Medusa è un dipinto del 1618 del pittore fiammingo Peter Paul Rubens

Che cosa lega la democrazia al terrorismo, suo rovescio disperato

Marco Archetti

Rileggere oggi “All’ordine del giorno è il terrore”. Giglioli fa centro, segnalando come epocale e fatale lo scardinamento dei nessi causa-effetto, la sterilità dei riferimenti razionali, le nostre folli eterogenesi quotidiane

Uno legge, e capitolo dopo capitolo lo presume, lo sa, lo sente, sta arrivando, finché ecco che, a pagina 67, la cocente attualità di questo saggio intitolato “All’ordine del giorno è il terrore” – pubblicato da Il Saggiatore, scritto da Daniele Giglioli a metà degli anni Duemila e ripubblicato oggi, tredici anni dopo – esplode in tutta la tragicità filosofica, raggiungendo il culmine con la domanda: “Cosa accade e cosa continua ad accadere fino a noi in questa proliferazione di complotti concepiti o sognati sotto lo sguardo di Medusa del Terrore? Tramonto dei Lumi? Crisi della ragione? Ciò che l’imprevedibilità delle scosse rivoluzionarie ha messo in chiaro, infatti, è che tra il dominio dell’azione umana responsabile, cioè orientata secondo ragione, e il flusso degli eventi che denominiamo Storia, non esiste alcun rapporto garantito”. E qui Giglioli fa centro, segnalando come epocale e fatale lo scardinamento dei nessi causa-effetto, la sterilità dei riferimenti razionali, le nostre folli eterogenesi quotidiane. Il mondo è imbizzarrito, certo, ma è sempre stato così? Sarà sempre così? Viene in mente la tragedia ciclica descritta da Honoré de Balzac, connaisseur par excellence, che ne “La pelle di zigrino” dice: “La libertà genera l’anarchia, l’anarchia porta al dispotismo, il dispotismo porta di nuovo alla libertà. Non è forse questo il circolo vizioso in cui sempre girerà il mondo morale? Quando l’uomo crede di aver perfezionato le cose, le ha solo spostate”. Questa terribile consustanzialità che ha la natura umana politica con la ripetizione e col proprio fallimento – questo custodire i germi che la intossicano, queste costruzioni a rischio rottura, questo viluppo di vita e morte – è il nodo che il libro tenta di affrontare. Lo fa frontalmente, perché grande è la confusione sotto il cielo e bisognerà pur razionalizzarla, o per lo meno sapere a chi dare la colpa. Il terrorista è l’uomo che fa la Storia o colui che la distrugge? Esiste quella che Saint-Just chiamava “la forza delle cose”? Siamo noi che facciamo la nostra epoca o è l’epoca che fa noi? Quali necessità inesorabili palpitano sotto gli eventi? E cos’è il Terrore? La messa in scena della nostra delusione o una forma d’eroismo? Una forma di rivolta? La trasformazione dell’autolesionismo in risorsa metafisica è la firma apposta sotto quale (legittimo o meno) mandato morale?

    

Panico, raccapriccio, ansie securitarie – alcune mal riposte e altre mai ammesse, come in ciascuno di noi –, desiderio di protezione e demonizzazione della diversità: questi i cattivi pensieri che, all’indomani dell’11 settembre, si agitavano nell’autore di questo libro, ricognizione umana, letteraria e morale dentro le contraddizioni di un mondo che dopo il crollo del comunismo ha sentito mancare, più che il nemico, la propria identità. Senonché, all’improvviso, in un immenso falò di orrore, “qualcosa identifica noi, cittadini delle democrazie occidentali, e ci legittima attraverso ciò che non siamo e non vogliamo, al netto di tutte le nostre mancanze”.

      

Ma ridurre il terrorismo a fenomeno unitario da una parte (“i terroristi, male assoluto”) e le democrazie occidentali a un unico corpo dall’altra (“i nostri valori, male minore”), secondo Giglioli ha ostacolato un’interrogazione profonda, di senso, riducendo le risposte a mera prestazione dell’immaginario. Quale impotenza maschera e rivela un atto terroristico? Quale mancata mediazione tra Noi e Io? Il libro non si fa carico di un’analisi storica, ma rovescia le tasche della nostra autorappresentazione. E attraverso la letteratura e il linguaggio indaga la maniera in cui abbiamo raccontato i terroristi di ogni epoca, da Dostoevskij a Philip Roth, da David Grossman a Salman Rushdie, con lo stesso spirito della tragedia greca, che nella prospera Atene che stava inventando la democrazia si preoccupava di mettere in questione i propri miti e si interrogava non sulla comprensione ma sull’infrazione, non sulle norme ma sulle irregolarità. Terrorismo e democrazia, pensa Giglioli, sono una continua, essenziale domanda che l’uno impone all’altra: perché il terrorismo non è il contrario della democrazia – il terrorismo ne è il rovescio, la sua disperazione.

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