L'arte italiana si mette in mostra ad Arte fiera

A Bologna, fino a lunedì 4 febbraio, l'edizione 2019 della Fiera internazionale d'arte e moderna e contemporanea. Il direttore artistico Simone Menegoi: “Puntiamo sull'italianità, ma con uno standard di qualità internazionale”

Giuseppe Fantasia

Alla fine ce l'ha fatta. Nei pochi mesi avuti a disposizione dalla nomina a direttore artistico di Arte Fiera, lo scorso luglio, Simone Menegoi ha incontrato galleristi, visto, apprezzato, scelto e scartato opere d'arte, parlato con collezionisti ed esperti, si è confrontato con amici e curatori d'arte come lui, ha compiuto l'impossibile laddove in molti non ci speravano più. L'edizione 2019 della Fiera internazionale d'arte e moderna e contemporanea - in programma fino a lunedì 4 febbraio a Bologna - la più longeva d'Italia, è iniziata col piede giusto e con l'obbiettivo primario di mettere sempre più in risalto il lavoro degli artisti. Come? “Introducendo un criterio inedito di partecipazione per le gallerie, un limite al numero degli artisti per gli stand (non più di tre per quelli piccoli e medi, fino a un massimo di sei per quelli più grandi, ndr), accompagnato da un incentivo per quelli monografici”, spiega al Foglio il giovane direttore veronese, classe 1970, look di uno che potreste tranquillamente incontrare a Smithfield, nuovo quartiere cool londinese, con indosso – come nel suo caso – abiti neri tranne la camicia, che è bianca, e sneakers in edizione limitata.

 

È piaciuta molto, poi, al grande pubblico, la sua idea di allargare gli spazi comuni, creando così più aria tra gli stand e una fiera che, nell'insieme, è come se fosse una grande mostra, o meglio, un'insieme di mostre, senza quel caos fastidioso e controproducente che ritroviamo ogni volta in queste occasioni. Quella di Menegoi, dopo quella di Angela Vettese - dimessasi dopo due anni di direzione “lasciati con gratitudine” - è una fiera “che punta sulla propria italianità, ma con uno standard di qualità internazionale”, capace di sfruttare la propria forza, nella Main Selection, sul moderno e l'arte postbellica come di guardare alle tendenze contemporanee. Ne abbiamo avuto conferma facendo una lunga passeggiata nei padiglioni dove, tra 128 gallerie abbiamo visto susseguirsi collezionisti eccentrici - “sono gli attori del mondo dell'arte”, precisa il direttore – come semplici curiosi, artisti/star ed emergenti.

 

Ad accogliervi, troverete Hic et Nunc di Flavio Favelli, un ambiente, una scultura abitabile, un'opera sospesa – come accadde spesso nei suoi lavori – tra funzionalità ed estetica, fra dimensione domestica e pubblica, fra presente e passato. “L'opera è un tentativo di creare un luogo non chiaro”, spiega l'artista fiorentino ma bolognese d'adozione, “una specie di sala-museo dove sono esposte due grandi opere capaci di creare dei separé con sedute che permettono di sostare e mirare le sculture”. All'esterno di questa lounge speciale, ci sono due insegne luminose, “Nunc” e un vecchio orologio trovato di una gioielleria o, forse, di una stazione ferroviaria, “una maniera per fermare il tempo e lo spazio in un luogo di transito, dai giorni limitati e veloci, scandito da rituali di maniera”. Altre sue opere le ritroviamo nella galleria Studio Sales di Norberto Ruggeri, con specchi su cui riflettersi che distraggono e deformano e tra insegne luminose con la scritta P.C.I tra le due torri, simboli della città.

 

Fabio Viale, della Galleria Poggiali e Forconi di Firenze e Pietrasanta, ama il marmo. Lo prende grezzo e lo modella fino a farne delle sculture statuarie come il nome di quel materiale prezioso, da cui fa venir fuori dei corpi tonici e muscolosi evidenziati da decine e decine di tatuaggi sugli stessi. Mani, gambe, busti, corpi interi dove quei disegni si susseguono come dipinti fino a diventare tutt'uno con l'opera stessa.

 

Quella di Massimo Giannoni, della galleria milanese Rubin, è una pittura che tende a rappresentare luoghi abitati da lui soltanto, dal suo desiderio, dalla sua memoria, da un mondo altro e sconosciuto a tutti tranne che a lui stesso. Le “sue” librerie come le “sue” biblioteche, amate e vissute, sono dei veri e propri paesaggi interiori privi di qualsiasi rapporto con la natura, ma finiscono sempre col creare una particolare atmosfera che ipnotizza.

 

È spiazzante a suo modo lasciarsi avvolgere dalle acque del mare dipinte da Jake Aikman, presentato da Suburbia, spazio indipendente di Malaga diretto da Francesco Ozzola e Virginia Garcia Bonilla. Spazi onirici, quelli dell'artista londinese che da anni vive in Sud Africa, visibili sin dalle superfici dai colori quasi sempre scuri, un infinito incomprensibile in cui è piacevole perdersi. Sono figure che vogliono uscire dall'oscurità quelle proposte invece dal biellese Lorenzo Puglisi, dal 2 aprile a Milano al Chiostro di Santa Maria delle Grazie con “Il Grande Sacrificio”, una tavola di sei metri che sarà un vero e proprio omaggio singolare al Cenacolo leonardiano. La ricerca del duo bolognese Antonello Ghezzi (Nadia Antonello e Paolo Ghezzi) è invece un'abitazione leggera delle circostanze per abitare il contesto, il presente e la vita stessa degli oggetti senza la trappola dell'Arte Povera o del surrealismo magrittiano. Le loro scale e i loro specchi, così come le loro altalene o i tappeti con scritte (“Come tenere la testa tra le nuvole”), sono veri e propri spazi di libertà, una ricerca nell'estetico tra il visibile e ciò che non lo è.

 

Splendide le opere di Vedovamazzei proposte dalla galleria Umberto Di Marino di Napoli così come quelle di Jota Castro o le fotografie in bianco e nero di Eugenio Tibaldi, racchiuse in cornici con i vetri spaccati. I colori fluo proposti da Piero D'Orazio nella galleria Tornabuoni Arte attirano la nostra attenzione prima di un mini lunch nella lounge bene organizzata da R&P Consulting di Andrea Raimondi, è voluto il netto contrasto con il Lucio Fontana a forma esagonale e gli altri più conosciuti, in giallo e in rosso, i più rari, come la mini personale dedicata a Giorgio De Chirico tra cui spicca la “Corazza con cavaliere o Natura Morta”. Alla Galleria dello Scudo c'è Marco Gastini e il suo “Depositari nell'aria”, mentre è Valerio Berruti, con i suoi bambini color ottanio, la vera star alla galleria Marco Rossi ArteContemporanea. Confondono le donne di He Wei, artista cinese scoperto in Italia da Primo Marella, che fanno riferimento a icone occidentali di cui vengono ritratti stralci dei visi e dei corpi, principalmente in bianco e nero, a cui vengono poi applicati inserti cromatici simbolo di quel tumulto dell'istinto e di quell'insieme caotico e turbolento di pulsioni dell'Essere. Hanno colori, forme e simboli scelti solo in apparenza in modo casuale, perché in realtà, un po' come tutte le opere presenti in fiera, e come la fiera stessa nel suo insieme, sono legate all'inconscio e all'esperienza dell'artista.

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