Jacqueline e Lee

Le sorelle favolose

Marina Valensise

Fascino, jet set e miliardi. Il grand tour a Parigi e in Italia e i consigli di Berenson. In un libro le vite quasi parallele di Jackie e Lee Bouvier

Jacqueline Bouvier aveva appena ventun anni, ma era già una tipa sveglia, molto sportiva e con le idee chiare quando vinse, nel 1950, il Prix de Paris per un soggiorno di sei mesi a Parigi, nella redazione di Vogue. Alta, ossuta, mani e piedi esageratamente grandi per una ragazza, viso squadrato, con gli occhi così distanti che per ordinare un paio di occhiali doveva aspettare tre settimane, una massa informe di capelli neri crespi e ribelli: era il ritratto di suo padre, Jack Vernou Bouvier III, un agente di borsa con molto aplomb in fatto di stile tanto da teorizzare: “Un costume mentale che antepone la qualità alla quantità, la nobile lotta al mero risultato, l’onore all’opulenza, è questo a fare di voi delle Bouvier”.

 

 

Il padre: “Un costume mentale che antepone la qualità alla quantità, l’onore all’opulenza, è questo a fare di voi delle Bouvier”

Cavallerizza provetta, Jackie era appassionata di letteratura francese e si era iscritta alla George Washington University per seguire corsi di giornalismo e di scrittura creativa, dopo aver frequentato il Vassar College, una delle prime università femminili d’élite. In Europa aveva già passato un anno, con un programma di scambi per futuri professori. Nell’estate 1949 era stata a Grenoble per un corso di lingua, e nell’inverno aveva frequentato la Sorbona, vivendo a Parigi come ospite pagante di un’aristocratica in disarmo, che aveva combattuto la resistenza coi nazionalisti dell’Alliance, era finita a Ravensbrück e, rimasta vedova, divideva con due figlie e un nipotino un appartamento di sette stanze a Passy con un’unica vasca da bagno. A Natale del 1949, viaggiando in treno con un’amica in terza classe, Jackie aveva visitato Vienna, Monaco e il campo di concentramento di Dachau, dove solo cinque anni prima i Gi’s avevano trovato 5.400 cadaveri, su oltre 40 mila ebrei gasati dai nazisti.

 

Per vincere il Prix de Paris le era bastato rispondere a un questionario di sei domande, alquanto cretine. Quali personaggi del passato avreste voluto conoscere? “Baudelaire, Oscar Wilde, Serge Diaghilev, perché amo le loro opere”, rispose Miss Bouvier. “E se potessi essere una sorta di direttore artistico globale del XX secolo, che guarda tutto da una poltrona sospesa nello spazio – aggiunse senza falsa modestia – applicherei alla mia epoca le loro teorie dell’arte, i loro poemi, la loro musica e i loro balletti”. Quel questionario è una delle tante perle riesumate da Sam Kashner e Nancy Schoenberg nel loro bestseller, The Faboulous Bouvier Sisters. The Tragic and Glamorous Life of Jackie and Lee (Harper Collins, 366 pp., 28,99 dollari). Il libro è una miniera di indiscrezioni propalate per lo più dalla sorella della futura First Lady, Lee Radziwill, l’amica di Rudolf Nureyev (foto sotto), la musa di Truman Capote, che andava pazzo per i “suoi occhi dorati come un bicchiere di brandy davanti a un camino”, l’amante dell’armatore Onassis e del fotografo Peter Beard, un hippy bello come un dio greco che le presentò Andy Warhol e con lei seguì la tournée dei Rolling Stones, prima che lei diventasse la socialite più invidiata d’America, la testimonial di Armani, e ancora oggi, a 85 anni, un’icona dell’eleganza.

