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Venezia, festival della marmotta

Mariarosa Mancuso

Si apre la Mostra del Cinema, ed è sempre tutto uguale. Compreso il critico che si addormenta e poi scrive di capolavori

Lento ritorno alla normalità: i segnali si accumulano, e dove non ha potuto finora lo sbadiglio forse potrà l’idiozia. Oppure gli ultimi sviluppi del caso Asia, che hanno mostrato al mondo le gioie della sorellanza: Rain Dove, la venditrice di screenshot, ogni tanto sfila vestita da maschio, altre volte posa vestita da femmina, e sembra aver preso il peggio da entrambi gli stereotipi. Nella crepa si inserisce con studiato tempismo Louis C. K., tornato domenica sera a dar spettacolo pubblico: un quarto d’ora soltanto a The Comedy Cellar, il locale al Greenwich Village che era nella sigla della sua serie “Louie”. Senza preavviso, accolto dall’applauso preventivo degli spettatori presenti (un centinaio, uno soltanto ha telefonato il giorno dopo per protestare). Riferiscono i presenti: sembrava stesse provando il materiale per un nuovo spettacolo. O facendo un test, prima di tirare fuori dalla cassaforte “I Love You, Daddy”: film spassoso e perfido, ammazzato in culla dalle molestate.

  

Evviva evviva, anche perché stasera apre la Mostra di Venezia – l’effetto “Giorno della Marmotta” scatta quando si sale sul treno, lo stesso dell’anno scorso, e il Frecciarossa è in ritardo, proprio come l’anno scorso – e sullo sfondo sta il “machismo” (questo vuol dire l’accusa di “toxic masculinity” mossa al direttore Alberto Barbera). Sapere che Louis C. K. è vivo e lotta insieme a noi rende felici.

  

La Mostra non partecipa al movimento “50/50 by 2020”, che intende arrivare alla parità aritmetica entro il 2020. Sarà uno spasso vedere come programmeranno i festival, quante altre categorie di aventi diritto reclameranno l’inclusione – in nome della “cultura del piagnisteo”, copyright Robert Hughes 1994, tutto questo è già successo una volta, nei musei e nelle università americane. E se qualcuno ricorderà mai che George Cukor, nel 1939, girò un film tutto di femmine (anche gli animali sul set) senza punizioni e senza ideologia.

 

Al Lido, il Giorno della Marmotta prevede che – anche prima del #MeToo e del machismo – compaia l’articolo “La Mostra è delle donne”. Quest’anno lo suggerisce Repubblica, mentre gli accreditati scommettono sull’arrivo di Concita De Gregorio: seguirà la Mostra oppure no? Non dovesse arrivare, preghiamo i vispi giovanotti che curavano la pagina Facebook “Concita racconta il Mondiale” di supplire con una pagina “Concita racconta Venezia” (garantiamo audience e letture pubbliche).

  

“La Mostra è delle donne”, anche se magari stanno in “Suspiria” di Luca Guadagnino, d’après Dario Argento: una se la cava, le altre son streghe da pugnalare. Promettono anche una pastorella, nel film di Mario Martone “Capri-Revolution”. Restiamo in trepida attesa di qualche signorina che possa definirsi almeno “contemporanea”, se non “una femmina per cui fare il tifo”. La faccenda non si risolve invocando “più registe”: chi arriva a un festival per rappresentanza, poi rappresenta: lancia messaggi, urla proclami, dimentica che un film funziona diversamente da uno striscione.

  

Il Giorno della Marmotta veneziano ha almeno un altro appuntamento imperdibile. Il film italiano di cui si sparla dopo la proiezione, con gran gusto e battute feroci, e il giorno dopo nelle recensioni diventa un capolavoro. Variante: il critico che ti dorme accanto, russando e crollando sul comune bracciolo (sarà già molestia?). Non sente neppure l’atroce suoneria del (suo) cellulare. Si sveglia solo per annunciare un altro capolavoro.

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