Louis CK al Just For Laughs di Montreal nel 2011 (via Wikimedia)

Se il ritorno degli orchi, per qualcuno, è anche peggio del patriarcato

Simonetta Sciandivasci

Il reintegro di Louis C.K. e Aziz Ansari preoccupa il #MeToo

Roma. Un giorno non troppo lontano non ci chiederemo più, d’uno spettacolo, se ci sia piaciuto, ma solo se e quanto ci abbia disturbato chi lo ha scritto, o diretto, o interpretato, o prodotto (specialmente se dovesse trattarsi di qualcuno con un passato, non importa quanto remoto, macchiato da uno scandalo sessuale, non importa quanto emendato). Se il #MeToo sia davvero finito, come dice Natalia Aspesi, chi lo sa, ma di certo, per ora, il suo conto è ancora aperto – e, forse, resterà insaldabile. Il magazine Vulture s’è preso la briga di domandare ad alcune donne presenti al Comedy Cellar, dove l’altra sera si è esibito – a sorpresa, nel senso che non era annunciato sul cartellone – Louis C.K., come le abbia fatte sentire vederlo sul palco e che clima s’è respirato nella platea non appena ci è salito sopra. Louis C.K. è uno dei migliori comici statunitensi in vita ed è stato uno dei primi giustiziati dal #MeToo (siamo costretti a ricordarlo per chi avesse voluto comprensibilmente dimenticarlo) per essersi masturbato davanti a cinque attrici (cosa che, ad accuse pervenute, lo scorso novembre, aveva confermato pubblicamente, senza alcun esitazione).

 

Le donne hanno raccontato che il pubblico ha accolto l’attore con un applauso molto caloroso, che alcune spettatrici in prima fila sono rimaste impietrite (meno male che ci son rimaste le femmine a indignarsi per gli impuniti!), che la presenza di Louis C.K. ha rafforzato in maniera eccessiva la componente maschile, già preponderante, dello spettacolo. Tutte, poi, hanno avuto la sensazione che, se qualcuno avesse trovato da ridire sull’esibizione, sarebbe stato messo a tacere. Non c’è modo che l’impunito sacripante la dia a bere: è chiaro che non s’è disintossicato dalla sua mascolinità. Brividi d’indignazione anche per il timido, progressivo rientro in scena di Aziz Ansari, un altro attore comico che era finito nei guai dopo che una signorina lo aveva accusato di averci provato con lei durante un consenziente dopocena domestico e che, dopo mesi di assenza dal lavoro, è tornato a teatro con uno spettacolo al quale viene rimproverato di non contenere accenni a quello che è successo, al #MeToo, alle molestie, al consenso. Ancora su Vulture, un giornalista ha recensito lo spettacolo di Ansari e, anche in questo caso, anziché parlare di quello, si è soffermato sull’atmosfera in sala (“il pubblico sembra non giudicare”), su quanto fosse teso Ansari e persino su quanto fosse stanco in viso e cambiato. Da più parti viene obiettato che il ritorno dei molestatori stia avvenendo troppo in fretta (“too much, too soon”, ha titolato The Cut) e, soprattutto, il fatto che nessuno di loro abbia accennato agli scandali o abbia detto cosa ha capito o imparato da questi mesi di ostracismo è chiaramente il segno di come il sessismo sia intenzionato a tornare per riprendersi ciò che è suo.

 

Il reintegro dei carnefici, ammesso che sia proprio necessario – “in fondo forse potremmo fare a meno della comicità di Louis C.K”, ha scritto The Cut – starebbe pertanto avvenendo nel modo peggiore possibile. Megan Garber ha scritto sull’Atlantic che la riflessione su questi “ritorni post #MeToo” sta ruotando esclusivamente intorno a cosa è meglio per gli uomini (i carnefici), a cosa sarebbe meglio per loro, al desiderio che di loro ha il pubblico, senza minimamente porsi il problema che, in quel desiderio, c’è la spia di un potere (quello maschile, appunto) rimasto incontrastato. Il fatto che Aziz Ansari abbia proibito l’uso di telefoni cellulari durante il suo nuovo spettacolo è, secondo Garber, un modo per evitare che fuori dal teatro si parli di lui e si esuli dal suo testo per ritornare a quella sera in cui non fu in grado di capire che la donna seduta al suo fianco era attratta ma non disponibile. Evidentemente, il ritorno dei molestatori, per essere educativo secondo gli standard del ripensamento, alla luce del #MeToo, va bene fintanto che il suo epilogo è quello toccato a Kevin Spacey, il cui ultimo film, nel primo fine settimana dell’uscita in sala, ha incassato meno di un paio di centinaia di dollari. Meglio ancora è andata con Woody Allen, il quale l’anno prossimo, per la prima volta negli ultimi 45 anni, non girerà alcun film. Gentili maschi tossici, se proprio volete tornare, fatelo per dissolvervi in una nube, una volta per tutte.

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