 

Lee Radziwill con Rudolf Nureyev (foto LaPresse)

 

A Natale del 1949, viaggiando in treno con un’amica in terza classe, Jacqueline aveva visitato Vienna, Monaco e il campo di Dachau

La sorella, quand’era ancora soltanto Jacqueline Bouvier, era già una paladina dell’interazione tra le varie arti e culture. Patita dei Ballets russes, dei racconti di Cechov, di George Bernard Shaw, diceva che da piccola i suoi eroi erano Byron, Mowgli, Robin Hood e Scarlett O’Hara. Ma era anche molto pragmatica, attenta ai dettagli terra terra dell’eleganza femminile, ancorché per l’aria da maschiaccio con quei capelli informi e i bottoni perennemente in bilico, venisse tacciata di sciatteria dalla madre, la tremenda e ricchissima Janet Lee, che cercava di accreditarsi come discendente dall’omonimo generale ed era una monomaniaca del mariage de raison. Dopo aver divorziato nel 1940 dal padre delle sue due figlie, l’elegantissimo sosia di Clark Gable con ufficio a Wall Street, molto dedito all’alcool e alle donne, ma ormai in tracollo, Janet infatti si riaccasò col ben più vecchio e mesto Hugh D. Auchincloss, banchiere abbiente e già padre di tre figli, con cui ne avrebbe avuti altri due. Ma per tornare alla figlia, quando nel citato questionario si era trattato del suo piano di bellezza e dei consigli per le coetanee, Jacqueline aveva risposto senza giri di frase: “Evitate le sbavature sulle unghie dandovi lo smalto alla stazione di New York, tirando fuori la bottiglietta che magari si è già rovesciata sulle pagine di un libro; evitate i capelli ondulati a caso, solo perché ve li siete lavati a mezzanotte prima di andare a letto senza asciugarveli, perché eravate troppo stanche; evitate soprattutto le gambe irsute piene di tagli da rasoio e una schiera di altri orrori…”.

 

“E’ già una scrittrice”, sentenziò uno dei commissari. Ma nonostante la bravura, Jackie dovette rinunciare al premio. La madre non voleva saperne: inutile che ripartisse per la Francia, perdendo tempo con una carriera nella carta stampata, meglio restare in città e cercarsi un buon partito. Rassegnata, Jackie obbedì. In compenso, ottenne dalla madre come premio di consolazione di ripartire per l’Europa con la sorella. Lee aveva 17 anni. Minuta, molto femminile, era molto più carina, più estroversa e più simpatica di Jackie e già molto invasata. Era lei la cocca di mamma, mentre la sorella maggiore, prediletta del padre al quale somigliava come una goccia d’acqua e per questo invisa alla madre, si era costruita un mondo tutto suo. Timida, riservata, sempre immersa nei libri, sin da piccola era discretamente manipolatrice e già dotata di una certa perfidia: a scuola, dove andava benissimo, si divertiva a prendere in giro compagni e professori e sapeva pure come terrorizzare gli uccelli, mettendosi a urlare all’improvviso. Lee invece no, era un animale sociale. Per niente sportiva, adorava le feste e i fidanzati, ma era molto più sensibile e tormentata della sorella. Temperamento da artista con forte propensione all’avventura, a 10 anni aveva cercato di fuggire da casa sui tacchi a spillo della madre. Poi si era pentita, era tornata indietro e per colmare il senso di vuoto si era presentata in taxi dalla direttrice di un orfanotrofio per adottare un bambino. Insomma, era una pazza in cerca di un ruolo, sempre molto stravagante e creativa però. Naturalmente adorava la sorella grande, con la quale, anche se litigava volentieri e un giorno la buttò pure dalle scale, viveva in simbiosi, specie dopo il divorzio dei genitori, come due facce della stessa medaglia, anche se la loro vita sarebbe stata una rincorsa continua fatta di amore e odio, tra emulazione e gelosie, insofferenze e umiliazioni, e alla fine anche molto gelo.

