Giose Rimanelli con la moglie Sheryl Lynn Postman (Foto via Facebook)

Riscoprire Rimanelli, che attaccò il pensiero unico in Italia e fu “esiliato”

Giovanni Maddalena

Storia del critico e scrittore molisano, noto in America, ma sconosciuto da noi

In giorni di tumulti e rivolte, di grande confusione politica e discontento generale, è capitato a proposito il primo convegno internazionale sulla figura e l’opera di Giose Rimanelli (1925-2018), che si è tenuto presso l’Università del Molise gli scorsi 5 e 6 dicembre. Chi era Rimanelli, e perché ci interessa?

 

Sconosciuto ai più in Italia, Rimanelli è stato invece un importante autore della nostra letteratura, emigrato negli Stati Uniti dal 1960, dopo un linciaggio morale dell’intellighenzia nostrana. In due parole, ecco la strana storia. Giose è un giovane molisano dell’arroccato paesino di Casacalenda, curioso, intelligente, arrabbiato e frustrato come spesso accade ai ragazzi con molta ricchezza umana e senza ancora i mezzi per esprimerla. C’è la guerra e ci sono i tedeschi che risalgono l’Italia in ritirata. Per rabbia contro il padre e il mondo Giose sale su un camion dei tedeschi e, dopo una serie di vicende rocambolesche, finisce per essere costretto ad arruolarsi con la milizia dei repubblichini.

 

Privo di particolare convinzione politica, finirà per diventare un protagonista della contro-resistenza, per poi finire prigioniero degli americani alla fine della guerra e fuggire tornando nel suo selvaggio Molise, ancora più arrabbiato di quando era partito. Rimanelli scrive tutta questa storia nel libro Tiro al piccione, che presenta a Pavese e ad Einaudi come una visione della resistenza “dalla parte sbagliata”. Pavese ha gusto e apprezza il libro e l’originalità, ma si suicida di lì a poco. Senza Pavese, l’Einaudi di Calvino e Ginzburg fa fatica a pubblicare libri con una visione non standard sulla resistenza. Grazie a Vittorini, il libro viene pubblicato con successo da Mondadori, presso la quale Rimanelli pubblicherà in pochi anni quattro romanzi. Ma Rimanelli, pur vivendo a Roma e collaborando con giornali di ogni colore politico, rimane un ragazzo insofferente e amaro.

 

Ormai schifato da ogni ideologia, e con quello sguardo da molisano dei monti del Sannio, scorge il nuovo trionfo del pensiero unico, ora di sinistra dopo essere stato di destra. Vede gli uomini di cultura cambiare casacca e accasarsi a nuovi partiti, li vede piegarsi, svendere la libertà, accordarsi, assuefarsi. Scrive sotto pseudonimo un libro di vera e pungente critica letteraria nel quale si ridimensionano in un sol colpo Moravia, Pasolini, Bassani, Falqui e si prende di mira l’intera intellighenzia, i suoi salotti e i suoi premi letterari. È il 1959 e il libro s’intitola significativamente Il mestiere del furbo.

 

Lo pseudonimo cade subito e il brillante ragazzo viene bandito per sempre dall’empireo della cultura italiana. Non gli rimarrà che andare negli Stati Uniti, dove continuerà a scrivere di Italia e di Molise e dove introdurrà l’idea degli Italian Cultural Studies, corsi dedicati alla cultura italiana nel suo insieme interdisciplinare e non alla sola lingua o alla sola letteratura. Studiato e affermato in America, Rimanelli era rimasto finora oscurato nell’accademia italiana.

 

Rimanelli non è Solzenicyn o Grossman. Non ha una fede profonda e organizzata in Dio o nell’immortalità della vita che gli permetta di dare un senso unitario e cosmico al suo rifiuto del conformismo e della menzogna. Tuttavia, nel suo attaccamento sognante al suo povero, selvaggio e distante Molise, Rimanelli trova la forza di vivere a sua volta senza menzogna, fuggendo per rabbia piuttosto che resistendo per amore, ma sempre rifiutando l’applauso falso e l’adesione servile.

 

Non è poco, come hanno sottolineato i molti esperti statunitensi e italiani intervenuti al convegno che lo reinserisce anche in ambito istituzionali italiani, e forse è anche la possibilità di rivedere adesso tanti giudizi critici sulla letteratura spesso ideologica della seconda metà del Novecento e per riflettere ancora una volta su vecchie e nuove forme della tragica tendenza umana a essere ideologici, e dunque violenti, menzogneri e settari, in ogni forma, piccola e grande, di società.

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