenerazione? “Mah, una cosa piccola, le Pescherie. Un edificio di Giulio Romano. Il comune non aveva i soldi per restaurarlo. Lo aveva messo in vendita a duecentomila euro. Duecentomila euro, ti rendi conto? Noi abbiamo prima bloccato la vendita, poi abbiamo cominciato ad aprirlo, facendolo conoscere alla cittadinanza. Poi l’abbiamo dato in concessione a una fondazione per trent’anni, e coi soldi della fondazione si pagano i restauri”. A Mantova però dopo un po’ ti sei rotta. “Ma no, dopo tre anni però…”. Ti sei rotta. Giachetti ti voleva a Roma. “Ero stata indicata come assessore alla rigenerazione urbana nel 2016 in caso di vittoria. Giachetti l’ho conosciuto quando ero a Mantova, mi chiamò, mi disse, vieni a prendere un caffè. Poi dopo qualche mese un altro caffè. Al terzo caffè gli dissi: ma che voi da me?”. Sei del Pd. “Non sono iscritta al partito, a nessun partito. Ovviamente sono una persona che ha la passione politica…”.

 

Ha rigenerato pure in Albania. “Avevo conosciuto il sindaco di Tirana, Edi Rama, che nasce come artista, e ha cominciato a invitarmi. Li ho aiutati a costruire alcune linee di trasformazione della città. Mi piace costruire le politiche. Fare delle cose”. Dopo Colombia e Albania, sei pronta per Roma, dai. E’ un po’ Colombia, Roma. “Mah, forse, ma in Colombia almeno hanno quest’animo allegro”. Comunque non buttiamoci giù. “Le città vivono di cicli. Roma rinascerà”, dice, forse poco convinta, forse ci crede davvero. “E’ la capitale del paese”, auto-training. “A me piacerebbe tornare e contribuire a cambiare la città”. Ma non adesso. Tra dieci anni”. Ma non ci saranno che gabbiani e cinghiali, tra dieci anni. Intanto “le città diventeranno sempre più importanti nei prossimi anni. Assorbiranno molta più popolazione mondiale, diventeranno centri sempre più importanti per la politica”. Beh, potreste assorbire Roma. Potreste far entrare già il Frecciarossa nella metro A, arrivate direttamente a piazza di Spagna. “Ci pensiamo”, scherza.

 

Ma com’è Roma vista da quassù, dai fuorisaloni, dalle fuoriserie? “Triste. Sono dieci anni che Roma è abbandonata, da Alemanno in poi”. Facciamo un gioco, trasformiamola in Milano. “Eh”. Beh, rigeneriamola, no? Se ce l’ha fatta Medellin ce la può fare pure Roma. La prima cosa che fai. “Riattivare il meccanismo economico”. Eh, ma che vuol dire? “Riattivare il mercato immobiliare”. Ma come si fa. “Costruendo il dialogo con tanti attori economici”. Cioè, andando in giro a chieder soldi col valigino? “No, convincendo imprenditori a investire, dando garanzie a chi investe dei capitali che poi può costruire”. Eh, ma sempre costruire. Sei fissata. “Ma costruire vuol dire levare criminalità, fare sicurezza, fare bellezza. E con gli oneri di urbanizzazione dare risorse al comune. Il pubblico non esiste senza il privato. Bisogna capire che ricostruire, modificare l’esistente, porta benefici a tutti”.

 

Sei diventata troppo milanese. A Roma non usa. A Roma se qualcuno ci guadagna pare brutto. Si okkupa piuttosto. Oppure si blocca tutto. Trovi un capitello, i resti della Metro C… “Bisogna semplificare le regole, anche per rigenerare. Qui a Milano per esempio hanno fatto un meccanismo per demolire le opere incompiute. Anche se hai fatto solo le fondamenta, viene considerato come se fosse un edificio vero e proprio. Se hai un’opera incompiuta e la demolisci e ricostruisci hai diritto a un aumento di cubatura del trenta per cento. Se la demolisci e basta mantieni il permesso a costruire. Se non fai niente perdi il diritto a costruire”. Beve la sua Coca-Cola non zero guardando lo skyline milanese, forse sognando l’Eur.

  

Cosa le manca di Roma ? “Roma sud. L’Eur, una delle cose più sottovalutate della città”. La volta che Boeri si sentì male sulla sua auto

“Il problema è che a Roma son proprio bloccate le decisioni”. Ma perché questi non fanno niente, secondo te? “Ma perché non hanno le competenze. Governare è un mestiere”. Dice che sono terrorizzati di fare le delibere. “E’ vero, ma poi c’è anche l’altro problema, è che se non decidi tu lo fa qualcun altro. Questo porta alle situazioni pericolose come quelle di De Vito arrestato per presunte tangenti. Lo spazio d’azione viene sempre occupato da qualcuno, se non lo fai tu qualcun altro interverrà”. E le metropolitane tutte chiuse? “Bisognerebbe mantenere l’Atac pubblica, ma privatizzandone la gestione. Non si può pensare che una amministrazione pubblica possa gestire i trasporti della città più grande d’Italia, oltretutto con quei debiti. Le cose si possono fare, sempre. Bisogna scegliere dei compromessi, scegliere tre-quattro cose da fare e poi farle. Con Giachetti avevamo fatto una ricerca su come sbloccare 100 opere sbloccabili facilmente”.

 

Ti piace proprio la politica. Ma alla fine sei un politico o un architetto? “Io sono un’urbanista. Concentrata sulla città. Non sono una di dettagli. Non è che mi metto lì a decidere i colori. Mio padre ancora non ha capito bene che lavoro faccio. Dice: sei un architetto? Allora quando me lo disegni questo bagno?”.

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