 

Nell’estate 1951, quando ancora erano indissolubili, le sorelle Bouvier s’imbarcano per l’Europa per il loro primo e unico Grand Tour, viaggio di iniziazione in cerca di identità. Arrivate a Venezia, Jackie va a lezione da un libidinoso insegnante di storia dell’arte, mentre Lee studia canto con la Signora Gilda Dalla Rizza, la regina delle soprano del tempo, la favorita di Puccini nel ruolo di Magda nella Rondine, ormai docente al conservatorio. La scena del primo incontro nella vecchia casa sul Canal Grande che traballa agli acuti della cantante è esilarante. Da per tutto foto di Toscanini con dedica, ritratti di Puccini, cimeli di scena di un tempo ormai passato. Maestosa nel suo vasto fondoschiena, la cantante non parla una parola di inglese e le americane ignorano l’italiano. Così, mentre Jackie seduta con una grammatica italiana su un divano cerca di trattenersi dal ridere, Lee imbranata nel vocalizzo e incapace di provare una scala, presa dalla disperazione propone di cimentarsi con Aba Daba Honeymoon, una canzone di Debby Reynolds tratta da un celebre musical dell’epoca, Two Weeks with Love. E di fronte alla vecchia soprano, tenta una prova di coloratura iniziando a cantare velocissimamente il ritornello, “Aba daba daba daba daba daba dab”, finché le parole non le sfuggono dalla gola come una specie di stridio di gatto inseguito dai cani… La scena, per quanto esilarante, non fece affatto ridere la cantante e le sorelle dovettero lasciare Venezia a gambe levate.

 

Il grande storico dell’arte: “Non perdete tempo con persone che vi diminuiscono”. L’amante Onassis, il matrimonio col principe polacco

Prima di arrivare a Roma, dove Marco Bucci Casari e una banda di giovani aristocratici le avrebbero scortate per tutta la città, fecero tappa a Firenze, dove le aspettava uno degli idoli di Lee. Bernard Berenson, il celebre storico dell’arte, aveva accettato con piacere di accogliere ai Tatti quella ragazzina americana che da due anni gli scriveva grandi lettere. Sembrava una figura dantesca, barba bianca, sguardo penetrante; dall’alto dei suo 86 anni, iniziò subito a pontificare sull’amore. “Non seguite i vostri sensi. Sposate un uomo che sia per voi sempre di stimolo e voi per lui”. Ma quando Lee gli chiese perché la madre avesse divorziato dal padre, il grande Berenson si produsse in una lezione di vita, distinguendo tra rapporti “life enhancing” e “life diminishing”, e saggiamente ammonì le due ragazze: “Non perdete tempo con persone che vi diminuiscono, che non sono stimolanti, e se vi trovate spesso con persone non stimolanti, è perché voi stesse non lo siete”. Poi mostrando loro i tesori dei Tatti, la villa rinascimentale sulle colline di Fiesole che era la sua casa della vita, fornì alle due fanciulle un’altra bussola per il futuro: “L’arte non è la vita reale, ma una vita ideale”.

 

Certo tra le due fu Lee quella che l’avrebbe seguita alla lettera, sino a fare della sua vita una ricerca costante e sempre inappagata del senso del bello. Esperta d’arte e di pittura russa, stilista, decoratrice di interni, intervistatrice televisiva, persino attrice per amore di Capote (avventura poi morta sul nascere), il primo passo della sua eclettica carriera fu il matrimonio, a soli 19 anni per battere sul tempo la sorella, col bellissimo Michael Canfield, che era figlio adottivo dell’editore di Harper & Row, ma si diceva fosse il figlio illegittimo del duca di Kent e di un’avventuriera americana cocainomane. “Non riuscirà a starle dietro”, profetizzò il patrigno il giorno delle nozze. I due partono subito per Londra, dove ben presto Michael lascia l’editoria per diventare l’assistente dell’ambasciatore americano e lanciarsi con la moglie nel jet set internazionale.

