Cosa ne pensano i censori da metoo di Capri-Revolution?

Mariarosa Mancuso

Sicuramente la guardiana di capre nel film di Mario Martone era più indifesa, malleabile, influenzabile, di qualsiasi ragazza americana degli anni Settanta mai incontrata da Woody Allen 

Ognuno le liste le fa da sé, ne abbiamo lette talmente tante che manca la voglia di cimentarsi. Una però va additata al pubblico ludibrio. L’ha compilata Richard Brody sul New Yorker, al grido di “ora e sempre resistenza”. Resistenza politica, intellettuale, estetica, e naturalmente resistenza allo streaming: la medaglietta di oggi (ieri era usare “televisivo” come un insulto). Non compare, nella sua lista né in quella di nessuno, “A Rainy Day in New York”, il film di Woody Allen levato dalla distribuzione.

   
Non importa se il regista è stato assolto, la gogna rimane. Il più diligente nella lista dei censori è stato appunto Richard Brody: ha riguardato i primi film del regista trovandoci – secondo lui – indizi inequivocabili di colpevolezza. Si è pure fatta viva la signorina che fece da modello alla Tracy di “Manhattan”. Non per rivendicarlo con fierezza – cosa desiderare di più dalla vita? Per alludere al fatto che sei anni di relazione potessero configurarsi come molestia.

  
Chissà cosa direbbe Richard Brody di un film come “Capri-Revolution” di Mario Martone (nelle sale dall’altro ieri, dopo un passaggio alla Mostra di Venezia). Trama: una pastorella sull’isola di Capri si imbatte in artisti che ballano nudi nei boschi. Alla vigilia della Prima guerra mondiale ne verrà fuori con una coscienza rivoluzionaria e pacifista, oltre che con un temperamento artistico alla Pina Bausch (“non danzate sulle tavole di legno, rimanete in contatto con la terra”). La comune di inizio secolo è liberamente ispirata alle ammucchiate del pittore Karl Wilhelm Diefenbach, e sicuramente la guardiana di capre era più indifesa, malleabile, influenzabile, di qualsiasi ragazza americana degli anni Settanta mai incontrata da Woody Allen.

 

  
 

In “Capri-Revolution” la liaison della pastora analfabeta con l’artista forestiero vale come liberazione dal maschilismo. Serve a imparare l’inglese in pochi mesi (partendo dal dialetto che verosimilmente la guardiana di capre parlava in famiglia, per gentile concessione di padre e fratelli). Serve a diventare vegetariana in un posto dove la carne era un miraggio (li ha visti mai Mario Martone i ragazzini scheletrici fotografati dal turista sessuale Von Gloden?). Serve a spogliarsi mostrando un corpo uscito dall’estetista, una “pista d’atterraggio” appena accennata.

    
L’attrice è Marianna Fontana (già vista come gemella siamese in “Indivisibili” di Edoardo De Angelis). Fa quel che può, considerato che per malinteso realismo magico deve volare sopra i Faraglioni (difficile restare seri anche quando mangiano sedano e carote, mai un pomodoro). Statistica: è la seconda volta che un regista per darsi arie scomoda Joseph Beuys. Martone con il limone-lampadina, “Opera senza autore” con il grasso di balena.

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