Donald Trump (foto LaPresse)

Micromega è preoccupata per la democrazia, ma è così da sempre

Alfonso Berardinelli

Poveri intellettuali, che parlano alla politica convinti che qualcuno ascolti

Quando sulla copertina di una rivista (ce ne sono ben poche, eppure troppe dedicate alla poesia) si legge che una sezione è dedicata all’Impegno dell’Intellettuale, ci si chiede, come in una canzone di Lucio Battisti, “che giorno è, che ora è, che anno è…”. Mi è successo vedendo in edicola l’ultimo numero di Micromega, il 5/2017, titolo generale “Europa e USA: democrazia a rischio”. E da tempo il sottotitolo della rivista è: “Per una sinistra illuminista”. Saranno i quaranta gradi di calura di questo agosto, ma per pigrizia mentale (la pigrizia ci ricorda che abbiamo un corpo e che siamo “anime incarnate”) le prime cose che mi vengono in mente sono tre: 1) Ma la democrazia non è stata sempre a rischio? 2) C’è anche una sinistra non illuminista? e 3) Che cos’è l’illuminismo?

   

Il vecchio Kant, rispondendo all’ultimo interrogativo, diceva che l’illuminismo è riassumibile in un semplice imperativo intellettuale: “Sapere aude”, abbi il coraggio di sapere, di conoscere, di usare la tua intelligenza. Quale altro dovere o scopo o ruolo pubblico si potrà mai assegnare agli intellettuali, se non quello di essere dei buoni illuministi attuali, consapevoli per esempio che l’illuminismo è una passione di élite che pochi hanno voglia di seguire e ascoltare? Diventare maggiorenni, smettere di essere minorenni moralmente e intellettualmente, è per Kant fare ingresso nell’illuminismo, sola possibile religione dell’umanità moderna, senza dogmi e senza tutele. Il fatto è che credere ciecamente piace molto e essere tutelati è rilassante.

  

Se la democrazia è in pericolo, se lo è sempre stata (funzionava forse meglio negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, Sessanta, eccetera?), l’illuminismo è stato anch’esso a rischio di continua inadempienza fin da quando Kant lo ha definito. L’illuminismo è la sinistra, è la democrazia, è la modernità, è la libera coscienza critica che viene idealmente presupposta in ogni vero cittadino. Mi si permetta (illuministicamente) di non credere in questa favola critica, e di sospettare che la democrazia moderna (con base sociale e produttiva di tipo industrial-capitalistico) non poggi su fondamenti tanto solidi né credibili. La democrazia non è affatto, come credono gli estremisti, il più mediocremente normale dei regimi politici: la democrazia è un’ipotesi utopica. Un popolo democratico composto di cittadini compiutamente illuministi non si è mai visto. Non credo che oggi la democrazia sia comunque più a rischio di quanto lo sia stata in passato, quando venne travolta, in certi paesi, da regimi dittatoriali di estrema destra, o quando in buona fede si voleva sostituirla (per esempio tra il 1968 e il 1975) con un nuovo e migliore comunismo, che non fu mai definito. Nessuno volle credere, allora, nella sinistra occidentale presuntamente rivoluzionaria, che l’albero del comunismo marxista-leninista i suoi frutti li aveva già dati in molti paesi, frutti umanamente non commestibili, anzi tossicamente mortali per l’intera società.

  

Tutto il n. 5/2017 di Micromega, o meglio tutta la rivista in tutti i suoi numeri, da quando esiste (cioè da più di trent’anni), è un appello ininterrotto all’impegno politico dell’intellettuale. Quale impegno? Di quali intellettuali? Molti di loro, ormai, purtroppo, li abbiamo già guardati in faccia. In Italia la loro categoria ha vissuto il suo momento di più facile gloria durante il ventennio berlusconiano: bastava pronunciare la formula magica “io odio Berlusconi” per diventare degli eroici devoti del bene pubblico, dei nemici della tirannia, liberi pensatori al servizio di masse oppresse, che invece avevano cominciato a non votare più i leader di una sinistra da business class, ipocrita e nostalgica di non si sa che cosa. Era, quello, un facilissimo engagement, pochissimo illuminista, che non osò capire che berlusconiano non era Berlusconi, ma il modo di vivere della maggioranza degli italiani, dell’homo italicus nella sua mentalità e vita quotidiana.

  

Non voglio essere sbrigativo, ma devo. Sulla rivista di Paolo Flores compaiono molti articoli da leggere con profitto. Mi sembra comunque che gli intellettuali impegnati politicamente si illudano oggi molto più di ieri circa l’influenza che possono esercitare su partiti, schieramenti elettorali e sull’intero ceto politico. Direi anzi che quanto più radicale e teorico è il loro impegno, tanto più appare evidente il baratro che si apre sotto la superficie dei loro discorsi: il baratro appunto fra discorso politologico o metapolitico e pratica politica reale. E’ il baratro che c’è fra i “consigli” che gli intellettuali danno ai politici e la voglia che hanno i politici di farsi consigliare. Il ceto politico è da molto tempo (in tutto il mondo, sembra) precipitato nell’incultura anche perché deve inseguire e cercare di captare gli istinti di elettori per i quali non solo non esistono le riviste come Micromega, ma non esistono neppure i giornali e ogni tipo di carta stampata.

    

Basta leggere gli interventi di Flores e Galli della Loggia sull’Europa per intuire il vuoto nel quale risuonano le loro voci. Entrambi parlano “come se” ci fosse qualcuno ad ascoltarli. Qualcuno che conti politicamente, che faccia seriamente politica, che disponga di qualche potere di decisione. Flores continua a prendersela con il cristianesimo e il papato, come se fossimo ai tempi di Voltaire, o della guerra civile spagnola, o di Pio XII. Il fatto che non nomini mai Bergoglio mostra tutto il suo bisogno di non vedere che il tempo passa.

  

Galli della Loggia, dopo aver offerto dei consigli pratici per il bene dell’Unione europea (eleggere un presidente dell’Unione affiancato da un ministro degli Esteri e uno della Difesa scelti da lui) scrive parole come queste: “Per il momento, comunque, nulla si muove. Tutti i governi proclamano l’urgenza di un cambiamento e ne discutono, ma in realtà ognuno aspetta la prossima scadenza elettorale che lo riguarda, e di questo solo si preoccupa. Poi si vedrà, per decidere c’è sempre tempo. L’immobilismo si prolunga così senza fine”. Non potrei esprimere con parole più precise la situazione nella quale l’impegno politico dell’intellettuale viene oggi a cadere. Pensare con impegno alla politica forse fa bene agli intellettuali a cui fa bene, li tiene svegli. A molti altri fa male, perché li illude sul loro potere e la loro autorità pubblica.

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