 

Intanto Jackie, a Washington, sempre grazie alle amicizie di famiglia, entra come Inquiring Cameragirl al Washington-Times Herald per 25 dollari la settimana. Non è un parcheggio, ma un lavoro vero e proprio per lei che intende far carriera scrivendo. Deve fotografare e intervistare gente comune, figure note, personaggi emergenti. Stavolta è lei a fare le domande: “Pensa che il bikini sia immorale?”. “Si considera normale?”. “Lei ha l’aria importante, lo è davvero?”. “Una moglie, secondo lei, deve fare in modo che il marito pensi di essere più intelligente di lei?”. “Quando ha scoperto che le donne non sono il sesso debole?”.

 

Siamo agli inizi degli anni Cinquanta. Le ragazze di buona famiglia scontano ancora l’educazione anni Trenta e Quaranta tutta grazia, decoro, acquarelli e uncinetto, prevalentemente orientata a farne delle solide mogli, pilastri della carriera dei mariti, perfette padrone di casa, e attente custodi del patrimonio. In più, per le sorelle Bouvier, c’è la tirannia di Janet Lee che osteggia, controlla, censura e le prende volentieri a sberle, come farà con Jackie nel 1968, ormai quasi quarantenne e fresca sposa del miliardario Onassis, che fra l’altro era un ex di Lee, avversatissimo da Janet. Per sfuggire quella madre tremenda, Lee sposa il primo amore, mentre Jackie farà una deviazione nel giornalismo non senza scaricare il primo fidanzato, tale John G. W. Husted, un agente di borsa amico del patrigno, dopo che la madre ne ha scoperto l’insolvenza, per sostituirlo con lo scapolo più ambito d’America, il giovane senatore del Massachusetts John Fitzgerald Kennedy, conosciuto in casa di un amico comune e subito conquistato.

 

 

Jacqueline e John Fitzgerald Kennedy (foto LaPresse)

 

Lee, l’amica di Rudolf Nureyev e la musa di Truman Capote, la socialite più invidiata, icona di eleganza e testimonial di Armani

Anche con lui Jackie darà libero fondo alla sua scafataggine. “Può spiegarmi per quale ragione uno scapolo ambito dovrebbe volersi sposare?”, gli domanda a bruciapelo per una delle sue interviste. “Concorda lei nel giudicare gli irlandesi deficienti nell’arte amatoria?”, l’incalza senza emozioni. “E se dovesse uscire con Marilyn Monroe, di cosa parlereste?”, insiste sospirando, con la sua vocina da bambina, ignara di quel che le riserva il destino. Dopo un anno di corteggiamento e una prima uscita ufficiale alla Casa Bianca, al ballo di insediamento del presidente Eisenhower, i due si sposano nel settembre 1953 lasciando Lee di nuovo al palo. Troppo incommensurabile è il fascino del senatore, la ricchezza dei Kennedy, per non parlare dei figli, che Lee non riesce ad avere, mentre Jackie ne sforna uno dopo l’altro, anche se prematuri, mettendo finalmente al mondo una bambina due anni prima di Lee. Il fatto è che il matrimonio con Canfield per Lee è diventato un campo di battaglia, aperto ai tradimenti, ai giochi di coppia, alle avventure. “Come devo fare”, chiede il poveretto alla cognata. “Make money, Michael. Make real money”, risponde Jackie, guardandolo fisso dai suoi occhi distanti. E quando Lee a una battuta di caccia incontra finalmente il principe Radziwill, un profugo polacco convertito al business immobiliare, la strada è segnata: “Stas hai delle labbra magnifiche”, gli sussurra Jackie la prima volta che lo vede. Per Lee, che pur essendo in eterna competizione con Jackie, ne subisce l’ascendente, e per tutta la vita non farà che alimentarne il gusto, le passioni e la curiosità come se fosse la sua nave scuola, è il segnale del via libera per cambiare marito e impalmare il vecchio aristocratico europeo, già padre di tre figli e al terzo matrimonio, il quale anni dopo per tenersela accetterà persino di lavorare per Onassis come direttore dell’Olympic Airlines.