(Foto LaPresse)

La Sapienza è la prova che studiare la storia è un valore

Gregorio Sorgi

Il rettore Eugenio Gaudio ci spiega come l'ateneo è diventato il primo al mondo per gli studi classici: “Bisogna investire nella ricerca e attrarre studenti stranieri per creare delle eccellenze internazionali”

“Per un ateneo italiano è molto difficile diventare un’eccellenza internazionale. Questo ci rende ancora più orgogliosi dei nostri risultati”. Il rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio, spiega al Foglio quanto sia importante il risultato ottenuto dall'ateneo romano, che è stato classificato al primo posto al mondo per lo studio della Storia antica nella graduatoria pubblicata dall'istituto internazionale Quacquarelli Symonds (Qs). “Questo risultato deve essere una spinta a investire di più nella ricerca – ha detto il rettore –, in questo campo siamo molto indietro rispetto agli altri paesi europei”. 

 

Cosa ha permesso alla Sapienza di ottenere questo risultato?

“La nostra storia è fondamentale. La Sapienza ha una grande tradizione per lo studio della Storia antica, e abbiamo voluto continuare in questa direzione. Siamo andati in controtendenza perché molti atenei all'estero hanno disinvestito in questa disciplina. Questo risultato è un vanto per il paese e per il sistema universitario più che per la nostra università”.

 


Il rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio (Immagini prese da Facebook) 


 

È ancora utile studiare le materie classiche quando il mercato del lavoro richiede delle competenze diverse?

“Io sono un medico, vivo di innovazione tecnologica, però riconosco il valore della materie classiche. La storia antica è la base della nostra civiltà, ha costruito il nostro sistema valoriale e vale ancora la pena studiarla. Le faccio un esempio: Sergio Marchionne è stato un grande manager, e ha studiato Filosofia all’università. Nell’immediato futuro ci troveremo ad affrontare delle realtà complesse. Ci saranno delle sfide multirazziali, multiculturali, che vanno governate da un capitale umano con delle basi solide”.

 

Tuttavia, nella classifica di Qs c’è un grande divario tra le materie in cui la Sapienza eccelle e tutte le altre. A cosa è dovuto?

“In alcuni atenei stranieri vengono investite maggiori risorse nella ricerca, e questo fa la differenza. In Italia gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione sono calati del 20 per cento negli ultimi dieci anni: ci sono meno professori, meno posti per i ricercatori. La Francia e la Germania investono più del doppio dell’Italia nella ricerca, per non parlare degli Stati Uniti. Dobbiamo capire che gli investimenti sui giovani sono il volano per lo sviluppo del paese, spero che questa classifica sia una motivazione a puntare su questo settore”.

 

A cosa è dovuta questa disattenzione per la cultura?

“Per molti anni ci siamo sentiti dire che ‘non serve studiare, che la cultura classica è inutile’. Io credo che serva una cultura flessibile per un mondo flessibile. Basterebbero uno o due miliardi di investimenti per trattenere i nostri giovani migliori, molti dei quali lasciano l’Italia.”

 

Perché se ne vanno?

“All’estero trovano delle condizioni più vantaggiose. Noi offriamo un terzo dei posti di ricercatori in meno rispetto ai paesi più sviluppati in Europa, dove peraltro gli stipendi sono due o tre volte superiori. Il nostro ‘mercato’ della ricerca non è competitivo, e i cervelli in fuga sarebbero importanti per lo sviluppo del paese”.

 

Ma non è un fatto positivo che i giovani studiano all’estero?

“Certo, il nostro obiettivo è quello di avere un mix di studenti che restano e che partono per l'estero. Ma noi in Italia dobbiamo attrarre gli alunni stranieri, questa è la sfida. Per ogni cinque italiani che vanno in Inghilterra o in Germania, devono corrispondere cinque tedeschi e inglesi che vengono in Italia. Questo non avviene: i nostri vanno fuori, e gli stranieri non vengono da noi”.

 

Perché?

“Gli stipendi da ricercatore sono più bassi e poi c’è molta burocrazia nelle nostre università, che rende tutto più complicato. Molto spesso i nostri giovani trovano delle condizioni talmente favorevoli all’estero che non tornano più in Italia”.

 

Però malgrado tutto, le università italiane hanno scalato posizioni in queste classifiche internazionali?

“È vero, molti atenei in Italia hanno aumentato il punteggio nelle classifiche. Abbiamo avuto una grossa spinta dal sistema di valutazioni. Poi abbiamo lavorato molto con la conferenza dei rettori per tenere i migliori ricercatori. Quest'anno col ministro abbiamo concordato l'assunzione di mille ricercatori".  

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